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Recensione di Salvate il Soldato Ryan

Recensione di Salvate il Soldato Ryan 

Nella produzione di Steven Spielberg i film di stampo bellico hanno un ruolo particolare, quasi privilegiato, un po’ come per quelli di tematiche fantascientifiche; il regista statunitense è riuscito a strappare il suo primo Academy Award, nel 1993, quale miglior regista, proprio grazie al drammatico e struggente Schindler’s List, il quale altro non si rivelò che un vero e proprio trionfo, sia di pubblico che di critica ed ancora oggi viene costantemente proposto nelle scuole non solo come mezzo attraverso il quale apprendere l’orrore dell’olocausto, ma sopratutto per il suo valore tecnico e cinematografico negli istituti specializzati. Un talento come quello di Spielberg è raro da trovare, lo avevano capito fin dall’inizio persone come Truffaut e Kubrick e non c’è voluto molto tempo prima che fosse Steven stesso a riconoscerselo, dopotutto non capita spesso di mettere la firma a due capolavori che, nel bene e nel male, segnano, non solo un punto di svolta nella settima arte, ma sopratutto il tuo esordio: Duel e Lo Squalo.

Eppure, sebbene la filmografia di quest’uomo offra una rosa di pellicole variegate, che simboleggiano la sua poliedricità, bisogna mettere in risalto che alle tante avventure di Indiana Jones, ed ai numerosi film per ragazzi quali, per citarne uno a caso, Jurassic Park, Spielberg ha saputo lasciare la propria impronta nella storia del Cinema grazie a lavori che prendevano a cuore la società le condizioni umane, scanditi, magari, in più momenti storici, attraverso i quali, l’uomo moderno, potesse prendere coscienza di ciò che è e chi deve ringraziare se, adesso, vive in un determinato mondo, meno barbaro e spietato di quello dei suoi antenati.

Nelle sue opere più complesse e serie, Steven Spielberg sussurra allo spettatore, attraverso la forza delle sue immagini, i nomi e le gesta di coloro i quali hanno fondato parte di questa società, hanno lottato per essa, non per una gloria personale, ma per dovere, per gli anni futuri, per i figli dei loro figli, affinché quest’ultimi non vivessero più in momenti bui, dove ogni traccia di umanità verrebbe gettata tra le fiamme dell’odio e della guerra.

Salvate il Soldato Ryan, lungometraggio del 1998, rappresenta, sotto molti punti di vista, l’apice di quanto detto sopra, e sebbene sia privo di quell’eccellenza riscontrata in alcuni lavori precedenti, e contenga al proprio interno momenti un po’ annacquati o leggermente diluiti, questo resta, comunque, un lungometraggio notevole, degno di entrare a far parte dei capolavori della fine del secolo scorso.

Certo, in quanto film in pieno stile americano, una componente patriottica vi è sempre a cominciare da quella bandiera con le cinquantuno stelle che apre e chiude la pellicola, quasi a ricordare che Saving Private Ryan sia, è vero, un film di guerra, ma sopratutto un lavoro che si schiera da una precisa parte del conflitto, sotto una particolare prospettiva, senza andare troppo a cercare una rappresentazione oggettiva. Fortunatamente, con l’avanzare dei minuti, si prende coscienza del fatto che Spielberg non ricerca l’esaltazione o una poetica puramente manichea dei giorni riguardanti lo sbarco in Normandia, poiché gli obbiettivi che vuole centrare sono ben altri, e viene in suo soccorso la sceneggiatura di Robert Rodat, il quale imposta la vicenda nei toni giusti, accentuando il dramma e l’orrore attraverso anche i dialoghi.

Perché salvare un soldato, come tanti, per riportarlo alla madre, ormai orfana di ben 3 di quattro figli caduti in battaglia, vale la vita di altrettanti uomini? E’ un quesito che il battaglione di pochi commilitoni, che vede come loro capitano un Tom Hanks calato in una performance straordinaria, si pone continuamente, al quale si cerca di dare una risposta che puntualmente tarda ad arrivare.

Nella guerra di Spielberg, sia chiaro, non ci sono esaltazioni, non ci sono eroi, né schieramenti e nemmeno sopravvissuti scampati al pericolo per mera fortuna. La Guerra è morte, distruzione, un delirio scatenato da l’uomo e attraverso il quale la specie umana viene sempre meno, diventando ad ogni sparo un poco più piccola, dimenticandosi chi sia e cosa sia, un massacro spietato ed osceno, reso particolarmente truculento, quasi impressionante, in quest’occasione.

Se, infatti, la pellicola ai tempi fu acclamata per la sequenza iniziale, il momento dello sbarco sulle coste francesi il 6 Giugno del 1944, coadiuvata da un realismo tanto grottesco quanto estremo, ancor oggi conserva uno spirito originale e efficace anche nel voler raccontare il secondo conflitto bellico mondiale attraverso gli occhi di uno specifico drappello di uomini, prendendo una storia che in alcuni momenti appare persino inimmaginabile, ma che sapientemente Spielberg riesce a renderla reale, condita da una ironia tagliente e massacrante, come nella scena in cui i soldati del capitano Miller (Hanks) cercano Ryan tra le piastrine identificative dei caduti, e queste vengono viste non come oggetto di riconoscimenti dei vari defunti, ma come fiches del poker.

Salvate il Soldato Ryan è indubbiamente uno dei migliori film a sfondo bellico degli ultimi anni, uno dei migliori lungometraggi nonché canti del cigno che hanno chiuso il ventesimo secolo. Con una storia che parla di diritti umani, uomini e scelte da compiere, Spielberg solo in uno o due momenti confeziona una retorica scontata e a tratti fastidiosa, ma in un lavoro di quasi tre ore si tende a chiudere un occhio, fosse solo per la maestria tecnica ed il notevole lavoro fatto anche dal reparto del sonoro e della fotografia, dalle musiche di Williams e dalla direzione degli attori. E’ un altro film di guerra come tanti, ma resta dentro, con quelle scene dove si mostra quasi l’impossibile, per impressionare e colpire, e quegli spari che finiscono nelle orecchie dello spettatore, con quella telecamera che non guarda mai il conflitto dall’alto, quasi fosse un gioco di strategia o un duello a scacchi, ma sempre dagli occhi di chi l’ha combattuto, accentuando così l’orrore di una guerra che per Spielberg ha dato come risultati solo morti e dolore non solo ad una nazione, ma al mondo intero.

In virtù di quello che è stato fatto per mettere a tacere la Seconda Guerra Mondiale, Steven Spielberg ricorda con prepotenza a noi tutti di meritarci quei privilegi e quella “pace” in cui viviamo adesso, ottenuta con il sacrificio di molti uomini e donne, chiamati a combattere per un futuro che probabilmente non avrebbero mai visto, lasciati a morire tra le onde del Canale della Manica, nei boschi o nei villaggi ormai distrutti. Perché il Soldato Ryan serve a conservare la memoria dei fatti, della storia, a rammentare il nostro passato per non essere condannati a riviverlo.

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