Recensione di Lemony Snicket – Una Serie di Sfortunati Eventi
La vicenda, triste ci rammarica ammetterlo, inizia con la notizia della morte dei genitori dei fratelli Baudelaire (Violet, Klaus e la piccola Sunny) e della distruzione della loro bella casa. I tre ragazzi, ormai orfani, sono costretti a stare dal loro parente più prossimo: il conte Olaf (Jim Carrey). Questi, proprio come dimostra l’apparenza, è un essere senza scrupoli il cui unico intento è quello di mettere le mani sulla ricchezza dei poveretti; l’unico modo per attuare il suo piano è quello di uccidere gli sfortunati giovani ed in tal modo avere accesso al denaro. Tuttavia i tre non saranno così sprovveduti e daranno del filo da torcere al perfido conte. Saranno infatti trasferiti, una volta dimostrata la vera natura di Olaf da un altro tutore, anch’esso parente nonché zio, dall’animo buono, generoso e con una fissa per i rettili. Vi aspettate che da un momento all’altro comparirà la parola “fine”? Ovviamente…vi sbagliate, poiché ad attendere i Baudelaire ci sono ancora sanguisughe con denti aguzzi, zie completamente pazze, cicloni e tante altre avventure imprevedibili.
.
Una serie di Sfortunati Eventi fa della trama e della recitazione il suo punto di forza, portando alla luce una pellicola adatta a tutti, sia adulti che bambini, dai toni a volte macabri,ma sempre ben calibrati e mai eccessivi. Si vede fin da subito che il film acquista qualcosa in più quando sulla scena appare Jim Carrey, che interpreta un personaggio tanto grottesco quanto esilarante e che grazie al suo perfido carisma ed alla bravura dell’attore nel sapersi calare nella parte risulta essere perfetto e mai sopra le righe; insomma una gioia per gli occhi (anche se in apparenza questo detto è da dimostrare, in tal caso!). L’opera è divisa in 4 parti, dove vengono distribuiti in modo calibrato altrettanti scenari: si passa da una casa in rovina, ad un abitazione che fa da piccolo zoo fino ad arrivare ad una sinistra dimora edificata sopra un lago dalle dimensioni considerevoli. Fanno, durante il film, la comparsa attori di un certo livello (ehi, un momento! Sbaglio o intravedo un noto D. Hoffman in una delle scene finali?!) come Meryl Streep o Bill Connolly (recentemente visto in Quartet). La pecca, ben evidente, è che tanti attori sono messi sulla scena per un brevissimo lasso di tempo ed i venti minuti a testa sono troppo pochi per apprezzarne appieno il talento, anche se di certo non sarebbe stato questo film a darne una prova decisiva; chi infatti mette in dubbio la bravura della Streep o di Carrey? Rimane però l’amaro in bocca nel vedere tanti grandi attori e attrici limitati per i più svariati motivi; sia chiaro, il personaggio di Zia Josephine rimane ben caratterizzato e in quel poco che appare sullo schermo basta per rimanere impressa, almeno un minimo. Ciò che, ad ogni modo, appare evidente è che gli attori abbiano cercato di dar vita a dei personaggi quasi del tutto caricaturali, talvolta stupidi, ma pur sempre originali e in linea con la storia. Ovviamente i protagonisti sono i tre orfani, vittime delle tante malvagità del conte Olaf, ma sempre pronti a combattere contro le sfide che quest’ultimo crea, il più delle volte cariche di una vasta immaginazione da parte dell’autore/regista. La morale dell’opera è chiara: bisogna credere ai bambini, dare loro una voce, anche se siamo adulti e non bisogna mai, nemmeno per un momento, aver l’arroganza di mettere in dubbio le parole sincere di questi. Sebbene la pellicola a tratti ricordi vagamente i film e lo stile di Tim Burton, essa se ne discosta in modo chiaro, anche se la figura di questi tre fratelli, senza genitori, possa ricordare a tratti quella di Edward mani di forbici, anch’egli vittima, proprio come loro, di un destino crudele e personaggio emarginato (quasi) totalmente dalla società in cui vive.
Molto bello è il lato artistico (a tratti simile allo steampunk), così come la fotografia (che cambia da location a location, ma mantenendo sempre toni abbastanza cupi) e sorprendente a tratti il trucco.
.
Claudio Fedele