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Recensione di Kill Bill 1 & 2

“La vendetta è un piatto che va servito freddo”.
Questo antico proverbio Klingon fa da apertura a quello che sarà il quarto film di Quentin Tarantino, già autore di quel tanto acclamato film dal nome “Le iene – Cani da Rapina” e quel capolavoro che tutti coloro che si dichiarano fanatici del buon cinema avrebbero dovuto (assolutamente) vedere almeno una volta: Pulp Fiction (vincitore dell’Oscar per la miglior sceneggiatura). Se Tarantino con i primi tre film si rifà a quel genere più comunemente noto come il Noir o alla Commedia Nera e talvolta quasi grottesca, qui abbiamo una svolta considerevole, poiché il bravo cineasta invita tutti i suoi fan e non ad entrare nel mondo del cinema orientale, un altro aspetto del grande schermo di cui è innamorato (e si vede!). Sia chiaro, già in Pulp Fiction nel momento in cui Bruce Willis prendeva una spada giapponese si sentiva a gran voce il forte richiamo all’oriente e il desiderio di tirar su un film nel quale si respirasse l’aria di nuove terre e nuove culture e Quentin, da bravo appassionato e regista che sa il fatto suo, decide proprio sul set del film che lo consacrerà agli occhi di Hollywood come un autore di talento e maestria, assieme ad Uma Thurman di girare Kill Bill. Inizia così la prima stesura di Kill Bill. Destino vuole, tuttavia, che prima della messa in scena di quest’ultimo passino anni e solo nel 2003 la vicenda legata a La Sposa ed alla sua vendetta prende vita e viene proiettata nei cinema di tutto il mondo. La Miramax, ad ogni modo, che ne è la casa di produzione, decide di dividere il film a metà (considerata la sua notevole durata) e ne viene realizzato così il primo volume ed il secondo. Ma Tarantino è davvero riuscito, ancora una volta, a dar vita ad un prodotto di altissimo livello e capace di unire cinema occidentale ed orientale? Può essere un capolavoro questo quarto appuntamento con il regista de Le Iene, oppure è un insieme insensato di omaggi, tradizioni e violenza? Scopriamolo!
Raccontare la trama di Kill Bill potrebbe essere da una parte molto complesso, dall’altra uno dei più grandi torti che potremmo fare ad un qualsiasi lettore. Non è questione di spoiler, ma sciupare una storia così ben architettata e ricca di avvenimenti, in special modo in questi tempi dove troppo spesso la sceneggiatura in molte produzioni fa acqua, sarebbe una vera cattiveria; ci prendiamo la briga di scrivere il minimo indispensabile.
La Sposa, dopo aver visto il proprio matrimonio andare in rovina a causa dell’intervento di Bill e dei suoi scagnozzi decide, una volta essersi ripresa completamente, di compiere la sua vendetta. Da questo momento Black Mamba (il suo nome in codice) sarà alla continua ricerca dei sicari di Bill e vorrà stroncare la vita di tutti i componenti che hanno partecipato alla carneficina. I colpi di scena non mancheranno, i dialoghi taglienti non verranno meno ed il finale apparirà agli occhi di tutti tanto completo quanto aperto a possibili seguiti.
Il cinema di Tarantino è come un prodotto realizzato da un artigiano pieno di eleganza e maestria, dove per ogni lavoro che porta a compimento è possibile scorgere delle caratteristiche uniche. Quello che sorprende in modo sempre più evidente è come quest’uomo, film dopo film, riesca a raffinare sempre più la sua tecnica, la sua maestria e non realizzare mai un film banale, ma tutt’altro, realizza storie di grande impatto, che si seguono tutte di un fiato e che lasciano qualcosa in coloro che le guardano. Non sono solo i tanti omaggi e gli innumerevoli accenni al mondo orientale ed al cinema Italiano che fanno di questo regista uno dei migliori artisti su piazza, quanto la capacità di confezionare intelligentemente e con estrema cura delle pellicole destinate ad avere un loro spazio nella storia della cinematografia. Tarantino è così un maestro, un personaggio capace di riportare alla luce mode e scenari ormai dimenticati e qui lo fa attraverso il kung fu, il Giappone, il cibo giapponese, il cinema orientale che punta ai duelli con cappa e spada. Se nella prima parte gli omaggi ed i richiami ad un icona delle arti marziali come Bruce Lee sono messe a nudo in tutto il loro splendore (Uma Thurman con quel vestito giallo chi ricorda?) nel secondo volume sono gli scenari, le inquadrature, la fotografia e la musica che strizzano l’occhio a Sergio Leone, Ennio Morricone ed al cinema italiano. Aggiungiamo inoltre, a tutto questo, i tanti colpi di genio quali ad esempio quello di non voler far mai pronunciare il nome della protagonista da nessun personaggio, tanto che lei non è nessuno se non “La Sposa” e a questo mettiamo in luce una cura ed un rispetto anche per gli antagonisti della vicenda. L’infanzia O-Ren Ishii viene nientemeno che raccontata sotto forma di cartone animato, ma ciò non emerge come una sbavatura, anzi il film ne guadagna a livello di cura e coerenza.
Di fronte a tanti personaggi è difficile capire chi sia veramente buono e chi sia veramente cattivo, questo perché nemmeno la Sposa sarà icona della bontà d’animo, ma in lei si rappresenta il crudele ( quanto giusto) spirito della vendetta ed essa come tale non accetta compromessi. Il finale è una vera e propria chicca, in quanto la vera natura di quest’ultima viene messa a nudo, in tutti i suoi aspetti e particolarità e quel che emerge è una persona spietata, spinta da un forte senso di vendicativa e glaciale giustizia e senza alcuno scrupolo. Ne esce, quindi, un mondo dove non esistono vincitori, solo persone capaci di resistere al male ed alle crudeltà di coloro che gli stanno attorno. L’importante è, dunque, riuscire a stare a galla.
Tecnicamente il film si attesta su ottimi livelli, tanto che alla fine dei due volumi avremmo sempre più l’impressione di aver assistito ad un’epopea lunga, sanguinosa e incalzante, ma anche coerente in ogni momento, equilibrata e ben architettata; il ritmo frenetico che si respira nella prima parte del lungometraggio, quasi folle in certi momenti, viene quasi totalmente a mancare nel secondo volume dove si assiste ad un anti Climax realizzato con i fiocchi che porta ad un finale del tutto inedito, inaspettato, ma con un’introspezione verso i personaggi da prendere in considerazione; se infatti nel volume uno tutti comprimari e la protagonista stessa erano solo abbozzati, quasi simbolici, la loro vera natura, la loro personalità emerge nella seconda parte e ognuno di essi brilla di luce propria.
Grande personalità, bellezza e bravura va riconosciuta ad Uma Thurman che si cala completamente nella parte e da vita ad una Sposa con i fiocchi; i suoi occhi, così come la sua voce ed il suo sguardo gridano vendetta e non c’è un minuto che il suo viso non pretenda l’attenzione degli spettatori. A lei il merito di essere e di aver dato vita ad un personaggio stupendo. Forse suonerà strano alle orecchie di molti, ma capita spesso e volentieri di trovare registi che riescono a dare alla luce personaggi femminili così ben curati e approfonditi da far rimanere di stucco chiunque li guardi e questo caso non fa eccezione. Tante donne, ognuna diversa dall’altra, tanti momenti ricchi di drammaticità e dialoghi taglienti e ricchi di humour a cui Tarantino ci ha abituati, questo è anche Kill Bill. Spendiamo anche due parole per al performance di David Carradine, perfetto nelle vesti di Bill e in più momenti capace di rubare la scena a qualsiasi personaggio, complice di questo gli ottimi dialoghi.
Kill Bill (volume I e II) è un film sensazionale, un omaggio continuo all’oriente, al cinema giapponese, ma anche a quello italiano, americano e rappresenta un ottima fusione di tutti questi generi. Se poi a questo aggiungiamo i tanti particolari del mondo di Tarantino (la sua passione per i piedi, le inquadrature alla Sergio Leone, una macchina gialla con un determinato e ben preciso nome) è chiaro che siamo di fronte ad un prodotto realizzato coscientemente da un uomo che fa del cinema non solo un arte, ma la sua arte e offre a tutti noi un modo di apprezzarla o almeno conoscerla. Come spiega Hattori Hanzo: “La vendetta non è una strada diritta e chiara, è una foresta dove è facile smarrirsi” e così è la mente ed il cinema di Quentin Tarantino, solo che talvolta, è veramente bello perdersi nell’oceano della sua mente e delle sue storie.
Claudio Fedele
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