Recensione di Into the Woods
Rob Marshall non è certo nuovo ai musical, sono suoi, infatti, il tanto discusso Nine, rivisitazione cantata e moderna del classico di Fellini, 8 1/2, con protagonista Daniel Day-Lewis, Nicole Kidman, Penelope Cruz e Sophia Loren, e l’acclamato Chicago con Richard Gere e Catherine Zeta-Jones che, nel 2002, si rivelò al mondo intero come il vero trionfatore dei premi Oscar di quell’annata.
Into the Woods, dunque, dovrebbe essere, sulla carta, un’opera pienamente nelle corde del regista americano, non troppo difficile da trattare ed elaborare che prende spunto da una considerevole quantità di favole divenute classiche, sul grande schermo, grazie alle note riproposizione Disney e cerca, in determinate occasioni, di rovesciarne l’ossatura e gli archetipi.
Ci sono, non a caso, tante trame, in questo progetto, tanti piccoli pezzi di un puzzle che vede protagonisti una strega cattiva, Raperonzolo, il Principe Azzurro di Cenerentola, con annessa principessa, la canonica figura del fornaio con la propria moglie, desiderosa di rimanere incinta, ma vittima di un incantesimo che la rende sterile, Jack e la nota pianta nata dal fagiolo magico e, per concludere, Cappuccetto Rosso con la nonna ed il Lupo cattivo.
I destini di tutti questi abitanti delle più acclamate leggende, le più, figlie della straordinaria mente dei fratelli Grimm, si rimescolano e si ritrovano nel bosco, ove proprio in esso, come il titolo suggerisce, avviene, e si svolge, la maggior parte degli eventi che portano avanti la narrazione.
Il risultato finale, tuttavia, dell’opera di Marshall, lascia molto a desiderare e in definitiva non trasporta, alla mente di chi lo guarda, un qualcosa di concreto capace di rimanere impresso o essere osannato. Sia chiaro, non stiamo assistendo ad un fallimento o ad un’opera completamente fuori dal contesto e piena di lacune, ma, piuttosto, ad un’opportunità mancata che, stranamente, mette a nudo tutte le difficoltà nate nella gestazione della produzione.
Dietro ad un incipit che serve su un piatto d’argento le tante story-line dei protagonisti, il tutto si aggroviglia in un susseguirsi di piccoli momenti, o sequenze, che puntano tutte alla creazione di un intreccio che prende vita tra i rami e gli alberi del bosco, luogo chiave nel quale la storia si anima davvero. Il problema, nel non voler dare una preferenza netta ad un particolare individuo (fatte due rare eccezioni per la figura dei coniugi fornai, i quali interagiscono con tutti i comprimari, innalzandosi come veri protagonisti, tra le righe), ma puntando tutto sulla collettività, è che nessuno del cast riesce ad emergere appieno e, più si procede nella storia, più ci si rende conto che Marshall abbia maggiormente lavorato sullo stereotipo, aiutato da evocative scenografie, che sulle personalità degli eroi o delle eroine presenti sullo schermo.
Un vero e proprio spreco di potenziale, che se avesse goduto di una presenza minore di comprimari, certamente, avrebbe riservato un occhio attento a quelle tre o quattro storie importanti che, realmente, muovono la pellicola in una direzione precisa.
Il bosco, tuttavia, è il vero protagonista indiscusso del lungometraggio, a tratti figlio quasi della selva oscura di dantesca memoria, che terrorizza e mette alla prova i tanti sventurati, a momenti, invece, assimilabile a quella visione Tolkieniana di Bosco Atro (capace di influenzare le menti, asfissiante e claustrofobico) ed in altri in pieno stile Disney, animato e incisivo anche grazie ad una telecamera che non si vergogna mai di mostrare rami e tronchi d’albero in mezzo ai momenti più importanti o spettacolari rendendolo costantemente partecipe.
Al di là, tuttavia, del potere metaforico, esoterico e fiabesco, che suscita un fascino irresistibile in ogni essere umano, riscontrabile nella presenza del bosco, Into the Woods è vittima di una pecca non da poco, che ne limita la godibilità e la leggerezza con cui affronta determinate situazioni, vale a dire il ritmo incalzante della vicenda e la sceneggiatura. Entrambi, purtroppo, non solo vengono mal gestiti, ma, sopratutto la seconda menzionata, determina il principale problema del film, che, arrivato a poco più di metà, ha ancor poco da dire e l’ultima mezz’ora, oltre che a risultare prolissa, sembra essere aggiunta unicamente per ampliare i minuti e chiudere in bellezza determinati percorsi narrativi. Il risultato è che, seppur con le sue pecche, la prima parte dell’ultima fatica di Marshall mette in scena una fiaba interessante, anche velata di una preziosa ironia meta-cinematografica e letteraria, mentre l’epilogo è quanto di più abbozzato e insignificante si potesse dare alla luce, dimostrandosi poco accattivante, e mettendo in mostra il vero problema di tutto il progetto: i personaggi ed i rapporti che si instaurano tra loro.
Sarebbe ingiusto essere troppo duri con Into the Woods, perché non è mai semplice portare sul grande schermo un musical, specialmente quelli di Stephen Sondheim, ma da Rob Marshall, che nell’amalgamare musica, canto ed immagine sembrava essere un maestro, ci si aspettava qualcosa di più, considerando anche il molto materiale di partenza, di certo figlio di un’idea originale e rivoluzionaria nei confronti dei classici racconti delle fiabe. Il risultato delude, in alcuni momenti persino vuole farsi dimenticare, mentre in altri abbozza tutta una serie di situazioni e luoghi comuni che, accompagnate dalla musica e dalle canzoni, non godono della giusta tensione o enfasi, mostrando tutta una serie di personalità sullo schermo molto sopra le righe e, per questo, che mal si sposano con quanto accade attorno ad esse. Le uniche a brillare di luce propria, per bellezza e bravura, sia nella recitazione che nel canto, sono Emily Blunt e Meryl Streep, quest’ultima tanto slanciata in un ruolo che la vede come l’anima della festa che, alla sua dipartita, il film crolla letteralmente nell’oblio. C’è persino un Johnny Depp travestito da Lupo, più un cameo che un vero e proprio ruolo, dimostrazione lampante di un talento sprecato, per un attore che, certamente, merita tutti i riflettori ogni volta che sale in scena. Un bosco di debolezze e di terrore, il musical di Marshall, come i suoi personaggi, ove si è letteralmente perso in una narrazione priva di mordente e significato, prolissa e ripetitiva.
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