Recensione di Inside Out
Inside Out arriva in un momento cruciale per la casa di animazione più famosa del pianeta, dato che negli ultimi anni la saltellante lampadina aveva perso un po’ di quella luce d’originalità che l’aveva sempre resa unica e inimitabile, abituandoci, nell’ultimo ventennio, a pellicola capaci di riuscire ad andare ben oltre un pubblico di bambini ed a proporre tematiche e riflessioni che, talvolta, solo un adulto poteva apprezzare appieno.
Il 2015 si presta, dunque, a dare un giudizio sulla situazione generale di un gruppo di registi e sceneggiatori che hanno accompagnato l’infanzia di molti, e gli interrogativi, assieme ai dubbi, nati di recente, erano ormai agli sgoccioli, dato che in molti temevano di aver perduto per sempre quei progetti animati che, in un futuro non troppo lontano, avrebbero avuto la forza di essere chiamati classici.
Ebbene, dietro a qualche leggera caduta come poteva essere Cars 2 o Brave – Ribelle, che tuttavia non ci sentiamo di bocciare nella maniera più assoluta, John Lasseter rammenta a tutti noi perché le sue creazioni hanno sempre fatto breccia nell’immaginario collettivo, e la sua nuova fatica, diretta da Peter Docter, è la prova definitiva che lungometraggi di tale bellezza, al momento, sono solo in grado di farli in un unico universo, quello Disney Pixar.
Arrivati finalmente a dire la nostra su Inside Out, possiamo tranquillamente ammettere che questi è un semplice capolavoro, come lo era stato Toy Story, così come lo fu nel 2008 Wall•e e due anni dopo Up, e, aspetto più importante, è una fonte inesauribile di grande Cinema, che è capace di colpire chiunque gli si pari davanti, presentandosi sovraccarico di originalità e brio, elegante nella sua messa in scena, nel design, nelle animazioni e forte di una storia tanto ben costruita da poter sembrare verosimile e reale.
Gioia, Disgusto, Tristezza, Rabbia e Paura sono quattro stati d’animo che accompagnano ognuno di noi fin dalla nascita, sono quelle sensazioni e sentimenti che ci fanno interagire con il mondo e determinano la nostra natura, ma, aspetto ancor più importante, condizionano i nostri ricordi. Quando, ormai alle porte dell’adolescenza, Riley si trasferisce con i suoi genitori dal Minnesota a San Francisco, le cose prendono una piega inaspettata, e saranno proprio i quattro sentimenti a non comprendere, dalla loro sala di controllo, i cambiamenti emotivi della ragazza. La colpa, apparentemente, ricade su Tristezza, la quale contamina con il proprio stato d’animo quelli che erano momenti felici della giovane protagonista e, durante una lite con Gioia, le due vengono risucchiate all’interno della memoria dei ricordi. Lasciata la cabina di comando a Paura, Disgusto e Rabbia, Riley non trova più un equilibrio interiore e l’improvvisa natura irrequieta si riversa anche nel mondo, a partire dai genitori, i quali non sanno più comprendere appieno lo strano comportamento della figlia.
Approcciarsi ad un opera come quella di Inside Out è tutt’altro che semplice, il film di Peter Docter opera su più livelli, oltre che su ben due narrazioni, unite dal fatto di essere sempre focalizzate su un unico personaggio, Riley, ma ambientate in due mondi completamente diversi. Alla vita reale, quella che condividiamo tutti, viene sovrapposta l’esistenza dei solari, irrequieti, tristi e arrabbiati sentimenti, la cui convivenza, per quanto rocambolesca, raggiunge sempre un particolare equilibrio, il quale, una volta venuto a mancare, darà il via alle (dis)avventure di Gioia e Tristezza, la prima intenta a salvare la memoria della bambina, mentre la seconda in colpa proprio per essere costantemente causa di guai e dolore.
E’ una pellicola incredibilmente intelligente, su cui la Pixar ha puntato molto, ed allo stesso tempo ha colto l’umiltà che ha sempre contraddistinto il suo marchio di fabbrica, cercando, proprio in coloro che allontaniamo, di relegare una natura diversa, ma non per questo cattiva o nociva. Accadeva, anni addietro, per Flick in A Bug’s Life, dove la formica guastafeste era vista in malo modo dal proprio formicaio in quanto libera pensatrice e anticonformista, per poi essere l’unica capace di comprendere appieno la situazione in cui esse vivevano, ed accade, in un certo senso lato, anche qui con Inside Out, ove il messaggio, all’arrivo dei titoli di coda appare ben chiaro: noi tutti, così come i nostri ricordi, siamo un insieme di elementi che possono e devono convivere assieme, e la convivenza, grazie alla diversità, conferisce alle nostre persone un determinato equilibrio.
Eppure, vi è legato, a quest’ultimo gioiello dell’animazione anche un percorso di crescita e formazione, non a caso la pellicola si appresta ad essere quasi un romanzo picaresco trasposto sul grande schermo, proponendo non solo un protagonista dinamico, ma mostrando i tanti mutamenti di quest’ultimo presentandoceli fisicamente. Quel che conta, tuttavia, è la memoria, i ricordi, senza i quali non potremmo vivere, che suggeriscono chi siamo, che ci aiutano a capire dove andare quando temiamo di perderci o non cogliere più il senso di quel che ci accade attorno, e sono proprio i momenti che ricordiamo, alcuni di essi, che formano la nostra persona, il nostro Io.
Affiancate, queste importanti tematiche, a tutta una serie di battute e momenti esilaranti, ma contenuti, perché il film non arriva mai a vette demenziali, né sembra accontentarsi di servire solo gaffe per un pubblico di adolescenti, restano particolari interessanti rivolti alla società americana, osservazioni capaci di vivere in completa armonia con la natura del progetto e che riguardano una sfumatura dell’America quasi ormai divenuta un cliché, vale a dire il concetto di cambiare abitazione e traslocare da una parte all’altra dei cinquantuno stati.
Era successo con il primo Toy Story, e la storia si ripete esattamente anche ora, vent’anni più tardi, ove una famiglia è costretta, per esigenze economiche, a cambiare casa e allontanarsi dal proprio luogo di origine. John Lasseter torna così su un elemento a lui assai caro, causa, per di più, del vero motivo di smarrimento e preoccupazione della piccola Riley, ma allo stesso tempo, è bene notare, come tale cambiamento, la porterà a crescere, dopo aver attraversato tutta una serie di mutamenti e conflitti (interni) che la condurranno ad una nuova serenità emotiva.
Sotto il profilo delle animazioni la Pixar rimane insuperabile, cura nel dettaglio ogni personaggio, caratterizza ogni aspetto espressivo e estetico di protagonisti e comprimari, rende credibili i movimenti fisici e le interazioni dei quattro sentimenti con l’ambiente circostante e le scenografie sono straordinariamente ispirate. Passiamo, infatti, da una biblioteca di ricordi, che hanno una forma sferica, per poi cadere letteralmente in un Tartaro buio e ricoperto di fumi particolarmente suggestivo che potrebbe sposarsi benissimo con una visione originale dell‘Inferno dantesco o quello Omerico. La colonna sonora di Michael Giacchino, alla sua ennesima collaborazione con la casa di produzione co-fondata da Steve Jobs, è una delle migliori scritte dal compositore di origini italiane, i motivi appaiono orecchiabili, ma sopratutto capaci di esprimere alla perfezione quel che accade sullo schermo.
Inside Out mette a tacere in modo definitivo tutti coloro che avevano pensato che la Pixar fosse ormai alla deriva, chi aveva iniziato a mettere in giro cattive voci sul fatto che la vena artistica degli studi di animazione, della fantomatica lampadina, avessero ormai perso il proprio estro, rifugiandosi in pellicole di scarso valore artistico o lontane anni luce dalle migliori da loro prodotte. Dopo una lenta discesa, John Lasseter, assieme a Peter Docter, torna alla ribalta con un film capace di emozionare in modo sincero e parlare per immagini come il grande Cinema sa fare, che riesce a catturare e godere di un fascino fiabesco quasi inarrivabile per la concorrenza.
Tuttavia, Inside Out resta un lavoro impeccabile sopratutto per quel che vuole mostrare e cerca di raccontare, e nel farlo non lascia spazio ad interpretazioni superficiali o retoriche. La tristezza, per quanto sempre difficile da digerire, è una sensazione che ci condiziona, che ci aiuta a crescere e maturare ed è essenziale per noi tutti, così come la felicità, la rabbia, la paura e il disgusto. Questo che abbiamo di fronte è un film che, quando vuole, sa essere cinico e crudele, che affronta in modo netto i nostri ricordi, ricordandoci quanti di essi perdiamo con il passare degli anni e quali, come in una selezione naturale, rappresentino i più importanti, grazie ai quali ci formiamo. Gioia, Rabbia, Paura, Disgusto e Tristezza sono il fiore all’occhiello di questa produzione, ed è un peccato non averli conosciuti prima, oppure, forse, restano così familiari perché abbiamo a che fare con loro ogni giorno, da sempre.
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