Recensione di Honeymoon
Chiusa questo breve inviso, e concentrandosi sull’opera prima di Leigh Janiak va messo subito in chiaro che un esordio, in quanto tale, mostra sempre dei difetti, delle incertezze, delle lacune che, se colui che si pone dietro alla macchina da presa gode di un discreto talento, limerà con il passare del tempo per cercare una forma ed una padronanza tecnica personale e solida, è stato così per i più grandi nel passato (salvo rare eccezioni che si contano sulle dita di una mano) e si rivelerà una realtà di fatto per i neo cinefili che verranno in futurp. Per quel che concerne Honeymoon, attraverso la sua messa in scena e la sua
Come per le più rosee aspettative la luna di miele di Bea e Paul inizia sotto il nome dell’amore, nel segno di usignoli canterini, giornate piene di sole ed allegria, di passione e interminabili effusioni. Questo paradiso bucolico canadese viene meno quando, una sera,Paul troverà la propria consorte nel bosco, vicino alla baita dei genitori di lei, dove hanno deciso di passare il loro tempo immediatamente dopo il sacro rito coniugale. Da allora Bea apparirà sempre più distante e strana agli occhi del marito, dando segni di squilibrio e malessere che sfoceranno, lentamente, in un disagio estremo che metterà a rischio la loro relazione, fino a quando ormai, i due capiranno di essere ad un punto critico, incapaci di comprendersi a causa di un qualcosa che si è insinuato sul loro percorso, che sta portando la coppia ad una lenta pazzia ed agonia.
Honeymoon è un horror di tipo indipendente, limitato, sotto il profilo dei fondi, e per questo portato a fare della necessità una virtù. La regia della Janiak è attenta e precisa, cura i dettagli e le inquadrature e ciò le permette far chiudere un occhio sotto alcuni aspetti meno riusciti, come una telecamera a spalla a volte troppo presente o delle panoramiche assenti che avrebbero donato un senso di pienezza alla vicenda narrata, mancante, a momenti, di una sceneggiatura aggressiva o dal ritmo serrato. Poco male, perché nella sua scelta di essere intima e claustrofobica,
Senza andare a disturbare i grandi classici per confronti o analogie, Honeymoon sembra omaggiare a più riprese alcune inquadrature iniziali Spielberghiane che ricordano il fantastico Duel, mentre le atmosfere, frustranti, deliranti, psicologiche e angoscianti, caratterizzate da un tocco di introspezione psicologica, richiamano il cinema di Von Trier, ed in maniera maggiore quello di Polansky ed il suo capolavoro Rosemary’s Baby, mentre quel che concerne gli elementi puramente“carnali” e fisici, evidenti in
Ad un primo impatto Honeymoon può sembrare un lavoro scialbo o poco interessante, ma è un progetto ricco di spunti e modesto nella sua semplice essenza, realizzato con cura e passione, percepibile dietro ogni ripresa, che se da un lato risente dei bassi finanziamenti stanziati per la sua realizzazione, dall’altro cerca di fare del proprio meglio con i mezzi a disposizione. Leigh Janiak si affida a Rosalie Leslie e Harry Treadway per i ruoli dei due protagonisti e la loro formazione britannica, figlia di studi teatrali sui quali quest’ultimi possono fare affidamento, si nota ed ha un certo peso per quel che concerne il giudizio finale sulle loro performance, convincenti e ben affiatate. Come pellicola di esordio Honeymoon si rivela, dunque, più che buona, mostrando una limitazione che, probabilmente, è unita alla natura di cinema indipendente, ma il messaggio che manda alla fine è importante e chiaro, non solo all’interno dello schermo, ma anche fuori; la Janiak è una delle poche registe donne di genere, e la delicatezza, così come il tocco personale, si avverte in determinate sequenze che fanno del suo primo progetto un’opera di cui tener conto ed un biglietto da visita di considerevole qualità.