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Recensione di Hellboy : The Golden Army

Recensione di Hellboy : The Golden Army 

Avere il privilegio di godere di un’immaginazione fervida come quella di Guillermo Del Toro è un dono più unico che raro, e sebbene le ispirazioni nella grande calderone delle idee del Cinema non manchino, né gli autori, che con la propria personalità sono riusciti a riflettere sul grande schermo una determinata visione del mondo in modo inedito e ricco di sfumature originali, è sempre un piacere addentrarsi in una storia narrata dal noto regista messicano, che con il passare degli anni ha affinato la sua tecnica senza, però, mai far scemare la sua impronta, portando alla luce lungometraggi inconfondibili e forti di un marchio indelebile.

Hellboy : The Golden Army, all’apparenza, si mostra come un semplice seguito di quel primo capitolo del 2004 che presentava per la prima volta, agli occhi del pubblico, “Red”, il diavolo figlio di Satana, venuto sulla terra durante la Seconda Guerra Mondiale, sfuggito per un soffio dalle grinfie dei nazisti ed allevato dallo scienziato Trevor Bruttenholm, destinato a diventare, una volta adulto, un paladino della gente comune, tenuto nascosto, però, agli occhi di tutti dietro un programma di massima segretezza da parte del governo Americano.

Le cose, successive ad un’anallessi introduttiva, prendono il via esattamente poco tempo dopo gli avvenimenti accaduti in Hellboy, con l’arrivo a New York del Principe Nuada, deciso a riunire sotto il proprio controllo la terribile e temibile armata d’oro costruita ed assemblata, centinaia di anni prima, stando alla leggenda, per mettere fine alla guerra tra Orchi, Elfi, Goblin ed Umani. Gli abitanti della terra, secondo il discendente della nobile casata degli elfi, sono infatti diventati avidi, egoisti e crudeli, non rispettano ciò che hanno attorno né la bellezza che li circonda, distruggono tutto ciò con cui interagiscono ed i loro cuori sono alimentati dall’odio, non esiste alcun buon sentimenti insito in essi e persino nella loro sfumatura più superficiale questi appaiono volgari. Red, Abe e Liz, avranno il difficile compito di mettere fine al piano disperato del nobile elfo, per non permettere a quest’ultimo di distruggere la razza umana, sebbene, questa, si mostri, con il passare del tempo, tutt’altro che meritevole di un salvataggio estremo che il rosso Hellboy e compagni sono chiamati a fare.

Accostarsi ad una pellicola di Guillermo del Toro si rivela essere ogni volta una sorpresa, di quelle genuine e che difficilmente possono deludere chi cerca, in essa, un po’ di tutti quegli aspetti che hanno dato fama al regista etichettandolo come uno dei più visionari dei nostri tempi. Sebbene il rischio di ripetersi e perdere smalto con una sceneggiatura meno curata o mostrare scarso interesse nel gestire per due volte lo stesso tema, con questo secondo capitolo, fosse concreto, l’autore messicano dopo poche scene e sequenze non si vergogna a mostrare tutto il suo estro e creatività, rivelando non solo un’ispirazione illimitata ed una fantasia da vendere, ma sopratutto di essere pronto a giocare e stimolare lo spettatore con riflessioni tra le righe e trovate estetiche che faranno cadere a molti la mascella per la bellezza visiva con cui sono portate sullo schermo.

The Golden Army sotto il profilo artistico è una delle vette più alte del cinema degli ultimi anni, un tripudio ed un omaggio al macabro, al fantasy, al fantastico ed al grottesco dentro al quale è possibile ricercare e trovare molti degli elementi legati ad un certo tipo di letteratura, rivisitati, pur tuttavia, sotto una forma moderna e parallela ad una poetica estetica che fa di Del Toro uno degli uomini più importanti del panorama cinematografico. Se non fosse, infatti, per quel cocktail, a dir poco micidiale, che magicamente riesce ad unire bellezza con bruttezza, nel rendere genuinamente aggraziata una qualunque cosa che si palesa nella sua oggettività come brutale e ributtante, potremmo dire di aver tra le mani una pellicola solida ed interessante, ma a tratti anonima, mentre il secondo atto di Hellboy è proprio quando mostra i suoi “mostri”, di vario genere e natura, che rende nota la sua infinita modernità e originalità, prendendo, in tal modo, di gran lunga le distanze dalla concorrenza e alzando in maniera considerevole il livello di incanto visivo.

Eppure, ricercare un’armonia nella sua forma più esteriore e trovarla unicamente nella realizzazione degli ambienti o dei mostri fatti in computer grafica ed il make-up, significherebbe accantonare un aspetto della produzione importante, che, come accade spesso, viene a volte meno quando si è dinnanzi ad un qualcosa che affascina al primo impatto. La storia, che si allontana considerevolmente dalla controparte cartacea di Mike Mignola, realizzatore della originale graphic-novel, qui scritta interamente da Del Toro, riserva non poche sorprese e spunti interessanti, allestendo tutto un insieme di momenti e scene di grande importanza, che si sposano alla perfezione con tutti gli elementi visivi presenti e capaci di dare una profondità inedita per quel che concerne il mondo dei comics e dei suoi derivati.

La svolta, se così vogliamo chiamarla, di questo Hellboy sta proprio nel fare un distacco netto e marcato di un mondo che appare ai nostri occhi tutt’altro che bello e solare, rappresentato costantemente nelle ore notturne e portato avanti da un’eccezionale fotografia che sprigiona luce e fascino proprio dai protagonisti sulla scena che solo in un primo momento si rivelano essere come delle aberrazioni della natura. In un’oscurità interiore portata avanti dal genere umano, che non si vergogna a disprezzare coloro che si mostrano diversi, ma che, anzi, li accusa e maltratta in quanto tali, Hellboy, Abe e Liz sembrano risplendere di una vitalità e sincera naturalezza la quale, nel contrasto con un mondo marcio e cinico, ormai fondato sull’odio, viene accentuata ancora di più.

Guillermo Del Toro fa un duro confronto con quello che potremmo definire un universo, come quello dei fumetti, dai tratti realistici, contro quello che è più comunemente nota essere la visione buonista di casa Marvel. Red, pur salvando più e più volte l’umanità da situazioni di grande pericolo, non riceve i plausi e l’ovazioni delle persone, né viene accolto o apprezzato, l’opinione pubblica non fa di lui una star né tanto meno i bambini corrono ai suoi piedi per un autografo o una fotografia.

In quanto essere unico nella sua natura e figlio di un’altra dimensione, Hellboy viene messo finalmente dinnanzi alla cruda realtà, guarda il prossimo dietro ad uno sguardo oggettivo e capisce finalmente che non è possibile piacere a tutti, sopratutto quando vieni indicato come un pericolo per la sicurezza. Donando, perciò, una sfumatura negativa agli uomini, Del Toro fa della missione del Principe Nuada non un atto folle e scellerato, ma una vendetta a tratti quasi giustificabile, lontana dalla morale, ma al tempo stesso nata dal dolore e dalla delusione, cucendo all’antagonista un ruolo molto più incisivo di una nemesi di poco conto.

Puntando molto sul concetto di unicum dei personaggi e su elementi che cercano, quasi sempre, di conferire al film una tendenza ad essere una lotta per la sopravvivenza, The Golden Army abbraccia in più di un’occasione un’ironia graffiate e macabra, saggia e dosata nel saper unire il grottesco più dark ad un dramma “umano” crescente e costante. Il regista messicano cerca di conferire, a situazioni e personaggi, momenti e dialoghi sopra le righe, ma mai eccessivi, che se da un lato alleggeriscono la pellicola, dall’altro ne rivelano la propria natura goliardica, provocatoria e scanzonata.

Hellboy – The Golden Army è uno dei migliori film, tratti da una graphic-novel, degli ultimi anni, un grande affresco dove l’immaginazione e l’impronta visiva di un autore quale è Guillermo Del Toro trova finalmente il modo di emergere e dimostrare il proprio potenziale. Se sotto il profilo tecnico ormai siamo messi davanti, ancora una volta, all’impeccabilità, con il secondo atto di una possibile trilogia, Guillermo ha saputo creare una storia che, sebbene vada oltre l’eccellenza per quel che concerne il reparto del design e degli elementi artistici, cattura anche nella sceneggiatura e nei dialoghi, facendo un tutt’uno con i momenti ricchi di pathos e le sequenze scanzonate, se non addirittura deliranti (una su tutte l’intermezzo musicale che vede Abe e Red cantare Can’t Smile Without You da sbronzi) firmando così uno dei suoi migliori lavori, di cui non se ne può fare a meno e sentivamo il bisogno. Hellboy si palesa a tutti noi come un semplice confluire di idee e innovazione tecniche e visive che tolgono il fiato sia sotto l’aspetto estetico che sotto ogni passaggio narrativo, dove la creatività non cede il passo alla sostanza, seguendola mano nella mano, e dove la forma, nel trattare di oscure questioni, riesce a brillare più di ogni altra stella nella più cupa delle notti, rivelandosi un faro di puro intrattenimento e cinema che non tutti sapranno, magari, cogliere nella sua essenza, tra una citazione ed omaggio cinematografico/letterario e l’altro.

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Fantasy, Horror, Comics, Guillermo Del Toro, Ron Perlman,
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4
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