Recensione di Dark Shadows
Catturare lo spettatore, fargli credere, senza che si allontani con la mente da ciò che vede o ci pensi troppo su, che quel che andrà a scoprire potrebbe, di lì a poco, accadere anche a quest’ultimo, sta solo nell’estro e nella capacità che un neofita o un esperto cineasta ha nel portare alla luce ciò per cui lavora. Un impegno non da poco, dunque, quando siamo costretti, noi uomini e donne
Un cineasta quale Tim Burton sa, tuttavia, come far leva e, cosa ancor più importante, conosce bene gli stilemi ed i particolari del suo cinema che, con gli anni, hanno caratterizzato non solo tutta una moda di vivere, ma anche una particolare forma d’arte, sul grande schermo, riconducibile ad una corrente pop-gotica.
Dopo il tanto discusso Alice in Wonderland, pellicola commissionata dalla Disney, che probabilmente rappresenta il punto più basso della cinematografia dell’autore californiano, (ma adottato ormai da tempo dalla cittadina inglese di Londra), si torna a parlare
Dark Shadows è, probabilmente, una delle pellicole migliori dell’ultimo Burton, che prende sotto la propria ala varie linee narrative e tematiche sociali, per espandere il proprio potenziale nella realizzazione ed approfondimento dei tanti personaggi che appaiono sullo schermo nella durata complessiva della pellicola.
Quella che un tempo, negli anni ’60, fu una nota serie tv americana, oggi è una sceneggiatura curata da Seth Grahame-Smith, colui che, per chi non lo sapesse, ha pubblicato il libro Orgoglio e Pregiudizio
Burton, dunque, partendo proprio da quanto scritto da Grahame-Smith, decide di realizzare un film incentrato sulla storia del giovane Barnabas Collins, il quale, giunto nel New England da Liverpool, per approdare più precisamente in quello stato del Maine tanto caro a Stephen King, assieme alla propria famiglia, nella seconda metà del 1700, vedrà scomparire, con il passare del tempo, tutto ciò che egli ha di più caro, a cominciare dagli amati genitori, deceduti in un misterioso e tragico incinte, fino alla benevolenza della cittadina Collinsport, che deve proprio a quest’ultimi il proprio nome. Dietro, infatti, ai malefici ed alle stregonerie che corrodono la vita di Barnabas, si cela la domestica Angelique Bouchard, delusa e adirata per non essere stata mai amata da quest’ultimo, che a lei ha preferito l’eterea Josette. Vittima di un’oscura maledizione, il rampollo dei Collins, nonché ultimo discendente in terra Americana, è costretto a vivere un’esistenza dannata, sotto le vesti di un vampiro, dentro una tomba,
Dark Shadows manifesta, senza alcun dubbio, una voglia sfrenata di far Cinema da parte di Burton, il quale sembra non essere mai stanco nel rappresentare un mondo che vive degli echi intimi della sua persona, del suo essere visionario ed originale, e che, fortunatamente, non ha tutt’oggi modo di apparire datato o sovraccarico di barocchismi o citazioni.
Dietro ad una perfetta padronanza tecnica, una fotografia d’effetto riconoscibile e riscontrabile nelle altre produzioni del regista, l’opera si rivela un cocktail frizzante, sobrio ed elegante di comicità contenuta nella postura sempre attenta e vigile della figura dell’oscuro Barnabas Collins, il quale, come vuole la tradizione, ha il volto Johnny Depp, nettamente più bravo rispetto al passato, che continua la propria collaborazione con Burton e che stavolta all’interpretazione sentita, preferisce un’approccio professionale e sicuro, capace di lavorare sull’esperienza che ai tempi di Edward Scissorshands non possedeva,
Mischiando oscurità, perversione, ironia e cinismo, il remake della nota serie tv, è tanto brillante nei suoi colori quanto oscuro nella propria messa in scena, che, senza molte lusinghe, non dimostra poi tanto fatica a narrare la vita (s)fortunata di persone (un tempo) ricche, ma in decadenza, vittime quasi più del proprio nome che delle proprie colpe. I personaggi in Dark Shadows sono straordinariamente coerenti alla visione del film-maker di Burbank, e al loro interno godono di sfaccettature cariche di ambiguità ed inquietudine. Se, infatti, l’accettarsi per come si è, rappresenta una delle massime del cinema di Tim Burton, a questo giro la propria natura non solo ci conferisce la concezione di chi siamo, ma anche la consapevolezza che non tutti possono essere buoni. Barnabas, dietro al suo onore, i suoi modi cortesi, sebbene antiquati, ed all’eleganza dark, rimane, a tutti gli effetti, un vampiro, una creatura della notte,
Sarebbe, tuttavia, ingiusto prendere un elemento tanto presente nei lungometraggi di Burton per smascherarne la natura malvagia, perché, se quanto detto sopra è vero, lo è anche il fatto che proprio nella figura della giovane Victoria, re-incarnazione di quella che fu l’amata Rosette, si sviluppa una sotto-trama interessante, vera placenta di tutte quelle idee e tematiche figlie della mente del visionario regista, dove l’individuo, mal visto da tutti (e persino, per l’occasione, dai propri genitori, come nel ’95 lo fu il Pinguino in Batman Returns ) in quanto diverso, si rivela, non solo migliore, ma tale proprio grazie alla sua natura da outsider. Così, il pregiudizio e l’orrore verso colui che reputiamo ostile, e che ci fa paura, segna non solo il mostro che alberga nella gente comuni,
L’ironia, contenuta, mai grottesca, elaborata e sofisticata al punto giusto, di Dark Shadows si riversa persino in questo lungometraggio dalle tinte dense di un femminismo inedito per gli standard di Burton, dove, se i personaggi principali sono quasi sempre di sesso maschile, raramente vediamo che questi lasciano “posto” a comprimari femminili particolarmente ben tratteggiati o importanti, sebbene più volte determinati. Michelle Pfeiffer, qui ancora in gran forma, così come la bellissima Eva Green, o l’opportunista Helena Bonham Carter, danno il volto a donne forti, vittime di abusi e sentimenti che non si vergognano a combattere e sconfiggere, rappresentano personalità cariche di un’emotività che riesce ben ad emergere nella commedia gotica della vita, dove il tutto si riduce in una gara alla sopravvivenza senza esclusione di colpi.
Dark Shadows è una pellicola originale e gustosa, composta e quadrata, piena di rimandi e citazioni al cinema espressionista che Tim Burton continua ad amare alla follia, così come ai grandi classici Europei del passato. E’ un gioiello che offre quel qualcosa in più al pubblico grazie alla mano di un regista dotato di un talento capace di renderlo un unicum nel vasto scenario cinematografico, che, per quest’occasione, dimostra un forte attaccamento non solo ad una particolare forma d’arte visiva, ma anche ad un preciso pensiero musicale che sfocia in una colonna sonora pop e rock, ove non è poi casuale sentire, di tanto in tanto, oltre che
Tim Burton, anche questa volta, fa del suo stile un marchio di fabbrica indelebile, dirige una storia semplice, una commedia dove riesce a far muovere i personaggi divertendosi ad incappare negli errori e nelle bizzarrie di quest’ultimi, raccontando con semplicità di vampiri e streghe, senza perdere il suo tocco magico, senza farci rimpiangere i suoi momenti migliori, forse perché, anche adesso, Burton continua a dare il meglio di se, sia ben chiaro, piaccia o meno.