Recensione di Dallas Buyers Club
Dopo lo storico The Young Vittoria, Jean-Marc Valée decide di portare sul grande schermo la storia del rude ed omofobo texano Ron Woodroof, al quale viene diagnosticato l’HIV. Siamo nel 1986, gli anni in cui l’AIDS comincia ad entrare nella vita delle persone e presentarsi come la morte nera del ventesimo secolo. Wroodroof, a cui viene dato un solo mese di vita, decide di non seguire i consigli e le cure che i medici vogliono dargli e parte per il Messico, con la speranza di poter trovare una soluzione e vivere più a lui di quanto gli è stato profetizzato.
Valée nel raccontare la travagliata, quanto drammatica, esistenza di un uomo che da egoista, solitario ed omofobo si ritroverà a lottare contro le case farmaceutiche, l’uso dei medicinali tossici per i pazienti e che farà dell’amore vero il prossimo, anch’esso condannato a vivere nella malattia e nel pregiudizio, un cardine fondamentale dell’esistenza, regala al pubblico un film che ha nei due interpreti principali il vero punto di forza e ai quali chiede molto sopratutto dal punto di vista fisico rendendoli quasi scheletrici. Basandosi su una vicenda realmente accaduta e girando una pellicola del tipo biografico seguendo i canoni del genere, l’autore di C.R.A.Z.Y. confeziona un film che, sebbene non vanti una sceneggiatura da Oscar, riesce a portare a casa qualcosa di inedito e convincente per certi aspetti. La storia, per quanto voglia alla fine esaltare e forse anche in modo un po’ ruffiano nel finale commuovere il pubblico, vede un Matthew McConaughey in perfetta forma, qui forse calato nella interpretazione della sua vita, per la quale decide di perdere ben 25 kg e reggere un interno film sulle spalle, dato che l’attenzione del regista si concentra quasi sempre di lui, mentre attori come Jared Leto attirano l’attenzione dello spettatore grazie al talento ed alla singolarità con cui sono rappresentati riuscendo benissimo a bucare lo schermo. Il frontman dei 30 Second to Mars è forse la vera rivelazione dell’intero lungometraggio, se consideriamo di fatto che questa rappresenti, nel bene o nel male, la consacrazione dell’attore McConaughey ormai definitivamente con la testa sulle spalle da quel Killer Joe di Friedkin.
Dallas Buyers Club non è di certo il miglior biopic di questi ultimi anni e nemmeno il più innovativo, tanto che potrebbe risultare, persino, in alcuni momenti un po’ lento e tirato per le lunghe, complice anche uno script a volte che punta un po’ troppo, sopratutto nel finale, in un percorso di redenzione (se non glorificazione) del protagonista e che cerca in modo astuto di commuovere gli spettatori. Eppure, a fronte di tutto ciò, la pellicola merita di essere vista, se non altro per assistere a due delle migliori performance che questo 2014 (sebbene il film sia stata girato nel 2013 e messo nei circuiti americani lo scorso anno) offre a noi tutti; Privo di ogni fascino, perfetto nelle vesti di un uomo che vuole essere padrone della sua vita, pieno di pregiudizi e odio vero il prossimo, McConaughey si consacra come uno dei (nuovi) migliori attori del momento dando il giusto tono drammatico al suo personaggio e la necessaria profondità, accompagnato da un Jared Leto che a sua volta convince e stupisce. Sullo sfondo di tutta questa vicenda, ci sono le critiche ad una società Americana che non cerca di aiutare i malati ma punta tutto sul guadagno ed il business e che prova ad affondare quelle persone che vogliono avere il pieno controllo delle proprie scelte, metafora che Valée rappresenta con un Wroodroof a cavallo di un toro infuriato in un rodeo.
Claudio Fedele
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