Recensione di Creed – Nato per Combattere
Adonis, Donnie, Johnson, figlio illegittimo di Apollo Creed, ha paura di vivere nell’ombra di suo padre, il pugile campione del mondo morto poco prima della sua nascita, ma la passione per la boxe sembra essere insita in lui come una maledizione, tanto da condizionare profondamente la sua esistenza. Lasciati gli sfarzosi ambienti di Los Angeles, dove viveva assieme alla madre adottiva moglie del padre biologico, Adonis si reca a Philadelphia in cerca di Rocky, l’amico ed al contempo grande avversario di Apollo, il quale, ormai vecchio e stanco, tiene un ristorante con cui riesce a sbarcare il lunario e vivere modestamente. L’incontro tra i due rappresenterà una vera e propria scintilla, capace di far rievocare ad uno il passato vissuto, nella gloria e nella fama, da campione ed all’altro di combattere le proprie paure e affermarsi come erede degno del nome che porta.
Si ritorna, finalmente, a parlare di boxe, quella dura e cruda, in un appuntamento che conferma già quanto visto in passato, capace di sottolineare come al cinema, questo sport, sembra non stancare mai, sposandosi benissimo con il grande schermo e adattandosi a alla perfezione a svariate interpretazioni ed innovazioni sia tecniche che contenutistiche; questa volta è Ryan Coogler a voler mettere il proprio nome accanto a quello di un pantheon di personaggi iconici ed immortali quali sono Rocky Balboa e Apollo Creed, protagonisti indiscussi non solo di lungometraggi che hanno fatto la storia della settima arte, lanciando attori come Sylvester Stallone, ma anche di veri e propri tormentoni che hanno segnato un’epoca, andando ben oltre i limiti imposti ed entrando nei cuori del pubblico senza mai abbandonarli.
Creed – Nato per Combattere è un film che mantiene tutte le premesse di cui si fa carico, abbraccia il passaggio di consegne tra due generazioni e trascina lo spettatore in una storia avvincente, emozionante e appagante. Sotto questo punto di vista non si può chiedere molto di più alla fatica di Coogler, che, conscio del fardello e dell’onere che porta sulle spalle, non si limita solamente a rispolverare una saga immortale, ma destinata probabilmente ad un remake a breve, e con mano ferma e coraggio affronta un viaggio di crescita e maturità interiore, da parte nel protagonista, con cui mostra la genesi di un pugile che lentamente si crea dalle ceneri di un mito ormai caduto entrato nella leggenda.
Se da un lato quello a cui assistiamo rientra pienamente nei canoni del genere, grazie a sequenze ormai storiche immancabili in produzioni di questo tipo, come può essere l’allenamento, il riscatto, la vittoria, l’amicizia, dall’altro è assai efficace il cambio di direzione che questo Creed vuole fare per identificarsi come un prodotto capace di stare in piedi per conto proprio. Lasciati, infatti, i sobborghi abitati da italo-americani, sostituiti da quelli afro, diversi anche per la musica ed i costumi, Coogler opta per un’originalità capace di amalgamare passato e presente, cucendo addosso alla sua creatura una veste che goda degli echi epici, complice anche la musica che fa il suo dovere, di chi l’ha preceduta ed allo stesso modo non si riveli una semplice emulazione figlia di un’operazione di mercato per far leva sulla nostalgia degli appassionati.
C’è di più, non a caso, in tutto questo, un’irrefrenabile ambizione e rispetto per il materiale di partenza con cui deve fare i conti la pellicola, e Creed lo dimostra in tanti passaggi, a cominciare dai rimandi e dalle citazioni al primo Rocky o al quarto episodio, fino all’entrata in scena di Stallone, la cui prova rimane encomiabile.
Il Balboa che vediamo adesso è un uomo ormai anziano, un gigante buono che nella sua semplicità si limita a dare consigli a chi gli sta intorno senza chiedere niente in cambio, un uomo di altri tempi, un filantropo a cui non piace farsi pubblicità, ma che abbraccia ogni cosa con una genuinità ed una calma quasi filosofica. Una figura quasi crepuscolare, romantica e decadente, che in questo spin-off si eleva a co-protagonista segnato dal tempo, ma dotato ancora di quel fascino immortale, arricchito da una sceneggiatura e dai dei dialoghi capace di fare di lui un comprimario completo e complesso, reale e sincero, che porta il volto di un Sylvester Stallone in un tale stato di grazia da meritarsi, indubbiamente, qualche riconoscimento. Se Stallone, infatti, ha sempre avuto dei limiti per la sua mono-espressività, che non ha mai giovato troppo alle sue performance relegandolo ad attore indirizzato unicamente a ruoli da macho, a questo giro Sly fa della sua debolezza, e delle sue mancanze, un vero e proprio punto di forza su cui fare leva, la faccia con cui affronta questa sfida, sciupata dagli anni e dal tempo, piena di rughe e preoccupazioni, è un insieme omogeneo di tristezza, compassione e solitudine, quel volto che ti aspetteresti di vedere in un uomo che ha perso moglie e amici, in attesa solo della morte.
Un lavoro davvero encomiabile, perciò, quello fatto da Coogler, che regge benissimo fino alle battute finali, dove, purtroppo, in più di un occasione scivola e inciampai stilisticamente e tecnicamente, lasciandosi andare a qualche eccesso di troppo, perdendo quella personalità che ben emerge per gran parte della pellicola, eppure Creed è una storia che si vive sulla pelle e si guarda senza mai stancarsi, un riscatto personale da parte del giovane protagonista che, pur di trovare se stesso, abbandona lavoro e lussi, compie un percorso di maturazione e consapevolezza, a cui non importa vincere per affermare il proprio nome, ma interessa lottare per convivere con il proprio passato e prendere atto di chi è davvero. Una favola capace di coinvolgere il pubblico e confezionare momenti di grande empatia, non andando mai troppo oltre il consentito e prendendo in analisi il mondo della boxe attraverso quei personaggi che ne hanno fatto la storia sul grande schermo.
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