Recensione di Contagious – Epidemia Mortale (Maggie)
Alla fine è arrivato, finalmente, nei nostri cinema, sotto il caldo estivo, Maggie, vale a dire Contagious – Epidemia Mortale per gli spettatori Italiani, ovvero un altro solito caso di pessima ed ingiustificata traduzione operata per attirare nelle sale il maggior numero di persone possibili facendole credere che quel che andranno a vedere sarà una pellicola stile World War Z o Virus Letale, lavoro, questo, che ha fin da subito destato un certo interesse, se non altro per l’atmosfera che fin dal trailer riusciva a trasparire e ad affascinare.
Maggie è un film tutt’altro che commerciale, capace di offrirsi allo spettatore esattamente come un’esordio puro e crudo da parte di Henry Hobson, in questi anni chiamato in causa nei retroscena di numerosi film, per la realizzazione dei titoli di testa ed altri elementi di contorno, e di videogiochi quali The Last of Us. E non è casuale questo nome, (e gli amanti dei videogiochi avranno già compreso, a questo punto, tante cose, godendo in anteprima di una certa chiave importante per la comprensione della storia) dato che l’attaccamento allo zombie-movie Hobson se lo è tenuto con se per tutto questo tempo accrescendolo e coltivandolo nel suo piccolo, per farlo poi diventare la sua opera prima. Maggie rivisita in maniera non tanto originale, quanto incredibilmente drammatica e realistica, il rapporto tra uno “non-morto” e coloro che vivono insieme a questi. Arnold Schwarzenegger, in una delle sue prove più importanti, è un padre di famiglia, costretto ad assistere al lento
La pellicola è tutt’altro che spettacolare, si mantiene su toni lenti e costantemente seri, accompagnata da una fotografia che abbraccia le sfumature di grigio e bianco contaminate da una filigrana particolare arricchita da un effetto che ricorda le spore, anch’esse un richiamo al videogame sopra citato, così che quel che vediamo risulti costantemente sporco, capace di strizzare l’occhio alle scenografie di città in piena decadenza ed abbandonata, ma sopratutto contaminato dalla presenza della morte.
Indubbiamente l’idea di partenza era ottima, rivelatrice che non è tanto il trapasso ad essere fatale o il più noto “scontro” tra vivi e morti, ma il lento processo, l’attesa estenuante, quel mutamento che piano, piano ti porta a perdere coloro che ami e che speri, anche invoc
Peccato, certo, constatare che l’inesperienza di Hobson, a cui non possiamo farne una colpa, e qualche lacuna nella sceneggiatura (uno o due dialoghi sono da buttare, così come una sequenza tra teenager del tutto gratuita e superficiale) abbia penalizzato un lavoro che sotto molti aspetti, prima di tutto quello tecnico, poteva dare di più, molto di più, non riuscendo a far proprio una climax ricca di ambizioni e aspettative che il regista riesce a tenere in piedi per quasi tutta la durata del lungometraggio, analizzando molti elementi di una società post-apocalittica in modo convincente, con spirito critico ed umano, guardano costantemente il tutto con una intimità tanto profonda che in ultima analisi apparirà inedita ai più, di cui se ne sentiva oggettivamente il bisogno. Pur non essendo un biglietto da visita straordinario, resta, Maggie, una pellicola da vedere, interessante, che affronta un tema delicato come l’eutanasia, in senso lato, ma che purtroppo, proprio nel finale, rivela una natura superficiale e scontata, e pensare che gli ultimi secondi,
Un breve appunto su Arnold, che dopo tanti film da super-macho, gli tocca un ruolo da perdente; egli, infatti, non è altro che un uomo sconfitto, senza soluzioni e senza colpe, ma carico di responsabilità, a cui manca, tuttavia, l’occasione di dar vita al proprio dolore. Messi da parte sigari cubani e steroidi, per quel che concerne la sua interpretazione, resta apprezzabile lo sforzo e l’impegno mostrato nel lungometraggio, finalmente abbiamo la riprova che persino i duri degli anni ’80 cadono e dinnanzi alla forza bruta della Natura, tutti sono delle formiche, persino Terminator.