Recensione di Christine – La Macchina Infernale
Dopo che registi come Brian De Palma e Stanley Kubrick si furono impegnati a portare sul grande schermo storie tratte dai romanzi di Stephen King, stiamo parlando dei famosi Carrie- Lo Sguardo di Satana e Shining rispettivamente nel 1976 e nel 1980, anche a John Carpenter toccò la medesima sorte. A lui fu affidata la realizzazione di Christine – La Macchina Infernale tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore del Maine. Trova così conferma il fenomeno King e da questa nuova collaborazione tra cinema e letteratura usciranno successivamente lavori di rara bellezza tra cui Le Ali della Libertà, Stand By Me, Il Miglio Verde ed altri più modesti come 1408, Pet Sematary o It.
Sebbene Carpenter sia noto ai più per essere uno dei padri fondatori del genere horror, i cui film registi come Wes Craven hanno utilizzato come fondamenta, omaggiato e ne hanno cavato ispirazione, questo lungometraggio, a lui affidatogli dalla Columbia Pictures, rimane forse uno dei suoi lavori più “quadrati”. C’è indubbiamente una maestria ed una tecnica nel girare le scene di Christine da manuale e degne di nota, ne consegue quindi che il prodotto dal punto di vista registico è ben fatto e curato eppure, per quanto riguarda la storia, si vede abbastanza nitidamente che il lavoro deve molto al romanzo da cui trae spunto e che è un racconto fatto integralmente alla King con i suoi lati positivi e negativi. In tutto ciò, nel vedere la macchina Christine, inteso come ente demoniaco, che per tutto il film lo vedremo attirare sempre più l’attenzione dello spettatore fin quasi a diventare un co-protogonista, è affascinante osservare come già negli anni ’80 (anni in cui è stato realizzato il lungometraggio) alcuni aspetti della società fossero ben delineati. All’interno della pellicola vi è un forte messaggio, racchiuso nell’esplicita metafora che vede il valore del personaggio principale legato unicamente ai mezzi che questo possiede. Di fatto il giovane Cunningham inizia un percorso di maturazione perversa che lo vede passare da vittima degli atti di bullismo dei suoi compagni e alunni della sua scuola più grandi a (semi) teppista antipatico, ma sopratutto da innocuo e bravo ragazzo a giovane corrotto, pieno di odio verso il prossimo e distrutto nel suo intimo grazie unicamente all’influenza e alla presenza della macchina, che in una società come gli anni ’70 (ma questo discorso vale anche tutt’oggi se ci pensiamo bene) non si limitava solo ad essere intesa come un oggetto, ma qualificava e rispecchiava le persone per come erano davvero e a che tipo di famiglie appartenessero (o fossero). E’ poi senza dubbio meritevole di nota il lavoro che Carpenter sia riuscito a realizzare con i pochi mezzi a disposizione e gli effetti speciali dell’epoca, riuscendo a far di Christine un personaggio realistico, credibile e di cui aver timore e paura anche se si è consci che essa è solo un mezzo a quattro ruote, ma che con il progredire dei minuti acquista quegli atteggiamenti umani che mette a nudo con canzoni e vari inseguimenti.
Christine – La Macchina Infernale è la dimostrazione da una parte della grandezza della penna di King e di come le sue storie si adattino bene al grande schermo e dall’altra è l’ennesima prova delle capacita cinefile di un autore come Carpenter, il quale sebbene non abbia, stavolta, dato alla luce il suo capolavoro, rimane comunque su alti livelli e che può essere apprezzato da una larga fetta di pubblico, portando alla luce tutta una serie di riflessioni e critiche di una società basata sull’apparenza e sul possesso effimero che ancora oggi hanno un’importanza fondamentale.
Claudio Fedele
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