Recensione di Cenerentola
Che i Classici animati Disney sembrino essere stati rispolverati senza troppe cerimonie, da produttori e sceneggiatori, ormai è cosa nota, chi, infatti, non può aver notato negli ultimi due anni un continuo susseguirsi, in sala, di lungometraggi in live-action figli di una nota controparte realizzata su tavola e matita nello scorso secolo?
Abbiamo avuto, non a caso, Biancaneve e il Cacciatore, Maleficent con Angelina Jolie, l’assai discutibile (di produzione francese) La Bella e la Bestia, con Vincent Cassell e Lea Seydoux, e se volessimo andar ancora più a ritroso nel tempo troveremo nel 2010 il tanto contestato Alice in Wonderland di Tim Burton, mentre, tra qualche mese, sarà Joe Wirght a deliziare i nostri occhi con Pan, un prequel del noto cartone animato incentrato sull’immortale Peter dell’Isola che non C’è.
Nutrire dubbi, sulla resa in scena, e non nascondere apertamente un certo scetticismo su questa “snaturazione” di lavori che hanno fatto la storia del cinema, ed hanno segnato l’infanzia di molti di noi, è senza dubbio lecito, e per questo avvicinarsi a Cenerentola poteva precludere qualche vana riserva o dubbio, sebbene in cabina di regia ci fosse un mestierante esperto quale Kenneth Branagh.
La storia di Ella, a cui viene dato il suffisso di Cenere per pura casualità, dietro ad una perfida osservazione delle sue sorellastre, parte nel più idilliaco dei modi, per poi, dopo la morte prematura dei genitori, diventare una rocambolesca e drammatica esistenza di servitù dove la poveretta è costretta a stare agli ordini della perfida matrigna (Cate Blanchett). Spinta dagli insegnamenti della propria madre, decisa ad essere una persona gentile e coraggiosa, la sventurata ragazza si imbatterà casualmente, un giorno, in Kit, futuro Re, che a breve dovrà prendere in sposa una principessa stando alle usanze del regno. I due, infatuati l’uno dell’altra, grazie ad un ballo indetto dal sovrano, avranno occasione di rivedersi, sebbene, l’incantesimo che permette a Cenerentola di prendere parte al ballo finirà entro la mezzanotte della fatidica serata.
Il difficile compito di portare alla luce un prodotto che sapesse appagare sia un pubblico di giovani che di adulti, mescolando, magari, anche elementi e sfumature del cartone originale, in quest’occasione viene pienamente raggiunto, perché Branagh si rivela un abile conoscitore sia del folklore popolare, che nella ricostruzione scenografica originale, non puntando al barocco e dimostrandosi assai affine al materiale di partenza di matrice fiabesca degli anni ‘50.
Cenerentola, che da figlia di un modesto mercante, diviene una semplice serva, di estrazione sociale pressoché inesistente, bella, ma non così straordinaria, nascosta dalle sorelle e dalla matrigna agli occhi di tutti, dimostra quanto l’amore, la purezza, la gentilezza e l’animo nobile (e non il corrispondente titolo) possano rappresentare il giusto modo per vivere con dignità e giustizia, rivelando, dunque, quanto di buono possa esserci in noi. Perché, sebbene il messaggio di fondo non sia dei più originali, è importante, ancor oggi, ricordare a noi tutti che non è attraverso l’odio o la cattiveria che si diventa delle persone migliori, e che le virtù più alte siano proprio il coraggio e l’amore, l’altruismo e la cura che rivolgiamo agli altri prima che a noi stessi.
La pellicola, che si fa apprezzare per i collegamenti al cartone d’animazione, che vanta una messa in scena che sfrutta gli spazi e muove i protagonisti quasi come su un palco teatrale, è arricchita da sequenze spettacolari, come quella della fuga da palazzo di Cenerentola, ed vanta una convincente prova collettiva del cast, dove su tutti si fa notare la straordinaria bravura della Blanchett. Nel complesso l’ultima fatica di Branagh risulta un’opera quadrata e priva di guizzi visivi eclatanti, ma, per tutta la sua durata, sorretta da una solida basa narrativa, che non vira il tutto verso momenti banali o superficiali, ma che piuttosto prova continuamente a migliorarsi e cercare di ottenere il meglio da tutti i componenti della storia d’origine. Nessun personaggio, secondario, inoltre viene sacrificato, compresi i tanti topolini, il gatto Lucifero, la zucca che diviene carrozza, la fata madrina, e le innumerevoli sfumature fiabesche insite nella storia.
Cenerentola è, al momento, forse il miglior film tratto da un classico d’animazione Disney, non perché sia un lavoro straordinario, o innovativo, né perché offra un’inedita chiave di lettura di quello che ha rappresentato un capolavoro del passato, ma perché sa mandare a tutti un messaggio importante ed ancora attuale, abbraccia la vicenda della giovane orfana senza cadere nelle blande citazioni o arricchire il tutto con situazioni prive di significato snaturate dal contesto originale. Il talento di Branagh si nota nella sua direzione e nella messa in scena, nel saper far buono uso del cast e degli effetti speciali, nel saper cogliere le molte sotto-trame e trovare, nella sua visiva rappresentazione, un’originalità che giova incredibilmente al tutto arricchendo la storia con siparietti e momenti divertenti ben costruiti. Un classico immortale, Cenerentola, certo, invulnerabile al tempo e appagante anche nella sua versione in carne ed ossa.
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