Recensione di Birdman (o Le Imprevedibili Virtù dell’Ignoranza)
“Opera complessa, grottesca, massacrante ed ironica sul mondo del (meta) Cinema, perfetta nella messa in scena, appagante nonché particolarmente disturbante”
La storia di un attore in declino, famoso per aver interpretato un mitico supereroe, alle prese con le difficoltà e gli imprevisti della messa in scena di uno spettacolo a Broadway che dovrebbe rilanciarne il successo. Nei giorni che precedono la sera della prima, dovrà fare i conti con un ego irriducibile e gli sforzi per salvare la sua famiglia, la carriera e se stesso.
Recensione
Il Cinema messicano in questi ultimi anni è in pieno fermento e qualora non l’aveste notato, dati i trascorsi recenti, si direbbe quasi che il Messico stia vivendo la sua epoca d’oro dato che registi come Cuaron ed Iñárritu hanno letteralmente attirato su di loro l’attenzione degli spettatori e della critica internazionale grazie a dei lungometraggi unici e del tutto particolari, capaci di offrire un’impronta stilistica inedita ed innovativa che negli anni passati non è mai venuta meno, simbolo di una costanza ed una ricerca oltre che innovazione tecnica che ha saputo, infine, dare i suoi considerevoli frutti.
La notte degli Oscar 2014 aveva visto trionfare Gravity, ma soprattutto aveva dato il merito per antonomasia ad Alfonso Cuaron, il quale era riuscito a stregare tutti con una messa in scena considerevole, capace di farci penetrare nell’immensità dello spazio e riprendere con estro, dietro alla camera da presa, le disavventure di una Sandra Bullock ormai alla deriva su una stazione satellitare che girava attorno all’orbita terrestre. Alejandro González Iñárritu vola decisamente più basso rispetto al collega ed amico, ma la voglia di far cinema ed il desiderio di mostrare ancora una volta ai più il proprio valore non è affatto da meno ed è con queste premesse, in parte anche rivoluzionarie, che prende vita Birdman (o le Imprevedibili Virtù dell’Ignoranza).
Presentato già alla scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia l’ultima fatica del regista di 21 Grammi e Babel è una vibrante camminata sostenuta nella psiche di un piccolo gruppo di attori e comprimari, impegnati nella messa in scena di una pièce teatrale, capitanati da quel Michael Keaton un tempo interprete dell’uomo pipistrello più famoso dei fumetti. Potremmo dire che, esattamente come Richard Linkelater e Wes Anderson, anche Inarritu “forza” la narrazione a livello tecnico, eccellendo nella messa in scena e mostrando a tutti noi un modo di fare cinema che se non è propriamente “sperimentale” rimane comunque d’avanguardia e straordinario, poiché l’intero lavoro è un lungo susseguirsi di un intero piano sequenza privo di stacchi o inquadrature rapide, una continua ricerca di modificare la concezione di “tempo” e ritmo, e dare ad esso un aspetto così continuo, così realistico da far apparire l’intera produzione estremamente verosimile, come se tra quei camerini di Broadway ci fosse realmente una telecamera che all’insaputa di tutti registra ogni singolo evento anche minimamente interessante e ce lo propone in diretta come se assistessimo ad un reality show, saltellando di tanto in tanto da una visione oggettiva ad una soggettiva dei vari eventi narrati.
Ne consegue, in parole povere, che tali virtuosismi e studiati piani sequenza offrono agli attori coinvolti un trampolino di lancio non da poco per mostrare le proprie virtù ed il proprio potenziale, e di fatto con Birdman non c’è una comparsa o un comprimario che non riesca a non convincere, anche chi, magari, non è avvezzo ad un certo tipo di lavori come, per esempio, il Galafianakis di “Una Notte da Leoni” che, dimagrito, ma pur sempre barbuto, si immedesima perfettamente nelle vesti di un produttore ansioso e stressato costretto a convivere con vari capirci del cast e della troup.
Il lavoro di González Iñárritu, estremamente lodevole per quel che riguarda la messa in scena e eccellente anche per quel che concerne la cura per la fotografia, in fondo cosa vuol rappresentare? E’ una riflessione, intrisa di alcune sfaccettature del cinema di Robert Altman ricercabili nella costruzione di un mondo cinematografico decadente (che sapientemente prende in giro ridicolizzandolo, trovando il modo genuino così di massacrarlo), acuta e sensata su quanto il Cinema possa cambiare con gli anni e quanto, per estensione, esso cambi l’uomo. Perché Keaton riprende un ruolo che a lui si addice perfettamente e non tanto per la sua bravura, ma perché sembra costruito apposta per lui, per colui che un tempo, in uno stato estremo di grazia e fama, prestava il volto ed il corpo ad un altro super eroe in maschera: Batman. Per questo motivo Birdman gode di una attualità disarmante, ironizzando sul cinema, applicando la formula del “meta-cinema”, rivelando che la vita sul palco è tanto vera quanto la nostra esistenza al di fuori di esso per chi ne fa parte, chiamando in causa produzioni enormi di super eroi (come The Avengers) o attori famosi contrapposti ai protagonisti (che o sono alle prime armi o sono dei falliti) e portando il tutto su un piano psicologico dai contorni quasi grotteschi, rivelando al contempo una voglia di beffeggiare sapientemente il tutto senza alcun riserbo.
Purtroppo, Hollywood stessa ci ha insegnato con le sue storie macabre, esiste una realtà molto più cruda, scomoda, e spietata dietro ai tanti premi e sorrisi stampati per le prime pagine dei giornali, ma ancora di più rimane difficile accettare la decadenza della propria persona, quando nel nostro piccolo si perde la consapevolezza che un giorno puoi essere una star ed un giorno un semplice attore quasi del tutto dimenticato che cerca di inscenare uno spettacolo di cui a nessuno importa solo per tornare a far parlare di te sulle numerose testate giornalistiche.
Commento Finale
Birdman (o Le Imprevedibili Virtù dell’Ignoranza) è una pellicola che ci trascina in una New York rumorosa, sporca, claustrofobica, quasi Fincheriana, chiassosa nonché vivace e caotica, carica di suoni e colori che accompagnano il nostro protagonista verso quella che sarà la consapevolezza di ciò che davvero egli è. I tanti passaggi ripresi, apparentemente privi di una qualsiasi forma di montaggio, i monologhi ben orchestrati e curati, accompagnati da una batteria in sottofondo nei momenti più intensi della pellicola, trascinano lo spettatore in un vortice di commiserazione e miseria umana tali da rendere questo lungometraggio un complesso lavoro dalle tinte psicologiche e talvolta oniriche, ove Iñárritu con coscienza riesce a far esprimere al meglio, al suo Michael Keaton, ogni sentimento ed ogni frustrazione possibile sul proprio volto, dando anche ampio spazio ai vari comprimari come Emma Stone ed Edward Norton (anche loro, per un curioso gioco del fato, coinvolti in passato in “cine-comics”) ma sopratutto prendendosi sulle spalle un onere talmente scomodo quanto veritiero che non può non portare lo spettatore medio a farsi due domande e a pensare a quale verità si nasconda dietro al grande schermo. Con un finale emblematico, forse vera metafora della vita e dell’anima del film, Birdman si rivela essere una prova di coraggio eccezionale, grottesca, massacrante ed ironica riuscita sotto ogni punto di vista, appagante e disturbante, (ahimè) attuale e profonda.
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