Recensione di Beetlejuice – Spiritello Porcello
Fuori dagli schermi e schizzato in un ottica gotica dalle sfumature pop, condito da una fotografia che amalgama fasci di luce saturi a tinte puramente dark, dove il nero e il rosso sangue la fanno da padrone, Beetlejuice – Spiritello Porcello (aggiunta al titolo originale di cui gode solo nella nostra lingua) ha segnato non solo una svolta nel mondo del cinema con il suo macabro umorismo, ma ha dato inizio alla carriera di un uomo che ha sempre desiderato allontanarsi dalla mondanità e dall’opulenza di Hollywood per cercare uno stile intimo e personale, dando alla luce lungometraggi figli di una visione ed una poetica propria, intrisa di umorismo ed ironia,
Lo spiritello porcello di Michael Keaton, qui giovane, sporco, stempiato, bravissimo e scatenato (altro che in Birdman, non me ne vogliano i fan di Alejandro González Iñárritu) è un cicerone del caos, un ribelle, un folle fantasma senza regole che precede tutta una serie di interpretazioni di sconquassati e reietti, elementi messi al margine della società moderna, guardati con diffidenza, e la sua performance strizza l’occhio al Cappellaio Matto di Alice in Wonderland, al The Mask di Jim Carrey, così come a tanti altri, rimanendo, a distanza di anni, però ancora incredibilmente originale e disturbante al contempo, intriso di una cattiveria nera e comica, perfetta simbiosi di un mondo immaginario e quasi fiabesco, dove la morte è sinonimo di libertà e la vita borghese di prigionia e monotonia, dove la “luce” è il male e le “tenebre”, per farla breve, sono il bene, sebbene questa dicotomia non sia mai troppo accentuata o manichea nel regista americano. Dietro a quei colori accesi e la rappresentazione dell’utopica cittadina di campagna statunitense, dove tutti si conoscono, si salutano e vivono serenamente, Burton si diverte a far fuori il mito di un’America anni ’80 che puntava a far delle proprie ambizioni e sogni un’idillica realtà, così, quando le basi sociali crollano, lo spasso è veramente garantito, il “diverso” gode di una
Visionario a suo modo, nel riempire la pellicola di effetti speciali, rétro oggi, dal sapore dello stop-motion (tecnica usata per La Sposa Cadavere e il cult Nightmare Before Christmas), ma dal gusto ancora intenso che danno prova della mano dell’autore; il regista di Big Fish mette in tavola tutto il potenziale al quale attingerà negli anni che seguiranno il successo di Beetlejuice, parlando a noi tutti, con le inquadrature ispirate e le musiche delicate e frizzanti di Danny Elfman, con il quale stringe un lungo e immortale sodalizio, di tutta una serie di tematiche
Con questa commedia nera dal finale estremamente calibrato, ma niente affatto fittizio, pomposo o artificioso, Tim si diverte e fa divertire noi tutti, ci fa ballare sulle note di Jump in Line con Winona Ryder in uno dei suoi primi ruoli da attrice, e riesce a conferire al tutto quel sapore leggermente amaro nei confronti della vita, quando il sipario cala, quasi come in un Musical di Broadway, perché parrebbe proprio che l’oltretomba abbia davvero capito cosa conta di più: lasciarsi andare, essere se stessi e stare bene con gli altri.