Recensione di Batman Returns
La domanda è lecita: sarà mai possibile avvicinarsi alla figura di Batman ed alla città di Gotham dopo la parentesi, di ben tre pellicole, di Christopher Nolan, con protagonista Christian Bale?
Un quesito tutt’altro che semplice da affrontare, a cui la Warner, però, sembra aver già dato una risposta netta con l’avvio delle produzioni di Suicide Squad e Batman vs Superman, dove il volto dell’uomo pipistrello verrà impersonificato da Ben Affleck, su cui, magari, se i botteghini lo vorranno, verrà costruita, in futuro, una nuova saga capace di traghettare fan e spettatori fino alla fine della seconda metà del decennio.
Tuttavia, prima che Nolan mettesse mano alla figura di Bruce Wayne ed entrasse con i suoi lavori nell’immaginario collettivo, in special modo grazie alla presenza, nel secondo atto, del Joker di Heath Ledger (la cui scomparsa prematura, si potrebbe cinicamente affermare, abbia giovato di gran lunga al brand, donando così al tutto quella sfumatura di “mistero” e drammatico addio dolce amaro da parte di un interprete di grande talento quale era questi), il Cavaliere Oscuro poteva vantare solo una manciata di trasposizioni sullo schermo, di cui due tutt’altro che riuscite, quelle, per intenderci, con protagonista George Clooney.
Diverse sotto molti punti di vista, erano ovviamente, le prime due pellicole di Tim Burton, il quale non rifiuto di prendere, al tempo, la responsabilità di portare al Cinema una figura tanto nota, quanto intrigante, come quella di Batman.
Con il primo episodio, uscito nel 1989, Burton aveva conquistato critica e pubblico, unendo all’unanimità gran parte dei fan della sua modus operandi e del fumetto d’origine, dando, pur contro i pareri della casa di produzione, il ruolo principale a Michael Keaton, con cui aveva lavorato sul set di Beetlejuice, ed offrendo a noi tutti la figura del Joker, antagonista per antonomasia del paladino di Gotham, con il sorriso tirato di Jack Nicholson. A riempire, di fatto, il resto del cast vi erano nomi di spessore, come ogni mega-produzione che si rispetti, quali Kim Basinger, nel pieno di quella fase che, dopo 9 Settimane e Mezzo, la identificava come una delle donne più sensuali ed appetitose sfornate dalla mecca del Cinema: Hollywood.
Dopo tanto clamore ed acclamazioni per un primo capitolo a dir poco strabiliante, e dopo aver dato alla luce quello che, probabilmente, verrà ricordato come il capolavoro del regista californiano, Edward Mani di Forbice, Tim Burton, nel 1992, torna tra i vicoli sporchi, maleodoranti, e oscuri di quella Sodoma del ventesimo secolo quale Gotham City e, nel farlo, cambia le carte in tavola, mostrando, è vero, dei forti punti di contatto con il precedente Batman, vi è persino un accenno alla Vicky Vale di Basinger, ma costruendo un’opera capace di stare saldamente in piedi da sola, non per forza figlia di un predecessore né arrufianata da un finale “aperto” che avrebbe indirizzato lo spettatore medio nella speranza di un’imminente terzo atto (cosa che, purtroppo, accadrà con conseguente cambio di regista e cast).
Batman Returns è, presumibilmente, ambientato pochi anni dopo la sconfitta del Joker, e Gotham sembra, in apparenza, passare un periodo natalizio sereno, pur riscontrando, tra le proprie strade, sempre crimini e criminali che potrebbero rientrare nella “normalità” degli eventi. Con un vigilante mascherato che con occhio attento osserva i movimenti del malviventi, pochi osano irrompere nella città con piani malvagi o epocali sommosse, ad eccezione di un ambiguo personaggio, il Pinguino, nato e cresciuto nelle fogne, in solitudine, deforme e ripugnante, un mostro abbandonato fin da bambino dai suoi genitori a causa delle sue fattezze.
La strana alleanza, nata quasi casualmente, tra Pinguino, alias Oswald Cobblepot, e Max Shreck, imprenditore di successo che, all’oscuro di tutti, inquina Gotham con sostanze chimiche derivate dagli scarti delle sue industrie, porta lentamente il caos nelle strade e, per ambizione e avidità, i due cercheranno di instaurare il proprio potere sui cittadini attraverso l’elezione di un nuovo Sindaco, con la nomina di una figura che sappia offrire sicurezza e prenda a cuore Gotham, una presenza necessaria, quale può essere solo quella di Cobblepot. Chiude il cerchio, infine, la presenza di Catwoman, sensuale predatrice, bramosa di vendetta e rivalsa, in un mondo che, senza troppi preavvisi e avvertimenti, non ha mostrato un minimo di comprensione nei confronti del suo timido alter ego Selina Kyle.
Se il primo Batman poteva accusare alcune rare ingenuità o momenti ove la ripetitività o la lentezza ne appesantivano sensibilmente la visione, magari riscontrabili anche a seconda dei gusti personali, e dimostrasse che, per quanto l’immensa bravura di Nicholson puntasse sempre i riflettori sul suo personaggi non cadendo mai nel banale né nella parodia, portando a chiudere un occhio su piccole deficienze della pellicola, mancasse un qualcosa, un piccolo guizzo di genialità o quell’approfondimento in più sulla vita di Bruce Wayne che indubbiamente avrebbe dato più spessore al personaggio principale, con Returns Burton dà alla luce un (quasi) capolavoro che sa andare ben oltre al cinecomics, o al genere di intrattenimento di appartenenza, tant’è che, a riprova della natura quasi più drammatica in senso teatrale che assimilabile al mondo dei fumetti, molti fans della controparte cartacea e gli stessi creatori, mal videro di buon occhio questo secondo episodio, a detta loro eccessivamente lontano dai toni e dalle storie originali.
In effetti, la seconda avventura dell’uomo-pipistrello si distacca non poco sia dalle tinte noir del film del 1989, che dal materiale di partenza, magari non tanto nelle scenografie, che con gli anni hanno fatto storia e indirizzato, per future produzioni, una determinata chiave di lettura estetica ancora originale, bensì nei contenuti e nell’analisi e genesi di determinati personaggi. Il risultato, ad ogni modo, resta encomiabile ed il tutto si appresta a diventare, probabilmente, una delle migliori cinque trasposizioni sullo schermo di un super-eroe nato dai comics.
Si potrebbe quasi considerare questo lavoro, forte di una messa in scena ispirata, una direzione tecnica esemplare ed una sceneggiatura solida, una rappresentazione che rimanda ad un certo tipo di cinema espressionista, dagli echi europei e dal sapore tedesco, che identifica i personaggi non solo attraverso gli atteggiamenti e la personalità, ma anche con l’ausilio della scenografia, la quale rivela lo stato d’animo e la caratterizzazione dei protagonisti sulla scena e non viene sfruttata unicamente come un banale fattore estetico, nel senso più superficiale del termine. Prerogativa del cinema di Burton, costantemente più vicino a noi, che ai canoni “americani”, quanto detto sopra si rispecchia, nella figura del Pinguino, con gli angusti cunicoli freddi e sporchi delle fogne di Gotham, gelidi per il clima natalizio e le temperature proibitive; Batman viene, invece, costantemente raffigurato nella sua bat-caverna, anch’essa rappresentata come un luogo spoglio e buio, che contrasta con la bella magione, accogliente e ben arredata, del miliardario Wayne; mentre Selina Kyle, vive la sua sfortunata vita da (ex) segretaria in un appartamento privo di personalità, interamente dipinto di rosa, che, dopo la “trasformazione” in Catwoman, sarà radicalmente modificato in virtù di un profondo mutamento nella natura della protagonista, non più una timida assistente, ma una figura intraprendente, sexy e combattiva che brama, contro gli uomini, il mondo, e la società, la propria vendetta.
Burton, senza dimenticare di avere tra le mani un blockbuster in piena regola, inserisce all’interno di Batman Returns tutte le tematiche del suo Cinema, pone allo spettatore delle riflessioni su cui porta a interrogarsi più e più volte, senza mai appesantire l’opera, aggiungendo una buona dose di ironia e humour nero persino nei momenti più drammatici, pur non minimizzando l’importanza e la presenza sulla scena dei molti personaggi.
Laddove, altri film sui super-eroi, concentrano tutto sulla figura del protagonista, analizzando anche troppo puntigliosamente il concetto di beniamino o eroe senza macchia, questo secondo episodio del Cavaliere Oscuro pare quasi sdegnare il paladino di Gotham, e non nasconde una maggiore predilezione, nel narrare i fatti, per i tre comprimari e dal loro punto di vista. Batman si vede raramente, e quando è sulla scena, vuoi per le musiche suggestive di Elfman, vuoi per i tagli di luce o le scelte, a volte tutt’altro che morali che questi compie, si rivela essere un’entità crudele e spietata quasi quanto coloro che combatte, non a caso, proprio come diceva il Joker, egli è nato per mano del male, creato dall’orrore e dalla morte dei genitori. Se, infatti, come è noto dai lavori di Nolan, una delle principali regole del Cavaliere Oscuro, sta proprio nel “non uccidere”, Burton fa infrangere, senza alcun remore, questo principio al suo Bruce Wayne, che se messo alle strette, non mostrerà alcun risentimento nell’assassinare un determinato rivale, evidenziando quindi anche in esso una forma di violenza e criminalità pari a coloro che con impegno combatte in nome della giustizia.
Viene ancora una volta preso sotto analisi il concetto di “mostro”, in particolar modo tutto ciò trova grande enfasi nei dialoghi che vedono coinvolti il Pinguino, interpretato da uno straordinario Danny DeVito, il quale viene costantemente accusato di essere un animale solo perché deforme, mentre questi, figlio di echi Lynchiani, urlerà al mondo intero ch’egli non è una aberrazione della natura, ma un uomo come tutti gli altri, e che le persone, nella loro ignoranza, non fanno altro che vedere sempre in modo dispregiativo ciò che trovano diverso.
Se, tuttavia, Cobblepot si rivelerà tale non tanto per com’è, o appare, ma per chi è realmente, spietato e complessato assassino, questo aspetto cruciale della pellicola viene continuamente sottolineato anche per quanto riguarda gli altri personaggi, dove, sia per Batman che per Catwoman, la dualità tra mostro (con maschera annessa) e persona per bene, si dimostra sempre vittima di una complessa convivenza interiore, che sfocia non solo nella difficoltà di relazionarsi con gli altri, ma anche con se stessi.
Sotto una pioggia incessante di fiocchi di neve Tim Burton firma un’opera complessa, nettamente superiore alla media ed alla prima, benché già Batman fosse un lavoro davvero curato e appagante, ricca di momenti destinati a fare la storia del cinema; non si vergogna a consegnare a noi tutti uno degli apici, probabilmente, del cinema relegato alla figura dei super-eroi, donando al suo Batman Returns un’alone oscuro e tenebroso, cucendo addosso al Michael Keaton un ruolo tanto semplice quanto complesso, e enfatizzando, giustamente, la figura del Pinguino e degli altri comprimari. Grazie alla brillante e sensuale prova di Michelle Pfeiffer, unica vera catwoman sullo schermo, ed alla colonna sonora, le scenografie, l’affiatamento del cast, le tematiche prese in considerazione, così come i tanti dialoghi brillanti, Batman Returns rimane una pellicola straordinaria, ad oggi, totalmente incapace di sentire gli acciacchi del tempo, figlia di un genio visionario capace di fare di Gotham una cittadina incantata, come quelle quelle fiabe, marcia e corrotta, pienamente nelle corde di Tim Burton, vigilata da un guardiano silenzioso ricco di lucente oscurità al suo interno, che, tuttavia, viene meno sullo schermo, quando a comparire sono i suoi indimenticabili antagonisti.
Comments