Recensione di Babadook
di
Luca Fialdini
&
Claudio Fedele
Dopo settimane di trepidante attesa è arrivato da noi, finalmente, Babadook, con quasi un anno di ritardo per le nostre sale al contrario di gran parte del resto del mondo, tanto che, per fare un esempio, in Francia l’edizione Home-video è uscita già da un po’ di giorni, per non parlare poi degli U.S.A. che hanno avuto il piacere di gustarselo in pieno 2014 e inserirlo tra i migliori della scorsa annata.
Se la vostra idea di horror è una serie di spaventi annegati nel sangue, Babadook non fa per voi. In questo horror fortemente psicologico appare subito chiaro che gli elementi davvero importanti sono la trama ed i personaggi e per sottolinearlo ancor
Fin dal primo momento, partendo proprio dalla scena d’apertura, che fonde un angosciante sogno della protagonista con la realtà, ed al contempo ci mostra non solo su cosa verterà la storia in gran parte, ma anche quelli che saranno le tematiche principali ed i toni scelti dalla regista australiana, si comprende che la pellicola, tanta amata all’estero e nel resto del mondo, non ponga il quesito, allo spettatore, mirato solo ed esclusivamente alla qualità insita in se stesso, allontanandosi così con orgoglio dallo scarso valore artistico dei film dell’orrore di oggi a cui fa concorrenza, ma come, piuttosto, si metta fin da subito in luce per far chiarezza su quanto, quel che stiamo per osservare, abbia un peso nel panorama del genere horror internazionale. Ci si approccia, or dunque, a Babadook per scoprire se questi sia davvero il film di genere tanto atteso e per comprendere se davvero meriti un posto tra i migliori film thriller e dell’orrore dell’ultimo decennio (o di sempre, persino).
La trama in sé non è nulla di nuovo, è la solita storia dell’Uomo Nero nascosto dentro l’armadio, senza variazioni degne di nota. La novità è il modo in cui la Kent ci racconta la storia, ed è un modo veramente insolito di sviluppare un film horror: ai i registi che pensano che
Si apprezzano anche i moltissimi riferimenti alla storia del cinema dell’orrore: lo stesso Babadook è un incrocio tra Freddy Krueger (sembra che abbia delle lame al posto delle dita e appare spesso nei sogni) e Boogeyman. Addirittura, ad un certo punto Babadook telefona ad Amelia, una scena così simile a quelle della serie di Nightmere che mi aspettavo di sentire “Un due tre, Freddy viene per te!”, senza contare che durante lo scontro finale tra Amelia e Babadook, questo si presenta con delle braccia lunghissime e che si allungano sempre di più, esattamente come Freddy. Ma le citazioni e le somiglianze toccano quasi tutti i più grandi film horror e thriller, sia classici che recenti: oltre ai già citati Nightmere e Boogeyman, abbiamo Shining, L’Evocazione, Red Dragon, The Grudge, Nosferatu, L’Esorcista, La Notte dei Morti Viventi, I Tre Volti della Paura, Suspiria ed innumerevoli altri, cosa che non fa che mandare in sollucchero gli intenditori del genere. Tuttavia è bene fare una precisazione: tutte queste citazioni non appesantiscono il film, né risultano fastidiose per chi non è in
Babadook sa operare sapientemente su più livelli di interpretazione, aprendo scenari sotto certi aspetti inediti, rivelandosi essere una complessa ed orchestrata matrioska di paure e atteggiamenti umani intrisi a loro volta da particolari e sfumature capaci di attingere alla psicologia, al thriller ed in fine all’horror, mescolando, in questo modo, molti degli elementi che hanno caratterizzato il già citato Shining di Stanley Kubrick, quando non a caso le presenze demoniache dell’hotel sprigionavano il male che a sua volta albergava nello spietato protagonista interpretato magistralmente da Jack Nicholson, e ricercando, al suo interno, più volte una messa in scena basata unicamente sul riflesso delle angosce della protagonista che richiama, nella sua dicotomia tra l’essere reale ed irreale, prepotentemente il capolavoro di Roman Polansky: “Rosemary’s Baby”.
Anche la colonna sonora è estremamente interessante: innanzitutto si può dire che in questo film è assente una qualsiasi forma di musicalità in senso classico, dato che la colonna sonora è costituita quasi totalmente da una serie di rumori di fondo, cantilene infantili e passaggi atonali di glockenspiele. Un tappeto sonoro così particolare ha innumerevoli legami con il film, perché innanzitutto crea la giusta tensione nello spettatore e sottolinea il clima infantile che pervade la pellicola, ma rappresenta anche cosa accade nello schermo: ad esempio, ogni volta che appare il libro di Mr Babadook, si sente sempre lo stesso inquietante “motivo” che si interrompe bruscamente quando il libro viene chiuso. Queste “disarmonie” sono anche la voce della disperazione di Amelia, ma non sono un semplice commento a quello che vediamo, poiché talvolta vanno viste anche in correlazione ad altri elementi del film, come i colori: nel finale, dove tutto si è apparentemente risolto, abbiamo tinte più
Cos’è, perciò, l’entità malefica che perseguita i due protagonisti, una madre vedova ed il suo bambino di sei anni? L’uomo nero delle fiabe, l’orco nascosto dentro l’armadio, il respiro innaturalmente profondo che abbiamo creduto di udire sotto al nostro letto negli anni dell’infanzia? Il diverso che si manifesta ai nostri occhi, che noi consideriamo malvagio solo in quanto estraneo alla nostra realtà; oppure è un riflesso di noi stessi, dei nostri timori e della nostra mente? (tanto per citare una frase di S. King).
Analogamente, il Babadook è la nostra paura – una delle più comuni – di non riuscire a mantenere il controllo sulle proprie azioni e sulla propria vita. Proprio per questo il momento in cui il mostro ha il sopravvento su Amelia, la sua vita peggiora ancora di più, non si presenta al lavoro, i suoi rapporti interpersonali con parenti, amici e colleghi si deteriorano sempre di più. Nel nostro mondo, dove ci insegnano che bisogna sempre avere tutto sotto controllo, la perdita del medesimo è ritenuta socialmente inaccettabile; non deve sorprendere quindi che la povera Amelia venga emarginata sempre di più. Per quanto riguarda l’ultimo livello di lettura, il più ampio, si va a toccare uno dei più cari topos letterari dei secoli XX e XXI: il diverso.
Così Babadook si prende il coraggio di narrare una storia semplice, ma perfetta, il cui unico difetto sta proprio nel voler agire su un piano talmente collaudato di archetipi del genere, ormai noti, da non aver la prepotenza di rivoluzionare molti elementi grazie ai quali riesce a brillare di luce propria.
Jennifer Kent è riuscita nell’impresa di creare un qualcosa di terribilmente affascinante; una delle vette più alte del cinema horror degli ultimi anni, ma non solo, è racchiuso nel set casalingo in questione, gestito e rappresentato con estrema eleganza
Si dica quel che si vuole, magari se ne parli pure male o con toni pacati, purché ci si ricordi di Babadook, al quale va il grande onore di voler attingere ai maestri del genere, riuscendo, in alcuni frangenti, di arrivare ad una cura e ad una maestria artistica riscontrabile nei grandi del passato quali Kubrick (di Shining) e Carpenter, Friedkin, Polansky o Bava.
Perciò Babadook è un film, se vogliamo, molto ottimista, che
Oltre a questo, il film della Kent, rimane un attestato di puro cinema, quello vero, che ti entra fin dentro le ossa e non ti molla più, persino quando i titoli di coda e le luci riempiono la sala, e a volte come in questo caso, incredibilmente, resti ancora lì, al tuo posto, muto, a fissare uno schermo di cinque metri, perso in un altro mondo; il sogno di Méliès, la magia ed il trionfo dell’immaginazione, l’apoteosi della settima arte e Babadook, questo, a suo modo, lo sa fare veramente bene.
Voto: ★★★★ (su 5) *
Voto: ★★★★ 1/2 (su 5)**
*Valutazione di Claudio Fedele
** Valutazione di Luca Fialdini