Recensione di Babadook
di
Luca Fialdini
&
Claudio Fedele
Quando Stephen King, una leggenda della letteratura del genere horror, descrive il tuo lavoro come “profondamente disturbante” e un maestro del cinema quale William Friedkin, a cui dobbiamo il cult L’Esorcista, lo annovera su Twitter come uno dei film più paurosi di sempre, significa che sei riuscita a portare alla luce un qualcosa di oscuro, carico di tensione, ma sopratutto intriso di quella inquietante bellezza che solo il cinema può regalare.
Dopo settimane di trepidante attesa è arrivato da noi, finalmente, Babadook, con quasi un anno di ritardo per le nostre sale al contrario di gran parte del resto del mondo, tanto che, per fare un esempio, in Francia l’edizione Home-video è uscita già da un po’ di giorni, per non parlare poi degli U.S.A. che hanno avuto il piacere di gustarselo in pieno 2014 e inserirlo tra i migliori della scorsa annata.
Se la vostra idea di horror è una serie di spaventi annegati nel sangue, Babadook non fa per voi. In questo horror fortemente psicologico appare subito chiaro che gli elementi davvero importanti sono la trama ed i personaggi e per sottolinearlo ancor di più la regista australiana Jennifer Kent ha rimosso qualsiasi orpello che potesse distrarre lo spettatore dallo sviluppo narrativo.
Fin dal primo momento, partendo proprio dalla scena d’apertura, che fonde un angosciante sogno della protagonista con la realtà, ed al contempo ci mostra non solo su cosa verterà la storia in gran parte, ma anche quelli che saranno le tematiche principali ed i toni scelti dalla regista australiana, si comprende che la pellicola, tanta amata all’estero e nel resto del mondo, non ponga il quesito, allo spettatore, mirato solo ed esclusivamente alla qualità insita in se stesso, allontanandosi così con orgoglio dallo scarso valore artistico dei film dell’orrore di oggi a cui fa concorrenza, ma come, piuttosto, si metta fin da subito in luce per far chiarezza su quanto, quel che stiamo per osservare, abbia un peso nel panorama del genere horror internazionale. Ci si approccia, or dunque, a Babadook per scoprire se questi sia davvero il film di genere tanto atteso e per comprendere se davvero meriti un posto tra i migliori film thriller e dell’orrore dell’ultimo decennio (o di sempre, persino).
La trama in sé non è nulla di nuovo, è la solita storia dell’Uomo Nero nascosto dentro l’armadio, senza variazioni degne di nota. La novità è il modo in cui la Kent ci racconta la storia, ed è un modo veramente insolito di sviluppare un film horror: ai i registi che pensano che un film dell’orrore debba essere un guazzabuglio confuso, ricco di dettagli truculenti e colpi di scena, Babadook risponde con una narrazione coinvolgente ma mai troppo “densa”, con pause, momenti di silenzio e soprattutto una sceneggiatura che in alcuni momenti rasenta la perfezione.
Si apprezzano anche i moltissimi riferimenti alla storia del cinema dell’orrore: lo stesso Babadook è un incrocio tra Freddy Krueger (sembra che abbia delle lame al posto delle dita e appare spesso nei sogni) e Boogeyman. Addirittura, ad un certo punto Babadook telefona ad Amelia, una scena così simile a quelle della serie di Nightmere che mi aspettavo di sentire “Un due tre, Freddy viene per te!”, senza contare che durante lo scontro finale tra Amelia e Babadook, questo si presenta con delle braccia lunghissime e che si allungano sempre di più, esattamente come Freddy. Ma le citazioni e le somiglianze toccano quasi tutti i più grandi film horror e thriller, sia classici che recenti: oltre ai già citati Nightmere e Boogeyman, abbiamo Shining, L’Evocazione, Red Dragon, The Grudge, Nosferatu, L’Esorcista, La Notte dei Morti Viventi, I Tre Volti della Paura, Suspiria ed innumerevoli altri, cosa che non fa che mandare in sollucchero gli intenditori del genere. Tuttavia è bene fare una precisazione: tutte queste citazioni non appesantiscono il film, né risultano fastidiose per chi non è in grado di coglierle dato che sono una semplice “aggiunta” alla scena, un quid che se viene colto dà soddisfazione allo spettatore, ma non inficia minimamente la comprensione della scena o del film (oltretutto spesso si tratta di semplici cenni o brevissimi episodi).
Babadook sa operare sapientemente su più livelli di interpretazione, aprendo scenari sotto certi aspetti inediti, rivelandosi essere una complessa ed orchestrata matrioska di paure e atteggiamenti umani intrisi a loro volta da particolari e sfumature capaci di attingere alla psicologia, al thriller ed in fine all’horror, mescolando, in questo modo, molti degli elementi che hanno caratterizzato il già citato Shining di Stanley Kubrick, quando non a caso le presenze demoniache dell’hotel sprigionavano il male che a sua volta albergava nello spietato protagonista interpretato magistralmente da Jack Nicholson, e ricercando, al suo interno, più volte una messa in scena basata unicamente sul riflesso delle angosce della protagonista che richiama, nella sua dicotomia tra l’essere reale ed irreale, prepotentemente il capolavoro di Roman Polansky: “Rosemary’s Baby”.
Anche la colonna sonora è estremamente interessante: innanzitutto si può dire che in questo film è assente una qualsiasi forma di musicalità in senso classico, dato che la colonna sonora è costituita quasi totalmente da una serie di rumori di fondo, cantilene infantili e passaggi atonali di glockenspiele. Un tappeto sonoro così particolare ha innumerevoli legami con il film, perché innanzitutto crea la giusta tensione nello spettatore e sottolinea il clima infantile che pervade la pellicola, ma rappresenta anche cosa accade nello schermo: ad esempio, ogni volta che appare il libro di Mr Babadook, si sente sempre lo stesso inquietante “motivo” che si interrompe bruscamente quando il libro viene chiuso. Queste “disarmonie” sono anche la voce della disperazione di Amelia, ma non sono un semplice commento a quello che vediamo, poiché talvolta vanno viste anche in correlazione ad altri elementi del film, come i colori: nel finale, dove tutto si è apparentemente risolto, abbiamo tinte più vivaci e luminose, mentre il commento sonoro rimane cupo ed inquietante. Questo marcato contrasto ci fa capire che la serenità che ci viene mostrata è solo apparente, perché il Babadook non se n’è andato… e probabilmente non lo farà mai.
Cos’è, perciò, l’entità malefica che perseguita i due protagonisti, una madre vedova ed il suo bambino di sei anni? L’uomo nero delle fiabe, l’orco nascosto dentro l’armadio, il respiro innaturalmente profondo che abbiamo creduto di udire sotto al nostro letto negli anni dell’infanzia? Il diverso che si manifesta ai nostri occhi, che noi consideriamo malvagio solo in quanto estraneo alla nostra realtà; oppure è un riflesso di noi stessi, dei nostri timori e della nostra mente? (tanto per citare una frase di S. King). Una creazione pseudo onirica che l’animo debole dell’uomo rende reale, un’allucinazione glaciale, ma tanto concreta che ci porta a dubitare della ragione, la quale se lasciata a se stessa non fa che generare mostri, quelli con cui conviviamo ogni mattina, razionali o meno, che ci portiamo nei sogni, i quali a loro volta diventano orrendi incubi.
Analogamente, il Babadook è la nostra paura – una delle più comuni – di non riuscire a mantenere il controllo sulle proprie azioni e sulla propria vita. Proprio per questo il momento in cui il mostro ha il sopravvento su Amelia, la sua vita peggiora ancora di più, non si presenta al lavoro, i suoi rapporti interpersonali con parenti, amici e colleghi si deteriorano sempre di più. Nel nostro mondo, dove ci insegnano che bisogna sempre avere tutto sotto controllo, la perdita del medesimo è ritenuta socialmente inaccettabile; non deve sorprendere quindi che la povera Amelia venga emarginata sempre di più. Per quanto riguarda l’ultimo livello di lettura, il più ampio, si va a toccare uno dei più cari topos letterari dei secoli XX e XXI: il diverso. Il diverso fa paura. Il diverso può essere il vicino di casa a cui manca una rotella, ma può essere anche il gommone carico di immigrati, situazione assai nota anche in Australia (che ha delle leggi estremamente severe in proposito).
Così Babadook si prende il coraggio di narrare una storia semplice, ma perfetta, il cui unico difetto sta proprio nel voler agire su un piano talmente collaudato di archetipi del genere, ormai noti, da non aver la prepotenza di rivoluzionare molti elementi grazie ai quali riesce a brillare di luce propria.
Jennifer Kent è riuscita nell’impresa di creare un qualcosa di terribilmente affascinante; una delle vette più alte del cinema horror degli ultimi anni, ma non solo, è racchiuso nel set casalingo in questione, gestito e rappresentato con estrema eleganza tecnica, che inneggia all’arte di rendere al massimo un qualcosa utilizzando il minimo indispensabile sulla scena, componendo un mosaico che sfrutta ogni elemento nel modo giusto, dagli attori ai giochi d’ombre e ai ritagli di luce che fanno, della casa, quasi un palco teatrale, nel quale si concentra la vicenda, oscura e viscerale, psicologica ed introspettiva, dove l’entità del sovrannaturale prendono vita da un oggetto comune quale può essere un “libro” (maledetto)”, rivelando proprio tra le pagine di questi, nella rappresentazione cartonata dell’entità malvagia, una forte influenza del cinema di Tim Burton.
Si dica quel che si vuole, magari se ne parli pure male o con toni pacati, purché ci si ricordi di Babadook, al quale va il grande onore di voler attingere ai maestri del genere, riuscendo, in alcuni frangenti, di arrivare ad una cura e ad una maestria artistica riscontrabile nei grandi del passato quali Kubrick (di Shining) e Carpenter, Friedkin, Polansky o Bava.
Perciò Babadook è un film, se vogliamo, molto ottimista, che ci fa intendere che la convivenza è al giorno d’oggi l’unica opzione valida e spiega come un regime ostile sia nocivo da entrambe le parti.
Oltre a questo, il film della Kent, rimane un attestato di puro cinema, quello vero, che ti entra fin dentro le ossa e non ti molla più, persino quando i titoli di coda e le luci riempiono la sala, e a volte come in questo caso, incredibilmente, resti ancora lì, al tuo posto, muto, a fissare uno schermo di cinque metri, perso in un altro mondo; il sogno di Méliès, la magia ed il trionfo dell’immaginazione, l’apoteosi della settima arte e Babadook, questo, a suo modo, lo sa fare veramente bene.
Voto: ★★★★ (su 5) *
Voto: ★★★★ 1/2 (su 5)**
*Valutazione di Claudio Fedele
** Valutazione di Luca Fialdini
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