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Recensione di American Hustle – L’Apparenza Inganna

Recensione di American Hustle – L’Apparenza Inganna

Un anno dopo l’acclamato The Silver Linings Playbook, conosciuto in Italia con il titolo de Il Lato Positivo, David O. Russel torna a far parlare di se presentando il suo nuovo ed inedito progetto appena in tempo per essere il protagonista della stagione dei premi! La pellicola, uscita nelle sale Americane su larga scala dal 25 Dicembre ed nel bel paese dal 1° Gennaio 2014 è senza ombra di dubbio una delle favorite ai prossimi Academy Awards, così come un anno esatto fa era stato il precedente lavoro del famoso, quanto controverso, regista americano che ancora una volta collabora assieme a Bradley Cooper e Jennifer Lawrence. Tanto bene calza dunque il detto: Squadra vincente non si cambia!

Abbandonati manicomi, problemi sociali e familiari con aggiunta di forti crisi bipolari, American Hustle – L’apparenza Inganna verte principalmente sui fatti realmente accaduti tra il 1974 ed il 1978 prendendo in causa quella che è passata alla storia come l’operazione Abscam. Irving Rosenfeld (Christian Bale), sposato con una ragazza madre (interpretata da J. Lawrence), tiene un’agenzia di truffe finanziare assieme alla collega, nonché amante, Sydney Prosser (Amy Adams) ma suo malgrado le cose prendono una strana ed inaspettata piega quando i loro affari vengono scoperti dall’agente federale Richie DiMaso (Bradley Cooper) il quale, spinto dall’avidità di successo, decide di sfruttare i due truffatori per incastrare alcuni senatori e politici del New Jersey.

Sotto certi aspetti American Hustle rappresenta il miglior film di David O. Russel, una pellicola che riesce a cogliere l’essenza di tutti i lavori realizzati in passato dall’ormai noto cineasta e che negli ultimi 5 anni sono stati molto apprezzati dalla critica americana. Si parla ancora una volta dell’America degli anni ’70, gli Stati Uniti post Nixon, Watergate e Vietnam, un paese che è reduce di un conflitto tanto interno quanto esterno le cui ferite non sono ancora rimarginate e che ha bisogno di credere in gente per bene, in persone capaci di guidare in modo giusto e con una profonda morale il popolo americano. Qui sta, innanzi tutto, la prima beffa, ovvero quella che O. Russel vuole sottolineare e che sarà un elemento costante in tutta la pellicola: non esistono persone buone e con una morale; il mondo, proprio come dice Christian Bale dinanzi ad un noto dipinto, non è né bianco né nero, ma di mille sfumature di grigio. Non vi è alcun movimento di rinascita, nessun cambiamento radicale e persino chi vuole far del bene viene ingannato o accetta, con estrema ingenuità, di essere ingannato.

Gli anni ’70 sono così un miscuglio di corruzione, eccessi, sete di potere, gloria e avidità che albergano in ogni uomo appartenente a qualsiasi classe sociale, a partire dal semplice lavoratore al politico, dal truffatore al poliziotto. Ognuno di questi personaggi vuole e brama qualcosa che non può avere e cerca di volare sempre più in alto, ma solo chi è veramente furbo (e qui sta la chiave di tutta la pellicola) riesce a sopravvivere in questo inferno e Irving Rosenfeld lo sa bene, tanto da essere l’unica persona a rimproverare a tutti gli altri l’insaziabile avidità che li divora dall’interno.

Eppure in tutto questa malsana rappresentazione della società, sensazione resa perfettamente dalla fotografia curata da Linus Sandgren, vi è qualcosa che non riesce a convincere appieno e che sfugge alla mente di O. Russel e ciò va ricercato in una certa superficialità nel voler raccontare una storia che se avesse goduto di un’atmosfera molto più forte ed estrema ne avrebbe sicuramente guadagnato. Non è tanto la fluidità a mancare quanto, piuttosto, una certa ambiguità che si continua a ricercare nei personaggi e che alla fine viene, se non abbozzata, malamente approfondita. Chi occupa la scena rappresenta un unico aspetto di quel mondo avido e corrotto, ma solo attraverso tutti i personaggi è possibile ottenere un soddisfacente dipinto ricco di sfaccettature ed interessante. E’ questo il grande difetto di American Hustle, ovvero quello di dare alla luce personaggi abbastanza stereotipati, poco originali e intuibili così come le loro azioni; Eccezion fatta per la bella Sydney Prosser interpretata dalla Adams, donna in bilico non solo dal punto di vista sentimentale, ma anche per quanto riguarda la sua vita e le scelte che ha fatto, talvolta soddisfatta e in alcuni momenti piena di rimorsi.

Per quanto concerne gli attori chiamati in causa è chiaro fin dal primo momento che la pellicola è una vera e propria mostra di talenti a partire dal solito Christian Bale (qui con la pancia da mezza età e la pelata) che cattura l’attenzione dello spettatore per i suoi modi meschini e codardi, fino all’ormai affermato Bradley Cooper che lasciati i ruoli poco interessanti conferma le capacità viste un anno fa ne Il Lato Positivo. Un Jeremy Renner nelle vesti di un ingenuo politico a dir poco convincente ed una Jennifer Lawrence a volte un po’ sopra le righe, ma sempre affascinante, brava e sexy ci portano a concludere questo encomio che indubbiamente è doveroso fare ad un cast di primo ordine e che vede all’apice di ogni performance la affascinante Amy Adams, qui perfetta in ogni inquadratura, sequenza e dialogo. Stavolta è senza alcuna ombra di incertezza dotata di una sensualità senza pari (e che in un certo quale modo le dona come non mai!) con quelle  profonde scollature e quei vestiti che le mettono in risalto il corpo, il quale O. Russel, al contrario di Snyder troppo preso ne L’Uomo d’Acciaio ad esaltare ogni poro di pelle del suo attore giocattolo Cavill, non smette mai di esaltare, apprezzare e inquadrare. Unica nota stonata? Un Robert De Niro che nel ruolo del mafioso fa quasi una parodia/caricatura dei ruoli che in gioventù, in pellicole come Gli Intoccabili, lo hanno reso una leggenda.

American Hustle – L’apparenza Inganna è un film di forma o di sostanza? Probabilmente quest’ultimo si presta più alla prima che alla seconda delle facce della medaglia sopra citate; l’ultima fatica di O. Russel propone una storia che non punta né a scandalizzare l’America o il mondo né però ad annoiare, risultando essere priva di tutta quella violenza, che magari Scorsese avrebbe inserito, e al contempo fluida, scorrevole ed interessante. Con degli attori che danno il massimo in ogni momento, ognuno ben dosato, in sintonia nella parte affidatagli/le e calibrato sulla scena, la pellicola si presta senza tanti giri di parole ad un pubblico che vuole avere un quadro degli Stati Uniti degli anni ’70 abbastanza nitido ma non fastidioso; per certi aspetti scontato ma realistico. Una cosa, alla fine di tutto questo è molto chiara: O. Russel è uno di quei registi al mondo che sebbene non si prenda la briga di raccontare storie che escano fuori dall’ordinario e non abbia una regia rivoluzionaria o innovatrice riesce a tenere sotto controllo grandi nomi, saper esaltare le qualità degli attori coinvolti nelle sue produzioni senza sacrificarne alcuno e portare a casa prodotti abbastanza interessanti.

Claudio Fedele

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