Recensione di Alien
Ci sarà, un po’ come per Blade Runner pochi anni più tardi, sempre un “prima” ed un “dopo” nei riguardi di Alien, sia a livello storico, che oggettivo, sia per quel che concerne la visione di un normale spettatore, il quale verrà brutalmente messo davanti, con questa pellicola, ad una delle storie più importanti ed affascinanti del ventesimo secolo mai narrate sul grande schermo, un capolavoro essenziale e su cui, ancor oggi, si specula senza porsi un limite, perché, in esso, vi è descritta non tanto l’infinita profondità oscura dello spazio, ma le complesse ed ambigue gesta dell’uomo, che ne determinano la natura e la forza con la quale affronta i pericoli più insidiosi.
In un futuro non troppo lontano, la Nostromo, enorme astronave da trasporto merci, riceve un segnale proveniente da un pianeta sconosciuto alla specie umana. L’intero equipaggio, svegliato dall’ibernazione che li avrebbe tenuti nelle capsule, fino all’arrivo sul pianeta terra, decide di indagare e si dirige verso l’origine di quella che potrebbe essere interpretata come una richiesta d’aiuto da una forma di vita aliena. Giunti davanti a quel che a tutti gli effetti sembrerebbe essere un’astronave extra-terrestre, il capitano Dallas ed suoi uomini si imbattono nella carcassa di un’enorme individuo e, nello scafo, in delle particolari uova, contenenti degli strani esseri all’interno, uno dei quali si attacca al volto di un membro dell’equipaggio, Kane, portandolo ad un apparente coma. Tornati sulla Nostromo, le cose iniziano a precipitare, e se il risveglio inaspettato dell’ufficiale porta un po’ di momentaneo sollievo all’interno del
Il grande valore di Alien resta, ancor oggi, non tanto nella storia, semplice e lineare, ma nell’impostazione con cui Ridley Scott ci propone una vicenda oscura ed angosciante, che porta lo spettatore sempre al limite della sopportazione e lo coinvolge emotivamente in un finale carico di una tensione, sempre ben calcolata, attraverso una pura discesa nell’orrore e in un preciso tipo di paura che può albergare in ognuno di noi in determinate circostanze.
Partendo proprio dal concetto che lo Xenomorfo, creato da Hans Ruedi Ginger e studiato, nelle meccaniche, da Carlo Rambaldi, rappresenti uno degli elementi più riusciti ed affascinanti del genere sci-fi, sia sotto il profilo estetico, che psicologico, in quanto essere “diverso” sia nei modi (di pensare) che nell’aspetto da noi umani,
Scott, grazie alle scenografie ed il design dell’astronave Nostromo, realizza, così, una pellicola che si focalizza non tanto sull’aspetto fantascientifico, pur essendone un capostipite del genere, ma sul concetto di sopravvivenza, e nel saper gestire in maniera eccellente i tempi e gli spazi, senza mai andare troppo oltre, costruisce intorno all’equipaggio della nave da trasporto, più un duello tra due specie diverse che una storia di puri mostri e terrore.
Alien, di fatto, non è altro che una pellicola rivoluzionaria, sotto questo profilo, perché coglie l’essenza più nera ed inquietante dello spazio, e negli anfratti più reconditi e nascosti dell’immensità del cosmo, libera una minaccia concreta, che si sazia di carne umana e non lascia scampo a libere interpretazioni. La paura di vivere in un ambiente scomodo, freddo e anonimo, come è quello della nave Nostromo, aumenta considerevolmente il senso di isolamento, così come i molti passaggi e condotti all’interno di questa,
La lenta decimazione dei protagonisti rivela, dunque, una tematica cardine nell’economia della pellicola, ovvero che l’essere umano non solo non è l’unico essere vivente nell’universo, ma nemmeno il più forte. Se, infatti, siamo sempre indirizzati a credere che la razza umana abbia il controllo in tutto, sia sulla terra che al di fuori di essa, nei tanti lungometraggi proposti, Scott con Alien ribadisce il concetto che l’uomo non è altro che un essere tra tanti, ove tra tutti, si scopre essere persino uno dei più deboli, non godendo né della supremazia sulle altre razze, né rivelandosi pronto al confronto con altre specie aliene.
I tagli di luce e l’utilizzo della macchina da presa, inoltre, conferiscono a questa pellicola un alone thriller, dando sempre più la sensazione di claustrofobia ed angoscia all’interno della Nostromo, dove Scott alterna riprese capaci di esaltare l’ambiente della nave spaziale, freddo ed ostile, ma pur sempre affascinante, a scene ricche di pathos e particolarmente spettacolari nel riprendere l’astronave aliena da cui è partito il segnale captato dal computer di bordo.
L’estetica generale, inoltre, ispirata ed originale, conferisce al tutto un’indelebile impronta d’autore, ed in questo modo, proprio nella sua forma Alien riesce fin da subito a catturare l’attenzione, costruendo un mito, cinematografico, ancora difficile da distruggere e superare. I molti elementi presenti sulla scena c
“Chi siamo?” e “Da dove veniamo?” non hanno risposte nell’opera di Scott, e sebbene la ricerca di noi stessi e delle nostre origini venga ripresa in Prometheus, che arricchisce ancor di più il background attorno all’universo fantascientifico del regista britannico, portando i vari protagonisti a rivelarsi quasi più come un odierno Ulisse dantesco, spinto dalla curiosità e dalla voglia di sapere, che a dei semplici scienziati, in Alien un’altra importante domanda ha risposta, “Siamo soli?”, e il responso si rivela essere tutt’altro da quello sperato.
Il primo capitolo della serie sullo Xenomorfo ci presenta, per la prima volta, la figura di Ellen Ripley, interpretata qui da una giovanissima Sigourney Weaver, che conosciamo prima come terzo ufficiale, quasi come un elemento di contorno ai fini della storia, per poi osservare come questa, con il decimarsi dell’equipaggio della Nostromo, prenda sempre più forza, carattere e carisma, rivelando la propria natura
Straordinari, per l’epoca, gli effetti speciali, la realizzazione degli ambienti e la colonna sonora curata da Jerry Goldsmith, dagli echi di un tipico thriller capaci di spaziare in ambienti horror, che ben si amalgama alle scene ed alla tensione che Scott crea, piano piano, con una lenta climax, nel cuore dello spettatore.
La paura, di essere indifesi, di essere delle prede, per una volta, e non i predatori, è la base su cui Alien crea la propria leggenda ed il proprio valore, e se nella sostanza questo potrebbe risultare banale o scontato, ricordandoci anche un po’ Terrore nello Spazio di Mario Bava, il contesto, e la padronanza tecnica di Rildey Scott conferiscono alla terza opera del regista inglese un’importanza ed un valore senza pari, contribuendo a segnare un passo per la settima arte e scrivendo la storia del cinema. Alien, di cui poi saranno fatti ben tre seguiti, è un capolavoro di tensione, paura e fantascienza, una pellicola capace di catturare lo spettatore, fin dai primi minuti, con i suoi silenzi ed i tanti suoni meccanici ed informatici, che ha regalato al mondo una delle eroine più carismatiche di sempre, Ellen Ripley, rivelandosi, anche per questo, un vero e proprio progetto ante-litteram e innovativo, che cerca, nello scontro tra due specie, un duello all’ultimo sangue e non si vergogna ad abbozzare una forte critica non solo al colonialismo, all’avidità umana, ma anche allo sfruttamento ed al comportamento delle tante multinazionali, ciniche e senza scrupoli, nel voler mettere a repentaglio la vita delle persone e di coloro che, pur lavorando per esse, restano all’oscuro di secondi obbiettivi.
Lo Xenomorfo, la cui estetica è un tocco di classe, nella sua immensa mostruosità, resta ancor oggi una delle figure più terrificanti del panorama sci-fi, capace di dare alla luce emuli privi del giusto spessore e conquistare il cuore degli spettatori; la “creatura”, cinica predatrice, sfuggente essere che si muove con agilità nell’ombra resta ancor oggi un elemento essenziale, per Alien, di cui non potevamo fare a meno, ma che
Alien, è bene ripeterlo, è un vero e proprio capolavoro della settima arte, straordinario più nella sua forma, che nei suoi contenuti, padroneggiato da un regista che avrebbe dato alla luce un’altra pietra miliare, Blade Runner, pochi anni dopo, e che ancor oggi è capace di traumatizzare ed angosciare chiunque lo guardi. Un raro caso di fantascienza che riesce ad andar oltre i generi di apparenza, superare le barriere imposte dalla società e dimostrarsi un qualcosa capace di essere più di una mera forma di intrattenimento. Un’opera d’arte di oscura bellezza, visionaria ed intramontabile, lanciata nell’immensità dello spazio, nel buio profondo, tra le stelle, dove nessuno può soccorrerti, né sentirti urlare.