Recensione de La Leggenda di Beowulf
Tale processo viene oggi utilizzato in modo massiccio nell’industria cinematografica e videoludica, uno dei precursori è stata la Weta di Peter Jackson con l’entrata in scena, nel suo The Lord of the Rings, di Gollum. Zemeckis, tuttavia, cerca di andare ben oltre la creazione di un singolo personaggio, e porta sul grande schermo un’intero film di animazione sorretto unicamente da tale tecnica. Una scelta senza dubbio complessa e coraggiosa, sperimentale e innovativa.
Dopo Polar Express, e prima di A Christmas Carol, nel 2007, tocca all’eroe Beowulf prendere le redini della filmografia del regista di Ritorno al Futuro, ripercorrendo la sua storia, cogliendo gli eventi in media res e portandoli poi ad un epilogo capace di rendere la sua figura una vera e propria leggenda, che i bardi, nelle ere future, non dimenticheranno di narrare.
Beowulf, figura centrare nella letteratura classica tedesca ed anglosassone, è il prototipo dell’eroe antico, colui che cerca sempre di dimostrare il proprio valore ed è costantemente affamato di gloria e potere. Arrivato, con i suoi uomini, presso le coste della Danimarca, nella reggia di Heorot, questi viene messo al corrente della figura di Grendel, un demone che infesta le terre del Re Hrothgar. Il figlio di Ecgþeow
La Leggenda di Beowulf è un ibrido interessante, sotto certi punti di vista, nonché una prova abbastanza appagante sotto il profilo cinematografico. Dopo Il Signore degli Anelli non vi sono dubbi che il fantasy, nei cinema, sia stato considerevolmente ridimensionato, ed anche in quest’occasione le citazioni e gli omaggi si scorgono in più elementi così come le scelte estetiche, ma, ironia della sorte, visto oggi il lavoro di Zemeckis sembra più un precursore di quel tipo di universo affine a lavori quali Game of Thrones di George Martin.
Tutto è dovuto proprio al fatto che l’animazione, solitamente rilegata ad un pubblico infantile, qui è solo una scelta tecnica, non un pretesto per alleggerire la storia o orientarla ad un certo tipo di persone di una certa età. Re Hrothgar ed i suoi uomini vengono descritti come uomini superbi, avidi, propensi ai festeggiamenti sfrenati e particolarmente lussuriosi ed è per questo motivo che, a scanso di equivoci, la pellicola
Come ne Il Trono di Spade, che Beowulf sembra anticiparne il design e l’atmosfera, siamo messi di fronte ad uomini che non rinunciano ai piaceri della carne, così come a scene forti dove il grottesco ed il sangue non mancano. L’arrivo del mostro Grendel, non a caso, è tanto esaltante quanto simile all’entrata in scena di una creatura appartenente ad un film horror, complice anche la fotografia, ed il sangue, gli arti, le teste mozzate arricchiscono una scenografia portata avanti in nome dello splatter più leggero.
Il cuore pulsante dell’opera è, tuttavia, la concezione del tempo e l’influenza che questo ha sugli uomini, particolare che è sempre stato alla base della filmografia di Zemeckis. Gli anni incidono sia sulle persone comuni che nei grandi eroi, coloro che aspirano all’immortalità, ed il viaggio del tempo, inteso come percorso fatto dal genere umano, è un sentiero irto di delusione e decadenza, esattamente come accade a Beowulf, un tempo giovane condottiero, ora, (nella seconda parte del film) sovrano di Heorot avvilito e
Sotto il profilo tecnico il lungometraggio vanta, grazie all’uso massiccio del digitale, molti piani sequenza, che rendono costantemente fluida la narrazione, mentre in alcuni essi appaiono quasi come delle forzature e ne limitano la godibilità; il 3D è ottimo, gli oggetti escono dallo schermo in modo nitido, ben amalgamati con le sequenze più concitate e la profondità è particolarmente curata.
Difficile, a onor del vero, esprimersi sul cast, visto che la Motion Capture limita i movimenti e le espressioni degli attori in carne ed ossa, anche se, nel riproporli con le animazioni, il risultato raggiunto è notevole, sia per gli ambienti che per i gesti dei tanti comprimari. Se, tuttavia, i volti ed i corpi dei protagonisti son realistici, le “comparse” più e più volte appaiono legnose e poco credibili, sgraziate o addirittura abbozzate sotto il profilo estetico.
La Leggenda di Beowulf, la cui sceneggiatura è curata da Neil Gaiman, sempre rimasto affascinato da questa figura mitologica, da come si può evincere dai suoi scritti e dalle sue raccolte di racconti, è un calderone di potenzialità sfruttato in maniera degna, ma non esemplare o del tutto soddisfacente; Robert Zemeckis è bravo sotto il profilo tecnico, e ha curato ogni cosa nei riguardi della società del tempo nei minimi dettagli, ma è difficile credere che un film di animazione possa godere di un respiro epico come quello di un lavoro in live-action, e si fa fatica, nelle due ore di pellicola, a rimanere sempre affascinati dai progressi fatti dalla tecnologia nel ricreare volti o personaggi sul grande schermo. L’impressione, a volte è quella di non vedere un prodotto “credibile”.