Recensione de La Casa
La Casa, titolo datogli per la distribuzione italiana, fu più di un semplice appuntamento con un horror vecchio stile e del tutto inedito al contempo, esso è riuscito con gli anni a crearsi una schiera di innumerevoli di seguaci ed emuli che non hanno perso interesse nel replicare storie simili o affini a quella di Ash Williams e dei suoi amici, sperduti nei boschi del Michigan in una catapecchia abbandonata, durante un tranquillo week-end a base di ormoni, sesso, divertimento e paura.
Oggi, nel vedere l’opera prima di un autore che è possibile considerarlo tra i migliori della sua generazione, quel che colpisce non sono tanto le pennellate di terrore o splatter che alimentano la storia, ma l’impostazione scelta da Raimi nel voler raccontare la triste dipartita di un gruppo di amici attraverso una regia sempre attenta ed originale, magari non tanto nella tecnica, ma nel contesto, poiché appare lampante, fin dalle prime inquadrature, che il film-maker abbia preso come punti di riferimento personalità intramontabili, per la resa visiva della sua creatura, che spaziano da un Hitchcock nei momenti più tesi e drammatici, ad uno Spielberg reduce di Duell, ad un Carpenter, ad Sergio Leone
In effetti, se The Evil Dead, da un lato, non fa più paura, ma in fondo il vero terrore che cosa è?, dall’altro non si può non comprendere l’importanza che questa produzione a voluto dire a livello internazionale, imponendo la sua forte personalità e dando una precisa direzione ad un genere tanto vasto quando complesso da mettere in scena sul grande o piccolo schermo. Le lente inquadrature, i dialoghi ridotti all’osso, il gioco fatto con le luci, i primi piani sui volti dei personaggi, danno vita ad un lungometraggio atipico, per l’epoca, e dal sapore cult per chi lo guarda adesso; magari, per alcuni, sarà come vedere un fossile ben conversato, mentre per altri rappresenterà una fonte inesauribile di ispirazione, di fatto La Casa, a distanza di trent’anni, funziona in ogni suo dettaglio, a partire da quell’ambientazione naturale che assume i contorni di una foresta selvaggia e aspra,
Quando si parla de La Casa bisogna prendere coscienza del fatto che è come toccare una delle vette più alte del genere horror e del cinema degli ultimi anni, quel che rende ancora affascinante, divertente e paurosa la particolare prima fatica di Sam Raimi non sono tanto i momenti di tensione, posizionati nelle sequenze giuste, qua e là, ma l’innovazione che questa ha rappresentato, grazie ad uno spropositato uso
The Evil Dead, nel suo essere un prodotto dotato di una doppia personalità resta un cult intramontabile, una parentesi destinata ad espandersi all’infinito, apprezzata da centinaia di registi in erba e scrittori di talento, tra i quali possiamo inserire un certo Stephen King, che, fino a prova contraria, di paura se ne intende parecchio. Che lo si guardi in compagnia o in solitudine, che sia durante un campeggio estivo o una notte passata in nome del terrore, La Casa, tra horror tradizionale e rivoluzionario, tra iperbole e macabro (ir)realismo, tra sacro e profano, con i suoi angoli bui, i silenzi e gli scricchiolii, le sue pareti sporche, il legno putrefatto e le finestre con le ante in continuo movimento a causa di un vento sinistro, è, come il suo protagonista Ash, capace di conquistare ancora l’interesse di quegli spettatori tanto coraggiosi da avventurarvisi all’interno, sebbene, al contrario di tante altre storie, nessuno avverta loro di lasciare ogni speranza una volta entrati.