Fresco di Premio Oscar come miglior Regista dell’anno grazie alla trasposizione de Il Paziente Inglese, Anthony Minghella decide di (ri)portare sul grande schermo la vita dell’ormai famoso Tom Ripley nato dalla penna di una delle più grandi scrittrici di gialli del ventunesimo secolo: Patricia Highsmith. Viene, dunque, scelto per l’occasione Matt Damon per la parte del giovane protagonista, mentre Jude Law e Gwyneth Paltrow fanno da spalla a quest’ultimo; nel cast è possibile trovarvi attori (non ancora del tutto famosi) quali Philip Seymour Hoffman, Cate Blanchett e personaggi del “cinema” o dello spettacolo italiano come Rosario Fiorello e Ivano Marescotti. Minghella, dopo aver raggiunto la consacrazione nel 1997, con un cast di prim’ordine sarà riuscito a confezionare una pellicola dalle sfumature di un thriller psicologico decente ed allo stesso tempo appagante? La risposta, secondo il nostro punto di vista, la troverete solo leggendo la nostra recensione! Buona lettura da parte di Uninfonews.it!
Napoli, anni ’50. Il giovane e spiantato Tom Ripley (Matt Damon) sbarca da New York in una missione per conto del ricco Mr. Greenleaf. Ha il compito di convincere il giovane figlio di lui, Dickie (Jude Law), a rientrare negli Stati Uniti. Ma Tom sa che a missione conclusa dovrà ritornare alla sua vita grama e allora non sarebbe forse più semplice sostituirsi al ricco Dickie e spassarsela come fa lui?
Il grande pregio di The Talented Mr. Ripley è anche il suo più grande difetto: quello di essere un prodotto figlio della mente di una scrittrice e che quindi derivi da un manoscritto. Se, di fatto, in un libro è possibile prendersi delle lunghe pause, proporre innumerevoli riflessioni con parole e lemmi, in un lungometraggio è molto difficile riuscire nell’intento appena citato e la pellicola di Minghella non fa eccezione; ci sono, infatti, momenti interessanti con sequenze ricche di suspance e ben girate, eppure allo stesso tempo siamo messi di fronte anche a scene molto lente, noiose e un po’ fini a se stesse e quel che più sorprende è che queste siano sopratutto nella seconda parte del lungometraggio. La prima ora è dedicata alla contestualizzazione della storia nello spazio e nel tempo e ai personaggi, mostrando senza ombra di dubbio, un bravissimo Jude Law nei panni del ricco Dickie su cui quest’ultimo riesce ad attirare la completa attenzione dello spettatore. Grazie a delle ottime scenografie, alla bellezza un po’ selvaggia e poco curata del Bel Paese, la storia si prende tutto il tempo necessario, senza annoiare troppo, nel preparare il pubblico a quel che accadrà in seguito. Ma è proprio il seguito a deludere, poiché il film si adagia su una eleganza non solo sul lato dei contenuti, ma anche sulla messa in scena che risulta essere un po’ eccessiva, dimenticandosi talvolta il cuore pulsante ed il genere a cui appartiene tale prodotto. Di fatto ne Il talento di Mr Ripley di giallo ci è davvero poco e il lungometraggio appare sempre più un pretesto per mettere a nudo le grandi capacità del protagonista, senza che esse vengano veramente approfondite proprio come la sua psiche, nelle due ore e dieci di durata, dal regista. Così siamo spinti a guardare la vita di quest’uomo quasi ed unicamente per scoprire fino a dove la sua genialità possa portarlo e quali atti atroci quest’ultimo possa commettere. Manca la spinta necessaria per sorprendere e appassionare il pubblico, manca il coraggio anche dal punto di vista tecnico, poiché Minghella non enfatizza in modo evidente alcuna sequenza realizzata, eccezion fatta forse, per la più bella di tutte che darà il via alla drammaticità di tutti gli eventi che ne seguiranno.
Vi è persino un sentimento di amore e odio verso l’Italia, rappresentata in modo spezzettato e divisa nettamente tra il bello ed il brutto, o per voler mettere il dito nella piaga “il bello evidenziato dai paesaggi” ed “ il brutto rappresentato dagli abitanti” che appaiono un po’ rozzi e volgari in alcune sequenze, mentre i giovani americani sembrano fin troppo raffinati ed eleganti anche laddove tali attributi non vengono richiesti. Un particolare del tutto superficiale, ma che comunque rimane impresso, se non altro, per il modo in cui essa era/è concepita. Le scenografie, come già accennato, sono molto curate e ispirate, anche se è il paesaggio a farla da padrone: Roma, Venezia, Napoli hanno un fascino incredibile e bucano lo schermo. La fotografia buona, ma non al meglio e incapace di trasmettere quell’inquietudine richiesta anche verso il giovane Ripley.
Per quanto riguarda gli attori non possiamo non evidenziare la performance di Law, brillante, spensierato e ambiguo (anche sul piano sessuale) quel tanto che basta per convincere in ogni momento del lungometraggio senza mai essere troppo sopra le righe. Meno convincente, rappresentando la pecca forse più grande del film, è Matt Damon che recita bene solo in alcuni momenti, lontano anni luce dal saper trasmettere quel fascino maligno dietro a quel suo viso angelico e fin troppo legnoso in alcune sequenze. Se fosse stato scelto un attore, anche meno affascinante, ma con più espressività e carisma del giovane premio Oscar (per la sceneggiatura di Will Hunting – Genio Ribelle) probabilmente il film ne avrebbe giovato ancor di più perché in questi casi, dove la psicologia gioca un ruolo fondamentale, è veramente difficile rimanere impressionati da un attore che mette a disposizione solo due o tre espressioni, magari anche un po’ sornioni. La sensazione è che il “nuovo” talento americano non abbia saputo sfruttare al meglio le sue capacità e che poteva fare di più, questo ci porta a considerare la sua prova solo buona ed a tratti pienamente soddisfacente. La Paltrow è brava, fa ciò che le viene richiesto e funziona abbastanza bene sulla scena nelle vesti della fidanzata di Dickie. Il regista, tuttavia, non la sfrutta al meglio e solo nel finale della storia l’attenzione vira appieno sul suo personaggio. Tra gli attori coinvolti nella produzione ricordiamo i due premi Oscar: Philip Seymour Hoffman e Cate Blanchett. Entrambi, anche se impiegati al minimo, sono più che convincenti, tuttavia rimangono ben lontani dalle loro migliori performances, sopratutto la Blanchett, mentre Hoffman, per quei pochi momenti che appare sulla scena, riesce a rimanere abbastanza impresso facendo rimpiangere quasi il fatto che il suo personaggio sia solo un comprimario. Entrambi gli interpreti, tuttavia, sono pieni di talento e si vede!
Il Talento di Mr. Ripley è un film godibile, indubbiamente da vedere, ma non indispensabile. Una pellicola, dunque, con forti alti e bassi, che non sfrutta appieno il potenziale a cui attinge e si manifesta solo come l’ombra del romanzo della Highsmith da cui prende ispirazione. Con una regia ordinaria, eccezion fatta per alcune sequenze, e non particolarmente ispirata la storia non ingrana mai la marcia giusta, risultando essere a volte un po’ troppo noiosa e con qualche lungaggine. A completare il tutto rimane la performance di un Matt Damon non proprio in stato di grazia, che non offre con le sue movenze e la sua personalità il carisma e l’irrequietezza che gli viene richiesta; il suo Ripley è fin troppo ordinario sulla carta e la performance non convince appieno, graziata solamente dalla sceneggiatura. Lo stesso discorso non si può fare per Jude Law ed il resto del cast, che regala ottime interpretazioni sebbene il regista si prenda persino il lusso di mettere un po’ in ombra questi grandi talenti e non valorizzare le ottime attrici che ha a disposizione. La scena più ridicola, lasciatecelo dire, è quella che vede protagonista Rosario Fiorello, Law e Damon cantare “Tu vuò fa’ l’americano” in un locale di Ischia (per l’occasione chiamata Mongibello) e dopo avervi svelato ciò sta a voi decidere se vedere o meno Il Talento di Mr. Ripley!
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