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Recensione de Il Labirinto del Fauno

Recensione de Il Labirinto del Fauno

“Un labirinto visivo fantastico che non fa mancare l’importanza del contesto storico scelto, dando vita ad una storia che fa dell’equilibrio il suo punto di forza”

Il Cinema di Guillermo del Toro è sempre stato un miscuglio di elementi capaci di creare una forma d’arte tanto derivata quanto inedita, riuscendo a confluire, grazie al genio di colui il quale l’ha concepita, in un tipo di Cinema che è riuscito ad unire molti dei fattori del passato, spaziando nelle varie discipline artistiche, concependo in questo modo un nuovo tipo di opere dotate di un grande potenziale di cui se ne sentiva il bisogno.

Il messicano, amico dei colleghi Cuaron ed Inarritu, nella sua prospera carriera ha sempre, costantemente, cercato di riversare tutto il suo genio, la sua verve e la sua inesauribile fantasia in ogni lungometraggio da questi diretto. Sin dai tempi di Cronos e Mimic è possibile scorgere tematiche, elementi, luoghi, personaggi che si sono dimostrati essere in ultima analisi piccoli mattoncini di quell’elegante, oscuro ed inquietante tempio mentale di Guillermo, un luogo ove il bello cede il passo al brutto, ma che non viene privato comunque di un certo fascino primordiale, segreto e oscuro.

Insetti, mostri, richiami a mondi estranei o paralleli ai nostri hanno continuamente stuzzicato la mente di questo regista, che fortunatamente per noi è riuscito con gli anni a riscuotere dei modesti, se non eccellenti, riscontri con la critica specializzata, la quale, ammettiamolo, più e più volte si ritrova ancor oggi a stroncare ingiustamente pellicole di genere (e per “genere” è bene riferirsi all’horror).

Del Toro è un uomo di cinema, non solo una persona capace di fare Cinema, poiché molti sono i film da lui prodotti o le sceneggiature da lui revisionate o curate; è un piccolo outsider che nella apparente conformità cela una forte componente rivoluzionaria capace di sfociare nei suoi lavori attraverso i contenuti e le immagini, senza mai rivelarsi troppo eccessiva o disturbante.

Arriva così, dopo i tanti film girati a cavallo tra la fine degli anni ’80 fino ai 2000, nel 2006, la pellicola che finalmente lo porta in alto, tra le stelle di Hollywood, facendolo arrivare alla candidatura all’Oscar quale Miglior Sceneggiatura Originale e Miglior Film Straniero, un riconoscimento che sa quasi di resa da parte dell’Academy, la quale non può non fare i conti con quest’uomo, che in tanti anni di onorato servizio ha portato alla luce perle come HellBoy – The Golden Army, La Spina del Diavolo e contribuito alla realizzazione di piccoli lavori quali La Madre o Eva, apprezzati in tutto il globo.

Il Labirinto del Fauno così sarà per lo spettatore medio o neofita, ma volenteroso, il perfetto biglietto di ingresso per iniziare a considerare la sua produzione una raccolta di assoluto valore, un contributo alla settima arte necessario nonché  in definitiva originale.

Eppure, in fondo, cosa rappresenta davvero El Laberinto del Fauno? Come possiamo catalogarlo e a quante chiavi di lettura si presta?

E’ un fantasy? Un ritratto storico/sociale della Spagna della Seconda Guerra Mondiale? Una allegoria religiosa? Un omaggio a tutta la mitologia a cui il regista ha potuto e saputo fare appello? Oppure semplicemente una fiaba?

Al sottoscritto piace credere che l’opera di Del Toro, che si è presa il merito, se non la soddisfazione, di aver visto sulla propria locandina internazionale la scritta “nominata a 6 premi oscar tra cui miglior film straniero” sia una fiaba per adulti.

Secondo un famoso professore inglese dello scorso secolo, di fatto le favole non erano un soggetto per bambini, poiché al loro interno nascondevano agganci e tematiche, se non addirittura personaggi ed episodi, che solo gli adulti potevano comprendere appieno e quindi si doveva dare ad esse il giusto rispetto ed importanza, vederle esattamente come una delle più alte forma di prosa. Queste dovevano andare oltre il piacere di essere ascoltate da giovani pargoli nei loro letti prima di andare a dormire, quando nonne o mamme raccontavano loro di eroi, draghi, dame e cavaliere, poiché in esse erano racchiuse le fondamenta della civiltà ed in larga parte del Mito.

Guillermo, con questa produzione, realizza così un lungometraggio che riesce a toccare molte sfumature senza mai che l’una contamini o penalizzi l’altra, donando alla storia un equilibrio sia visivo che contenutistico; ci guida in un universo immaginario, ma al contempo non si scorda di parlare della realtà e del nostro mondo ormai sconquassato e distrutto dal secondo confitto mondiale, combattuto, in Spagna, dalla resistenza e vissuto attraverso gli occhi di una bambina, Ofelia, una creatura innocente dotata di una incontenibile fantasia, capace di creare una realtà alternativa alla nostra, ma non per questo meno crudele o credibile.

Il background narrativo è dotato di una cura ed un fascino concreto, solido e sincero ed è per questo esatto motivo che le scene che vedono protagonista il Fauno, ad esempio, e gli altri esseri fantastici funzionano alla perfezione, poiché il regista non si limita a inserirli in modo frettoloso o scanzonato, ma prepara psicologicamente lo spettatore, lo guida a credere nella vicenda da lui narrata, senza che questa agisca da Deus ex-machina né venga proposta sotto forma onirica e lo porta quasi a scordarsi, proprio come la giovane protagonista a cui il Fauno dirà essere una principessa, del proprio mondo.

L’elemento fantastico, che richiama Lewis, la mitologia dei miti nordici e greci, Tolkien e Lovecraft (verso il quale Guillermo del Toro ha un grande debito, e non nasconde gli omaggi ed i continui rimandi alla sua opera) ha una notevole parte di rilievo, ma sarà la vicenda legata alla guerra civile in Spagna, quella che vede lo scontro tra i seguaci di Franco ed i Partigiani, a catturare lo spettatore, la quale acquisterà sempre più corpo ed importanza sullo schermo con il passare del tempo rivelandosi essere parte del cuore pulsante del lungometraggio e culminerà pacificamente con un finale che se da un lato appare poco “originale” ed intuitivo dall’altro si dimostra perfetto, estremamente drammatico e capace di offrire un lieto fine allo stesso tempo, privato da un’inadeguato alone di buonismo e superficialità.

E’ una vicenda crudele, quella della piccola Ofelia, nata e vissuta in uno dei più bui periodi della storia recente spagnola (periodo caro al regista), orfana di padre, costretta a vivere con la madre la quale ha preso in sposo un capitano franchista, che contrappone, al conflitto interno dello stato, tutta la sua innocenza e coraggio, la cui natura si rivela capace di rappresentare tutto quello che non è la guerra ed al contempo le conseguenze di essa su gli innocenti, mettendo in mostra un binomio essenziale legato al fatto che le persone si differenziano tra chi pensa e chi agisce senza riflettere ed in un mondo del genere persino l’immaginazione può essere vista come una fonte di salvezza.

Commento Finale

Per coloro i quali saranno alla ricerca di un lavoro dalle sfumature virate al fantasy non potranno non amare la figura del Fauno, il suo carisma, la sua ambiguità, per non parlare di quella del “mostro con gli occhi sulle mani”, al quale viene concesso uno spazio di grande impatto visivo, condito da un’ottima fotografia, a cui viene donata una profondità mitologica invidiabile ed una realizzazione tecnica certosina; alcuni, tra i più svegli, magari troveranno anche in una determinata situazione persino un forte riferimento ad un opera famosissima di Goya in sua presenza, per non parlare, in fine, di tutte le piccole trovate stilistiche nate dalla mente di Guillermo del Toro, che riesce a farti piacere una cosa oggettivamente brutta, verso la quale provi una naturale repulsione, ma non per questo meno affascinante. Questi è un autore che ti fa comprendere che la bellezza non è solo un bel viso o un bel panorama, ma che lo spettatore, cioè noi, è attratto anche da ciò che è brutto. Arrivato ai titoli di coda la sensazione è stata quella di aver visto un film grandioso, magari quadrato, ordinario e orchestrato alla perfezione, capace di soddisfare una larga fetta del pubblico, ma pieno di tristezza e vita, sacrificio e denuncia.

Sia Lode a Guillermo.

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Guillermo Del Toro, Fantasy,
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5
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