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Recensione de Il Gigante Sepolto

Recensione de Il Gigante Sepolto

di Kazuo Ishiguro

Il leggendario re Artù è morto ormai da qualche tempo ma la pace che egli ha imposto sulla futura Inghilterra, dilaniata per decenni dalla guerra intestina fra sassoni e britanni, seppure incerta, perdura. Nella dimora buia e angusta di Axl e Beatrice, tuttavia, non vi è pace possibile. La coppia di anziani coniugi britanni è afflitta da un arcano tormento: una sorta di inspiegabile amnesia che priva i due di una storia condivisa. A causarla pare essere una strana nebbia dilagante che, villaggio dopo villaggio, avvolge indistintamente tutte le popolazioni, ammorbandole con i suoi miasmi. Axl e Beatrice ricordano di aver avuto un figlio, ma non sanno più dove si trovi, né che cosa li abbia separati da lui. Non possono indugiare oltre: a dispetto della vecchiaia e dei pericoli devono mettersi in viaggio e scoprire l’origine della nebbia incantata, prima che la memoria di ciò a cui più tengono sia perduta per sempre. Lungo il cammino si uniscono ad altri viandanti – il giovane Edwin, che porta il marchio di un demone, e il valoroso guerriero sassone Wistan, in missione per conto del suo re – e con essi affrontano ogni genere di prodigio: la violenza cieca degli orchi e le insidie di un antico monastero, lo scrutinio di un oscuro barcaiolo e l’aggressione di maligni folletti, il vetusto cavaliere di Artù Galvano e il potente drago Querig. Giungono infine in vista della meta, e qui li attende la prova più grande: saggiare la purezza del proprio cuore. 

Mettere mano ad un genere come può essere quello fantasy al giorno d’oggi è assai complesso oltre che risultare estremamente rischioso, e non è una novità dirlo; se dovessimo fare un censimento incentrato sulle pubblicazioni in questa branchia della letteratura, negli ultimi vent’anni, scopriremmo che molti sono i libri dati senza remore alle stampe, alcuni dei quali già caduti nell’oblio, stesso destino crudele abbattutosi cinicamente anche su coloro che li hanno scritti, vuoi per la moda corrente, vuoi per i richiami cinematografici, vuoi per la televisione e, per un senso lontanamente giustificato, della componente erotica nei vari tipi di racconti; è, per questo, inutile perdersi tanto in chiacchiere ed ammettere la dura realtà: il fantastico sta vivendo una seconda giovinezza, di pari passo ad una costante e crescente decadenza, che ne limita la godibilità, ma sopratutto gli impedisce di fare quel salto qualitativo, il più delle volte, che potrebbe renderlo capace di andar ben oltre il semplice desiderio commerciale.

Tuttavia, approcciarsi a questo specifico genere, che nel ‘900 ha avuto con John R.R. Tolkien un padre oltre che ad una vera e propria rivoluzione, non è semplice, non solo per coloro che (lo) scrivono o se ne occupano, ma anche per chi legge. Può suonare azzardato e provocatorio, ma ai giorni nostri Il Signore degli Anelli, con annessi gli altri scritti dello studioso anglosassone (quali Lo Hobbit, Il Silmarillion, I Racconti Perduti, Ritrovati e Incompiuti) , rimane l’unica grande prova e produzione di un’opera fantastica capace di andare ben oltre i canoni e gli stereotipi a cui, molto spesso, siamo costretti ad imbatterci. Alcuni appassionati e studiosi della materia, infatti, vi dimostreranno il motivo per cui a Tolkien va tanta grande importanza in tale ambito, non solo relegata alla sua illimitata creatività, ma per essere riuscito a costruire un’allegoria che, per quanto distante dal contesto in cui viviamo, sia capace di sposarsi alla perfezione con la realtà di oggi, e amalgamata ad un insieme di particolari che, attingendo a piene mani dalla letteratura germanica e anglosassone, questi ha saputo capovolgere e modernizzare in maniera originale ed innovativa, ricalcando specifici elementi dell’epica europea, per poi reinventarli con un linguaggio personale.

Senza voler andare ad approfondire quelle che sono le tematiche o i punti di forza del capostipite di questo filone narrativo, basti sapere che, purtroppo (o per fortuna), non siamo ancora riusciti a possedere tra le mani un romanzo, o un racconto, dotato di una potenza pari a quella di The Lord of the Rings, che dopo più di mezzo secolo conquista e ammalia lettori quasi fosse stato dato alle stampe il giorno prima e gode di un’originalità immortale, non solo per la straordinaria epopea raccontata, ma sopratutto per l’attenzione che il grande filologo, padre degli hobbit, ha riposto nella sua fatica più nota, la quale crea un legame di fiducia reciproca e senza confini nei confronti di chi si cimenta nella lettura dell’intera sua opera magna.

Tutto questo incipit è servito per arrivare a parlare, finalmente, dell’ultimo romanzo di Kazuo Ishiguro, che torna sulla scena dell’editoria e sugli scaffali delle librerie, ben dieci anni dopo il suo Never Let Me Go, lavoro con cui lo scrittore giapponese, naturalizzato inglese, ha ricevuto grandi plausi dalla critica e dal pubblico.

Una decade si fa sentire, indubbiamente, ed è per questo motivo che, The Buried Giant merita un’analisi attenta e approfondita, che vada al di là del suo aspetto più superficiale e che sia orientata sui tanti livelli dai quali esso stesso è composto.

Partiamo da quello che potrebbe colpire nell’immediato, vale a dire la storia, la quale si svolge in un periodo storico imprecisato, che potremmo identificare nel lasso di tempo in cui è vissuto il leggendario Artù ed i suoi cavalieri. Ishiguro, che non ha mai messo mano ad un fantasy, nella sua produzione, né dimostrato un particolare interesse, egli stesso ammette di non aver poi prestato così tanta attenzione al Signore degli Anelli né tanto meno di esservisi ispirato, costruisce una ricerca della propria persona all’interno della quale si muovo ben cinque personaggi, un campionario di personalità che si aggiungono con l’avanzare dei capitoli, a loro volta ben delineati da un preciso evento, e su cui la penna dell’autore non indugia, di tanto in tanto, a rivelare le intenzioni (buone o cattive) di ognuno di essi, allontanandoli da una raffigurazione manichea marcata.

Axl e Beatrice sono due vecchi coniugi britanni che vivono al ridosso di una montagna nella vecchia Inghilterra, all’interno di una comunità non particolarmente ricca e a dir poco rudimentale. A causa della nebbia che attanaglia le popolazioni delle contrade inglesi, i due non ricordano più il proprio passato, né hanno memoria del loro figlio, scappato e mai più tornato da questi. Decidono, perciò, di partire e andare a trovarlo, se non, persino, di chiedere asilo al villaggio in cui abita. Durante la loro traversata si imbattono in Wistan, un guerriero sassone, mandato in missione dal proprio Re, per uccidere Querig, il drago-femmina, che con il proprio fiato, crea la temibile nebbia, colpevole della quasi totale perdita di memoria di massa. A loro si aggiunge il giovane Edwin, orfano di padre e madre, il quale viene esiliato dal proprio villaggio per essere stato morso, e dunque marchiato, da un’oscura creatura, facendo di lui un pericolo per gli altri secondo le più antiche credenze religiose pagane. Nella ricerca si unisce Galvano, il cavaliere nipote di Re Artù, ormai anziano e canuto, la cui missione è anch’essa quella di uccidere il drago e riportare la pace nel regno.

Un romanzo interamente dedicato alla memoria, sia individuale che collettiva, ove l’importanza del ricordo assume contorni ambigui, attraverso i quali Ishiguro porta avanti un concetto oggi assai attuale e incredibilmente contemporaneo, contaminato da piccole sfumature sovrannaturali. Al di là, infatti, di quello che si potrebbe pensare dal titolo e dalla sinossi riportata in quarta copertina, Il Gigante Sepolto di fantasy ha ben poco, se non un’atmosfera ed un’ambientazione che si confà più ad una società medievale primitiva in più frangenti, ma estremamente realistica, che ad un universo immaginario, e, per questo, ogni elemento si mostra quasi del tutto privo di sfaccettature o cliché che potrebbero richiamare alcuni stereotipi del genere.

Quello che porta a credere, di fatto, di aver tra le mani un pezzo di nuova letteratura fantastica, inedito sotto molti punti di vista, sono i tanti echi legati al ciclo Arturiano, che ne fanno quasi un ibrido di epica in prosa, dai nomi dei personaggi, alle citazioni ed alle storie che si allacciano a Merlino ed ai cavalieri della Tavola Rotonda, oltre che alla tematica religiosa incentrata su Cristiani e Pagani; ma, al di là di questo, e qualche situazione che coinvolge orchi o elfi, The Buried Giant cerca sempre di allontanarsi audacemente da una certa etichetta ed insieme di cui non vuole, alla fine, far parte.

Il romanziere britannico esplora il territorio della coscienza dell’uomo e tocca un delicato argomento quale quello del saper prendere atto di chi siamo solo attraverso ciò che abbiamo fatto. La nebbia che invade i territori britanni non è unicamente un espediente narrativo o una conseguenza del Drago, nemesi solo “fisica” dei protagonisti, in quanto la perdita di memoria rappresenta il vero danno e il vero nemico con cui bisogna combattere. Attenzione, però, perché talvolta dimenticare non vuol dire che sia sbagliato, il guaio viene se, tutto ciò, ci viene imposto a nostra insaputa. Il Gigante Sepolto mette così in guardia il lettore, ma lo fa con maestria e saggezza, nel coinvolgerlo in una vicenda che proprio negli ultimi capitoli rivela il suo vero cuore pulsante, dimostrando che a volte, far scordare determinati eventi o fatti, sia vantaggioso non solo per noi stessi, o per il nostro futuro, ma in particolar modo per gli altri, lanciando, quindi, a noi tutti un monito d’avvertimento.

E’ un messaggio pessimista quello che Ishiguro vuole mandare, e nell’era dei social network e della messaggistica istantanea, nei tempi “nell’aver tutto e subito” perché il domani è alle porte e niente ha più valore se passato, la sua opera sembra decidere di remare contro a molte delle abitudini delle persone di oggi e portarle a ragionare su un piano più elaborato. Viviamo in una società che sull’apparenza e sul “carpe diem” fonda gran parte del proprio potenziale, laddove, ovunque oggigiorno, tutto si palesa ai nostri occhi come un “eterno presente”, dove il passato non viene visto come una prova di ciò che ci ha portati ad essere quel che siamo, donandoci la canoscenza necessaria per guardare al futuro e non commettere gli stessi errori, ma un’ingombrante spina nel fianco, di cui possiamo fare a meno.

The Buried Giant, al contrario, sembra prendere una decisione netta sulla grande necessità della presa di coscienza delle masse, oltre che dell’individuo e suggerisce di prestare attenzione a tutti coloro che cercano di allontanare i problemi o farli cadere nell’oblio, persino se tali personaggi, con vane e belle parole, parlano di Pace; allora più che mai, sebbene questa sia portata avanti in nome dei più nobili intenti, può ella stessa essere nociva, se si perde atto di come vi si vuole arrivare e cosa, quest’ultima, può compromettere o comportare. I conflitti, sia interiori che sociali, che riguardino i mutamenti di una persona, di una coppia e la loro duratura storia d’amore o di un popolo con un altro popolo, non devono essere né occultati, né abbandonati a loro stessi, o peggio ancora obliati per favorire una tregua apparente (momentanea) che trasuderà vendetta (nel domani).

Il mondo di Ishiguro è in piena decadenza, e questo non lo avvertiamo solamente dalla morte di Re Artù, dalle ultime gesta dello stanco Cavaliere Galvano, che costantemente cerca di ricordare il proprio passato ed i suoi giorni migliori, con addosso un’armatura arrugginita e sopra ad un cavallo ormai esausto dai molti viaggi, o da una descrizione, ispirata, di un monastero di monaci dai forti richiami al Nome della Rosa di Umberto Eco o della brughiera inglese tanto fredda e scossa da terribili folate di vento da sembrare uscita fuori da un dipinto romantico del 1800; il lettore concepisce il naturale decadimento delle cose proprio dalla scelta di voler concepire l’esistenza di ogni persona descritta in modo alieno alla natura umana, costringendo ogni abitante della britannia a vivere in un limbo quotidiano dove ogni sensazione, gioia, dolore, rabbia, frustrazione è spezzata e frantumata, che alimenta il cuore degli uomini e delle donne solo superficialmente, per poi sparire, dimenticata e lasciata cadere nei meandri della memoria, come se quasi nulla fosse mai accaduto.

Il Gigante Sepolto si appresta, dunque, ad essere un romanzo importante, ma non impeccabile, scritto in maniera eccellente e più che dignitoso, ove a causa di una narrazione a volte prolissa e poco “adatta”, tende a distruggere l’enfasi ed il pathos in molti casi richiesto. Trattare l’epica in modo freddo, con distacco, suggerendole quasi una veste oggettiva, come se fosse un insieme di dati matematici riportati su un foglio o appunti, senza guidare il lettore in un racconto particolarmente accattivante è un’arma a doppio taglio, che se da una parte conserva una certa qualità nella scrittura, dall’altra ne limita anche il piacere nella lettura in più di un’occasione, sopratutto nei confronti dei personaggi, a volte poco interessanti o poco approfonditi.

Ishiguro, tuttavia, pur non avendo dimestichezza con il genere, e cadendo più e più volte in cliché Tolkieniani che, purtroppo per quest’ultimo, non può evitare, confeziona un’opera che nel messaggio offre il meglio di se e quel che propone, è bene ripeterlo, non è poco. Il Fantasy, se inteso come genere maturo e realistico, con lo scrittore britannico, qui sembra aver trovato il proprio manifesto ed emblema, sebbene di certo, in futuro, possa pretendere qualcosa di più e trovare un equilibrio che in quest’occasione stenta ad avere. L’intera parabola ed allegoria sul passato e l’importanza della propria memoria, così come dei ricordi uniti a noi in quanto esseri senzienti, rimane una delle più interessanti idee e riflessioni analizzate in un romanzo contemporaneo dai contorni epici e storici, su cui, visto il presente in cui viviamo, sarebbe giusto, a nostra volta, riflettere e discutere molto per preservare la nostra integrità e la nostra storia.

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Reviewed Item
Kazuo Ishiguro, Fantasy, Romanzo, Novel,
Author Rating
3
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