Recensione de Il Braccio Violento della Legge
Tutti conoscono William Friedkin, ma se così non fosse, sarebbe opportuno correggere quanto appena detto con “Tutti quanti, nel bene o nel male, conoscono L’Esorcista” e di fatto è proprio così: dietro la crudele, quando paurosa storia, entrata ormai nella leggenda nonché capolavoro cinematografico, si cela il volto di Friedkin, un autore che ha saputo dare il proprio meglio, tecnicamente e qualitativamente negli anni ’70, uno dei decenni forse più belli (se non Il più bello di tutta la storia) che il cinema abbia mai avuto. Prima, tuttavia, di dedicarsi all’Horror, il noto regista diresse ben cinque film ed uno di essi, quello di cui state leggendo la recensione, era proprio Il Braccio Violento della Legge, che vinse ben 5 premi Oscar nel 1972, ottenendo un grandissimo successo sia da parte del pubblico che dalla critica specializzata. Se, tuttavia, queste premesse non bastassero a soddisfare la vostra curiosità, vi invitiamo a proseguire nella lettura dell’articolo che Uninfonews.it ha fatto per voi!
I detective di New York, “Papà” Doyle (Gene Hackman) e Buddy Russo detto Tristezza (Roy Sheider) sperano di riuscire a spezzare una catena di narcotraffico e di sgominare un clan di mafiosi marsigliesi. Quando uno dei criminali tenta di uccidere Doyle, quest’ultimo da inizio ad una caccia mortale che lo porterà ben oltre i limiti della città. La vicenda è tratta da un romanzo che a sua volta trae ispirazione da un’indagine investigativa realmente accaduta.
Il Braccio Violento della Legge, con lo scorrere dei minuti, riesce a mettere sempre più in mostra come il desiderio di sperimentare, da parte del regista, superi di gran lunga l’interesse nel narrare i risvolti della storia. Di fatto la pellicola non offre una trama particolarmente complessa e ricca di suspance, forse unico piccolo neo della produzione, favorendo così molti altri aspetti che ci portano a considerarla una specie di (semi) capolavoro del genere. Friedkin gioca molto sulla psicologia, sull’estetica e sulla morale dei personaggi, sia principali che non, facendo una netta divisione tra di essi. Da una parte abbiamo i cattivi e dall’altra i due agenti di polizia, interpretati da Hackman (la cui performance gli valse l’Oscar come miglior Attore Protagonista) e Sheider entrambi in stato di grazia e molto convincenti, l’uno rappresentato più come un anti-eroe e lontano anni luce dal classico poliziotto dedito alla casa ed al lavoro, eticamente e moralmente scorretto; il secondo, Buddy Russo, è un personaggio più moderato, che non viene portato all’estremo, sotto il profilo psicologico e si rifà ai più classici canoni del noir o poliziesco. I due sullo schermo funzionano, anche se è subito molto chiara la scelta che fa il regista e su chi questi voglia riporre maggior attenzione. Hackman si trova così calato nei panni di un uomo che alla fine diventerà quasi un mostro, insensibile e incapace di pentirsi per ciò che ha fatto (e che non vi sveleremo!), trasformato non esteticamente (ricordiamo che il cinema di questo regista si basa anche sul concetto di cambiamento estetico/psicologico) bensì interiormente, diventando così un personaggio che ben si adatta alla visione di William Friedkin.
Tuttavia, la pellicola, in un certo senso, va oltre i personaggi e al modo in cui vengono rappresentati (i cattivi vestiti in modo elegante, mentre buoni dipinti con abiti scadenti e politicamente scorretti) e da il meglio di se sotto l’aspetto tecnico. La regia è di grandissimo livello, pronta ad avviarsi al limite estremo del consentito e girare, così, sequenze che hanno fatto scuola come quella dell’inseguimento in auto a metà film. Il padre di Killer Joe sembra voler osare sempre di più, offre un prodotto che parte molto lentamente, ma che una volta preso il largo non si ferma più confluendo in una spirale di inseguimenti e violenza da antologia. Per solo questo motivo Il braccio violento della legge meriterebbe una visione da parte di tutti. A questo aggiungiamo anche la concezione che Friedkin ha delle metropoli e delle grandi città e non a caso per l’occasione sceglie la metropoli americana per eccellenza: New York! Lontano dalla nostalgia, dallo stupore e fascino tipico dei film di Allen, il regista propone, quasi a taglio documentaristico, una Grande Mela sporca, povera, quasi dimenticata e esteticamente opposta ai grattacieli e all’eleganti abitazioni. Il mondo, per Friedkin, è anche questo e persino in NY è possibile trovarvi il totale degrado.Gli aspetti più tecnici sono, come era possibile aspettarsi, molto buoni, specialmente la fotografia che immortala alcune delle più belle sequenze attraverso una luce sempre debole o persino assente, evidenziando così i toni cupi che la vicenda nasconde al suo interno.
Il Braccio Violento della Legge (il cui titolo originale è: The French Connection) è un film che ha fatto scuola e che ancora oggi può e deve essere visto ed apprezzato. Friedkin si è meritato l’Oscar per la regia, rivoluzionando (in parte) il poliziesco ed il Noir, mettendo la sua impronta nella rappresentazione dei personaggio e dell’ambiente attorno a essi, mostrando alcuni aspetti non inediti, ma (quasi) mai presi in considerazione e per questo merita gran rispetto e approvazione da parte di tutti noi tanto che per questa volta ci troviamo d’accordo con l’Academy Award per avergli assegnato, per l’occasione, il prestigioso riconoscimento cinematografico. Il suo stile, inconfondibile, mette ancora una volta l’uomo e la sua natura al centro di ogni cosa, firmando un’opera il cui unico neo è quello di non offrire una trama particolarmente avvincente. Concludiamo questo articolo con un discorso più ampio, affermando ancora una volta che gli anni ’70 hanno davvero regalato all’umanità dei veri e propri capolavori cinematografici e William Friedkin, con questo prodotto ed il successivo L’Esorcista, non fa eccezione. Un film tecnicamente valido, diretto in modo esemplare, interpretato altrettanto bene non può essere dimenticato da chi professa di amare il cinema.
Claudio Fedele
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