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Recensione de Il Grinta

Recensione de Il Grinta 

Dopo quasi trent’anni dal loro esordio con Blood Simple – Sangue Facile, i Coen continuano a far Cinema con la stessa passione e determinazione che aveva caratterizzato il loro primo lungometraggio nel 1984 e due anni dopo aver trionfato agli Oscar con Non è un Paese per Vecchi, fatto, lo possiamo dire benissimo senza tanti indugi, la storia del cinema con capolavori come L’Uomo che non C’era, Il Grande Lebowski ed il più recente A Serious Man, i due cineasti decidono di fare un western vero e proprio basandosi sul romanzo di Charles Portis, portando così sul grande schermo quel Il Grinta che nel 1969 fece vincere a John Wayne l’Academy Award per il miglior attore protagonista. Dopo averci, dunque, stregato nonché viziato con personaggi come Il Drugo, capaci di entrare senza alcun problema nell’immaginario collettivo delle persone e diventare delle vere e proprie icone, o affascinato con storie Noir reinterpretate in chiave post-moderna, Joel ed Ethan si concentrano stavolta su una storia ambientata unicamente nel classico Far-West, con un cast di alto livello, ma che ancora una volta avrà la responsabilità di dimostrarsi all’altezza della restante filmografia dei due autori. Se volete scoprire se Il Grinta merita la vostra attenzione non vi resta che continuare a leggere la nostra recensione!

Mattie Ross (Hailee Steinfeld) è decisa a vendicare la morte di suo padre catturando Tom Chaney (Josh Brolin), l’uomo che l’ha assassinato per solo due pezzi d’oro. Per rintracciare il fuggitivo Chaney, la quattordicenne Mattie ottiene l’aiuto di Rooster Cogburn (Jeff Bridges), uno sceriffo federale con un occhio solo, il grilletto facile e che ama bere, chiamato Il Grinta, e dell’incallito Texas Ranger LaBoeuf (Matt Damon). Nonostante le loro differenze, la loro ostinata determinazione lì trascinerà in una avventura pericolosa che finirà in un solo modo: con la vendetta…

Con Il Grinta, i Coen non cercano tanto di riproporre a loro modo il film con John Wayne (diretto da Henry Hathaway), ma piuttosto provano a reinterpretare secondo la loro visione la storia uscita dalla penna dello scrittore Portis. Il risultato, per quanto magari poco originale e già visto a livello di trama negli anni passati, è comunque eccellente, complice ancora una volta una sceneggiatura curata e particolareggiata fin nel minimo dettaglio capace di dar vita a personaggi né troppo stereotipati né caricaturali o datati. Sfida, a maggior ragione, interessante e difficile quella che hanno voluto affrontare i due registi, un impegno che ha richiesto tutto il loro talento e tutta la loro esperienza che ben si evidenzia in ogni inquadratura e sequenza.

Per quanto questi due autori abbiano sempre conquistato il pubblico o la critica per loro storie bisogna ammettere tranquillamente che stavolta si tende a rimanere molto più colpiti dalla messa in scena che dalla vicenda in sé, la quale, dispiace ammetterlo per chi si aspettava un film a senso unico e scontato, non si rivela essere una storia incentrata unicamente sulla vendetta, quanto più sulla crescita e la maturità che vede la giovane Ross (interpretata da una bravissima Hailee Steinfeld) vero esempio calzante di quanto è stata appena detto poiché l’avventura in cui ella stessa vuole prendervi parte sarà, sì una ricerca estrema per vendicare la morte di suo padre, ma sopratutto una scorribanda sul mondo, sulle persone, sui comportamenti umani e sulle difficoltà di vivere in una determinata società ricca di opportunismo e fuorilegge.

E’ per questo preciso motivo che una storia tanto stratificata e tanto profonda non poteva non combaciare alla perfezione con lo stile e la tecnica di Joel ed Ethan Coen i quali stavolta, grazie ad una fotografia sensazionale, ai paesaggi ed alle scenografie, mettono in mostra tutta la loro raffinatezza, il loro estro e genio creativo capace di dare alla luce un prodotto perfetto tecnicamente (le scene girate all’aperto meritano un plauso, così come la sequenza finale data in mano ad un Jeff Bridges in stato di grazia). Ancora una volta i due cineasti vogliono parlare dell’America, nazione che non è nata sotto buoni propositi ed ancor meno si è sviluppata e cresciuta sotto l’altruismo e la morale; un paese che è costellato da ladri, vigliacchi, persone né buone o cattive, ma intrise di quell’ambiguità che ha sempre reso i personaggi dei Coen quel tanto che bastava da crederli (o farceli credere) verosimili e reali.

Cosa è allora True Grit? Il Grinta è l’ennesima conferma che il cinema dei Coen, oltre ad essere capace di mescolare alla perfezione passato e presente, unire i generi e intrattenere nel modo giusto, è sopratutto un tipo di intrattenimento serio, profondo e che alla cui base ha sempre un messaggio chiaro rivolto allo spettatore. Parlare di remake in questo caso è tanto giusto quanto riduttivo, poiché quello che abbiamo tra le mani rimane senza incertezze una storia già vista, ma qui comunque riproposta in modo inedito e completamente coerente allo stile dei Coen, a cominciare dai tanti riferimenti religiosi fino ad arrivare menzionare quel cinismo spietato e quell’umorismo amaro di cui sono costellati i loro precedenti lavori. E’ davvero difficile dare una valutazione misera a questi due autori, sebbene il presente prodotto non sia la loro miglior fatica recente, essa rimane una dei migliori western che abbiamo avuto l’onore di vedere e gustare negli ultimi anni, tecnicamente superba, con un cast eccezionale ed una colonna sonora capace di calzare a pennello senza risultare sterile o barocca, assieme ad una fotografia da antologia; E’ davvero impossibile rimanere insensibili a Il Grinta, una pellicola che riesce a commuovere, conquistare, esaltare, che nella sua tranquilla messa in scena cela una storia tanto semplice quanto perfetta ed amara. Se il cinema di oggi fosse fatto di soli capolavori dovremmo considerare quest’ultimo un opera minore, ma dato che al giorno d’oggi i bei film sono tanto rari ed a volte troppo poco presenti nelle sale, sarebbe ingiusto non premiare ancora una volta Joel ed Ethan Coen che a distanza di tempo dal loro primo lungometraggio riescono sempre a creare ottime storie con lo stesso entusiasmo e tempra di quando erano giovani. Tanto di cappello!

Claudio Fedele

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