Recensione de Il Buono, Il Brutto e Il Cattivo
“Wallach, Eastwood, Van Cleef, Leone e Morricone fondono musica e immagine donando alla storia uno dei film più belli di sempre, capace di innalzarsi sopra ad un qualsiasi altro lavoro di genere, modellando le basi per una nuova coscienza di fare Cinema.”
Trama
Mentre divampa la Guerra di Secessione, tre uomini privi di scrupoli e di ideali vivono ai margini della legalità: Tuco “il brutto”, “il buono” e Sentenza “il cattivo”. Sentenza è da tempo sulle tracce di una grande quantità d’oro nascosta al sicuro dal temibile Bill Carson dentro una tomba. Per uno scherzo del destino, però, è il buono a scoprire quale sia il nome scritto sulla tomba e il brutto a individuarne l’ubicazione. Così i tre uomini, che si odiano e non si fidano l’uno nell’altro, sono costretti ad iniziare insieme le ricerche, legati dal destino e dalla stringente necessità di sorvegliarsi l’un l’altro giorno e notte. Nel cimitero, i tre si affrontano nel duello decisivo.
Recensione
Il Cinema è fatto di urla. Le abbiamo sentite un po’ ovunque, a partire dal 1960 in Psycho di Alfred Hitchcock, nella scena, ormai diventata più di un cult, che vedeva Janet Leigh sotto la doccia, fino ad arrivare al King Kong di Jackson, tanto per citare un regista che proprio in questo film omaggia C’era una Volta in America, dove Naomi Watts non poteva che rimanere incolume e fuggire via da quella bestia che, fato vuole, provasse un particolare affetto per lei, emblema di un po’ tutta la filmografia del regista, quello di creare sempre un’intesa tra due razze totalmente diverse e di contrapporre bruttezza a bellezza, intese come due cose che possono vivere assieme.
Eppure, nell’immenso Universo della Settima Arte c’è un urlo che riecheggia ancora, a distanza di tempo, potentissimo e limpido fino ai giorni nostri, chiaro e brutale, ed è quello che Eli Wallach rivolge al suo angelo biondo Clint Eastwood. Quelle parole ancora oggi fanno parte dell’immaginario comune, così come la scena in cui sono inserite, accompagnate da quel motivo che il maestro Morricone è riuscito sapientemente a creare, modellare e plasmare alla perfezione in ogni situazione e su ognuno dei tre protagonisti con strumenti e tonalità diverse, capace di tener sempre sull’attenti, musicalmente parlando, una pellicola che a distanza di molto tempo non perde nemmeno un briciolo della sua potenza espressiva e della epica di cui è intrinseca come poche altre sanno fare.
Il Buono, Il Brutto e Il Cattivo (anno 1966) è questo: una film immortale, che si innalza a modello eterno di perfetta unione tra regia, recitazione, immagine e suono, capace di costruire una base tanto salda e perfetta da essere poi usata come fonte costante in pellicole future da registi figli dell’epoca d’oro del Cinema. Però la pellicola di Leone non è solo un esempio lampante di grandezza tecnica e maestria, è anche e sopratutto una denuncia, un affresco sincero e ben architettato di un preciso momento storico, che purtroppo fa riflettere tutt’ora e mette davanti a noi tutta una serie di riflessioni la quali non appaiono affatto anacronistiche.
Al centro, di questa storia, vi è infatti la guerra, quella di secessione, che vede divisa l’America tra Sudisti e Nordisti; chi sta con Lincoln e chi vuole una nuova indipendenza, ma ogni conflitto, mondiale o interno che sia, alla fine, secondo il regista, si riduce soltanto in uno sciocco gioco ove a pagarne il prezzo sono coloro che combattono o muoiono al fronte, poiché tutto alla fine si rivela essere come un grande business organizzato, dove a tirar le somme sono i potenti capaci di orchestrare tutto dietro a comodi tavoli, seduti su elegantissime poltrone. Una denuncia, dunque, quella che Leone vuole fare, portata avanti da una sceneggiatura scritta a otto mani (Sergio stesso, Vincenzoni, Age & Scarpelli) capace di contare anche sull’aiuto di Sergio Donati. Al contrario dei primi due capitoli de La Trilogia del Dollaro, qui viene inserito in più l’elemento comico, della farsa, identificabile nella figura di Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramirez, vera chiave di volta di tutto il lungometraggio, ma che si rivela anche essere il cuore e l’anima dell’intera produzione.
E’ forse, questa terza ed ultima parte della trilogia, la più elegante e difficile da analizzare poiché se da una parte le numerose gag e gaffe portano lo spettatore a ridere in numerose occasioni, invitandoci quasi a vedere nella pellicola una sorta di superficialità, dall’altra bisogna tener presente di quanto il personaggio interpretato magistralmente dal grande Wallach sia la raffigurazione esatta di un determinato tipo di persone che popolano il mondo, quelle che non sanno ne accontentarsi né attendere, che non vogliono mai perdere e che proprio per questo motivo infine perdono tutto, quelle persone che egoiste ma anche stupide capaci solo di distruggere ciò che vogliono non attraverso una qualsiasi sorta di cattiveria ma essenzialmente per scarso intelletto; una personaggio dunque estremamente drammatico, ma al contempo concreto, vittima dei suoi tempi e carnefice del proprio destino futuro.
A tener compagnia a quest’ultimo, inoltre, troviamo il silenzioso Clint Eastwood, detto Il Buono, ma che in fin dei conti la propria bontà viene dettata anche in questo caso dal bisogno e dall’opportunismo, mentre a chiudere il cerchio vi è un altra monumentale leggenda del cinema, che porta il nome di Lee Van Cleef, quest’ultimo nelle vesti di Sentenza, il Cattivo.
Così appare suddivisa la società americana per Leone, tra coloro che arrancano, coloro che vincono e che perdono, ma dietro a tutto ciò si nasconde una storia carica di personaggi che vanno oltre ad una visione manichea, che non sono identificabili nel semplice binomio tra bene e male, principalmente perché mossi da bisogni materiali per cui si è disposti a tutto. La pellicola è inoltre carica di pathos e momenti dal grande impatto visivo grazie, sopratutto, ai tanti effetti “speciali” a alle scenografie curate da Simi e Leva, capaci di ricreare alla perfezione il Nuovo Mondo di fine 1800, ove ai tanti scorci di zone aride e deserte si sommano quelle dei sobborghi abitati del Far West e delle zone costellate da pianure.
Inutile infine discutere della regia di Sergio Leone se non per lodarne ogni inquadratura e sequenza, dato che Il Buono, il Brutto e Il Cattivo ancora oggi si rivela un film dal punto di vista tecnico perfetto, immortale, audace e impressionante. Per certi aspetti davvero rivoluzionario ed inutile dirlo, capace di fare scuola. La riprova della maestria, dell’importanza, dell’influenza e dell’eredità dal punto di vista tecnico e visivo lasciata dal regista l’abbiamo proprio in questi ultimi trent’anni, grazie a persone come Sam Raimi, che non a caso omaggia il regista romano in “Pronti a Morire”, Verbinski con “The Lone Ranger”, o con il film “Il Buono, Il Matto e il Cattivo” ed, infine (e sopratutto è giusto sottolineare) con Rodriguez & Tarantino. Tutti colo che sono stati appena menzionati hanno di fatto preso come principio (ed ammesso di averlo fatto con estrema naturalezza) il modello di Leone e l’hanno applicato ai propri lavori, basti vedere Kill Bill vol. 2 dove Mr. Quentin fa muovere la sua musa, Uma Thurman, in tutta sua serie di set che rimandano costantemente alla Trilogia del Dollaro, incastonati da una regia ferma, basata su primi piani e epica, ma al contempo calma e ricca di omaggi; mentre il recente Django Unchained eredita non tanto la tecnica quanto la rappresentazione, la messa in scena, le scenografie ed il set di quel mondo realizzato dal regista Italiano, in particolar modo nella prima parte del lungometraggio ove i due protagonisti (Foxx e Waltz vagano tra una cittadina e l’altra).
Commento Finale
Si respira aria di Capolavoro nel guardare Il Buono, il Brutto e il Cattivo, c’è poco da dire. Si respira un’atmosfera unica e indelebile, capace di affascinare il grande pubblico così come i più giovani, e si prende coscienza, con il passare del tempo, che quel che si guarda sia davvero immortale, un qualcosa capace di andare oltre l’intrattenimento, di scavalcare il genere di appartenenza per parlare di una situazione storica precisa e tematiche tanto importanti quanto attuali nelle quali si incrocia il destino di 3 uomini uniti non dalla volontà ma dal fato, proprio quello che alla fine riuscirà a muovere l’intera giostra del film e che porterà Eastwood, Wallach e Van Cleef ad un “triello” finale che sublima regia, musica, recitazione e montaggio, fusione perfetta di arti diverse e capace di classificarsi come uno dei più bei momenti della storia del cinema; ma nell’ultimo atto della trilogia molti, se non tutti, sono i momenti, i piani, le sequenze che meritano di essere ricordate e accennate, perché di fatto non c’è una inquadratura di troppo o sprecata, mentre tante sono diventate immortali come quella sequenza in cui Tuco, con sottofondo la sublime “Estasi dell’Oro”, vaga alla ricerca della tomba nel cimitero designato da Bill Carson.
L’immortalità di una pellicola come questa si nota anche nell’essere riuscita ad andare oltre le barriere di appartenenza ed essere stata in grado di influenzare anche la letteratura e la musica “recente” (leggetevi la prefazione di Stephen King nella saga de La Torre Nera e capirete da dove il maestro dell’horror abbia preso ispirazione per il personaggio di Roland). Se infine, a tutto questo ben di Dio aggiungiamo un ottimo lavoro di restauro che rende finalmente giustizia ad una film di gran lunga perfetto sotto tutti i punti di vista, va detto che Il Buono, il Brutto e il Cattivo è davvero un lavoro che non risente minimamente del fattore tempo né della concorrenza nata dopo la sua uscita nelle sale, una alta vetta di grandezza tecnica, un lungometraggio muto e che ha saputo farei dei tanti silenzi che ne costellano la durata un punto di forza, privo di dialoghi orfani e superficiali, unendo con naturalezza e sapientemente tutti gli elementi che costituiscono una pellicola in modo eccezionale, condito da una colonna sonora straordinaria scritta dal maestro Morricone, portato avanti da un cast da antologia (citiamo per rispetto anche le due sentite quanto brevi interpretazioni di Pistilli e Giuffré) e che pare immune alle critiche e agli anni.
Dopo tutto, parafrasando a modo nostro quel che dice Il Biondo in una delle tante frasi che hanno fatto storia: il mondo si divide in due categorie ed anche qui vale la stessa regola: c’è chi guarda il cinema vero e chi guarda altro, sta a voi decidere.
Claudio Fedele
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