“La colpa, caro Bruto, non è delle stelle, ma nostra, che ne siamo dei subalterni”.
Da questa frase di Shakespeare nasce l’ispirazione per il nuovo romanzo di John Green (già autore di libri degni di nota come “Cercando Alaska” ) grazie al quale è diventato l’artefice di uno dei fenomeni più travolgenti dell’ultimo decennio. Se leggendo la trama sul retro del libro vi viene voglia di rimetterlo sullo scaffale della libreria sappiate che state compiendo un grande errore, perché quella che può sembrare la classica storia di amore per adolescenti bisognose di affetto, è in realtà una storia che fa cambiare il punto di vista che quotidianamente adottiamo. O almeno questo è quello che penso io. E un altro migliaio di ragazzi sparsi per tutto il mondo.
Ma partiamo dal principio, dalla trama: Hazel Grace è una ragazza di sedici anni che nella sua breve e intensa vita si è trovata ad affrontare uno dei mali più grandi della nostra realtà, il cancro. Grazie ad un farmaco sperimentale è riuscita però a fermare l’avanzamento della malattia, portandola addirittura alla regressione. Ciò che non è riuscita ad affrontare sono, però, i cambiamenti che avvengono nella vita degli adolescenti; non riuscendo a stare al passo dei suoi coetanei ha dovuto abbandonare la scuola e giorno dopo giorno ha visto le proprie amicizie svanire nel niente, ritrovandosi così ad essere costretta dalla madre a partecipare a un gruppo di supporto per ragazzi malati di cancro. Qui non trova nessun sollievo se non nell’amico Isaac, affetto da un tumore agli occhi e destinato a perdere la vista, con il quale Hazel comunica quasi esclusivamente attraverso sospiri durante le sedute. È proprio grazie a lui che un giorno Hazel fa la conoscenza di Augustus Waters, portato da Isaac al gruppo come supporto morale. Il cancro di Augustus è ormai in regressione da più di un anno ma si è preso per sempre una parte di lui costringendolo a camminare con una protesi al posto della gamba sinistra. Con lui Hazel instaurerà un rapporto che la porterà a riscoprire aspetti della vita ai quali ormai aveva creduto di dover rinunciare per forza. Tra un viaggio a Amsterdam per trovare l’autore del libro preferito di Hazel, “Un’imperiale afflizione”, corse in ospedale per scampare ancora una volta al peggio, picnic accanto ad “Ossa funky”, un’enorme scultura a forma di scheletro, e momenti di rara intimità, Augustus riusc
irà a regalare ad Hazel un per sempre nei giorni contati, creandosi una piccola infinità che resterà sempre e solo loro.
Forse con la trama sarò solo riuscita a convincervi ancora di più che il libro sia un banale romanzo romantico da fazzoletti e tante tante scatole di gelato. E magari per la parte del gelato e dei fazzoletti avete ragione, ma di certo “The fault in our stars” (titolo originale), non è un romanzo banale. Con uno stile semplice ma allo stesso tempo coinvolgente, John Green è riuscito a dare vita a dei personaggi che tutti noi vorremmo aver incontrato almeno una volta nella nostra vita, scrivendo un libro che parla di due ragazzi che hanno il cancro, in cui ne loro ne il cancro sono i veri protagonisti. La vita diventa la vera dominatrice del racconto, la vita vissuta dal punto di vista di due ragazzi che sanno quanto questa possa essere breve e crudele, ma che non per questo decidono di viverla precludendosi certi piaceri o certe libertà.
Come Hazel stessa afferma, ci sono sempre due modi di raccontare una storia triste: da un lato può essere addolcita, e nessuna è così complicata che una canzone di Peter Gabriel non possa sistemarla. A tutti piace questa versione, ma semplicemente non è la verità.
John Green scrive, così, uno dei pochi libri che se vi venisse lanciato contro fisicamente non farebbe tanto male quanto la sua trama, ma allo stesso tempo infonde una voglia di vivere che solo una storia del genere potrebbe dare.
Con una grandissima abilità, l’autore riesce ad inserire in una trama che tratta un argomento così serio, momenti di leggerezza e puro divertimento, con la giusta dose di romanticismo ,senza, però, cadere nell’irreale e non lasciando dettagli al caso.
Viene così a formarsi una storia definita dal New York Timescome “Una miscela di malinconia e tristezza, un romanzo al tempo stesso filosofico e divertente”, dal Time“Un classico istantaneo”, e dal Washington Post “Una lettera d’amore al genere umano”.
Queste sono solo alcune delle recensioni che il romanzo ha ricevuto, affermandolo come un caso editoriale senza precedenti, capace di scalare le classifiche prima ancora di essere pubblicato semplicemente grazie alle prenotazioni affluite sul frequentatissimo blog dell’autore e che ha scatenato una reazione impressionante da parte dei lettori, che si sono riversati in massa nelle sale dei cinema per la trasposizione sul grande schermo uscita in America il 6 Giugno di questo anno e prevista per Settembre in Italia.
Che siano ragazze innamorate del personaggio di Augustus o semplicemente qualcuno che riesce a vedere in Hazel e nella sua forza di volontà un modello da seguire, tutte queste persone concordano sul fatto che, anche se solo per poco, leggendo il libro o guardando il film, hanno creduto davvero di vivere la storia di Hazel e Augustus e hanno imparato da loro. Hanno imparato che nella vita non possiamo scegliere le nostre ferite ma possiamo scegliere chi ci ferirà, che anche se tutto ciò che vogliamo è lasciare un segno e non essere un’altra immemorata vittima dell’antica e ingloriosa guerra contro la morte, la probabilità che abbiamo di ferire l’universo è pari a quella che abbiamo di aiutarlo, ed è molto probabile che non faremo né l’una né l’altra cosa.
Ci piacerebbe che tutti vedessero la vita come la vede Augustus che allo sguardo indignato di Hazel quando lo vede infilarsi una sigaretta in bocca per la prima volta risponderà: ” Non ne ho mai accesa una. È una metafora sai: ti metti la cosa che uccide fra i denti, ma non le dai il potere di farlo. Una metafora!”
Per concludere non posso fare altro che consigliarvi caldamente di leggere “Colpa delle stelle”, così che anche voi come me possiate desiderare di vivere la vita come la metafora di Augustus e di avere la certezza che alla domanda “Okay?” , ci possa sempre essere qualcuno a rispondervi “Okay” , regalandovi così un per sempre nei giorni contati.
Sara Bellucci
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