Recensione di Colorado Kid
di Stephen King
“Un piccolo romanzo scritto divinamente capace di far da cornice all’arte di saper narrare belle storie”
Fresca di scuola di giornalismo, la ventenne Stephanie McCann sta facendo uno stage presso il minuscolo quotidiano di un’isoletta del Maine, dove si occupa di picnic parrocchiali, sparizioni di gatti e altre amenità. Ma un pomeriggio i due anziani proprietari della testata le raccontano un vecchio caso di cronaca. Una storia del passato che parla di una coppia di reporter e di un cadavere chiamato Colorado Kid, di una morte che forse era un omicidio, ma senza movente, senza alibi, con tempi impossibili e indizi assurdi. Accaduto proprio lì. In venticinque anni, ogni scoperta anziché chiarire i fatti li ha ammantati di oscurità, ogni risposta anziché esaurire le domande le ha moltiplicate. Perché? Riuscirà Steffi a risolvere l’enigma?
Recensione
Considerato come uno dei peggiori romanzi mai scritti da Stephen King, capace di dar vita a tutta una lunga serie di lamentele da parte persino dei fan più accaniti dello scrittore del Maine, Colorado Kid è forse il libro meno compreso di tutta la produzione di quest’ultimo e senza alcun dubbio motivo di lunghi dibattiti ove miriadi di persone hanno espresso centinaia di pareri soggettivi e contrastanti.
Il destino, guarda caso, vuole però che molti dei lettori che si sono “impegnati” nella lettura di questo racconto siano tanto bravi a criticarlo quanto incapaci di scrivere recensioni costruttive per evidenziarne i difetti rifilando il tutto ad una “conclusione non degna di un qualsiasi libro in quanto l’assassino non viene nemmeno ipotizzato o trovato” senza capire che le intenzione dell’autore erano ben altre. Togliamoci, dunque, ogni dubbio o sassolino dalla scarpa, Colorado Kid non è il capolavoro con la C maiuscola tanto atteso o sperato, ma non è nemmeno lontanamente un libro le cui pagine meritano la lettiera del vostro gatto o la spazzatura.
La storia di Stephanie, giornalista alle prime armi, catapultata in una isola di provincia vicino Bangor, è una breve metafora sull’arte di raccontare storie e sulle storie stesse riempita in modo massiccio di numerosi omaggi e riferimenti ad alcuni personaggi legati ai thriller quali La Signora in Giallo, CSI e la regina del mistero Agatha Christie. L’enigma, se così si può chiamare, del quale il lettore viene a conoscenza non si presenta ai suoi occhi come un vero e proprio giallo, bensì come una storia quasi dal timbro folkloristico, narrata da due anziani che, esattamente come dicono alla giovane reporter, invitano noi tutti a metterci comodi e sentire le strane vicende riguardo alla morte di Colorado Kid alias James Cogan.
Se il libro fosse stato affidato a mani inesperte o a scrittori che se non sentono la brezza di voler riempire 50 pagine di avventure dai ritmi serratissimi, senza provare un minimo di pietà verso coloro che amano i momenti più quieti e qualche pausa di tanto in tanto, probabilmente questa storia avrebbe senza alcun dubbio meritato una misera valutazione; fortuna nostra, verrebbe ironicamente da dire visti i riscontri del pubblico (colto e non), che dietro a tutto questo c’è il solito King, il quale sa tenere le redini di una vicenda ove il tutto si svolge principalmente in due “ambientazioni” e vede al centro solo 3 (4 massimo) personaggi principali e sui quali verte l’intero dramma. Per quanto i lettori di oggi prendano tutto alla leggera e diano per scontato molti aspetti di un romanzo, saper far risultare una storia, raccontata attraverso i personaggi (costruendo una cornice narrativa simile a quella utilizzata da Boccaccio ne Il Decameron) non è un lavoro poi cos’ banale e le 170 pagine non portano né a momenti morti né tanto meno a risultati scontati portando avanti tutta una serie di situazioni che suscitano sempre interesse, capaci di farsi leggere con semplicità e rilegate di tanto in tanto ad alcune sfumature dialettali del luogo che in un primo momento, va detto, potrebbero lasciare spaesati alcuni lettori.
Commento Finale
Colorado Kid forse non rimarrà nei cuori di molti fan di Stephen King, ma il destino a cui sembra ormai indirizzato è ingiusto, sebbene si è comunque concordi che di fronte alla vasta produzione del Re questo rappresenti un’opera minore, ma in fondo è King stesso a dircelo, rivelandoci che le ambizioni di questo prodotto (nato su commissione) sono poche. Eppure, in definitiva, senza lasciarsi influenzare dalla postfazione, tipico marchio di fabbrica dell’autore, va sottolineato che questo romanzo è nella sua semplicità ben fatto, ben costruito, ma sopratutto ben scritto, un manuale su cui molti aspiranti scrittori dovrebbero riflettere e dal quale dovrebbero trarne qualche lezione. In fondo, sembra strano a dirsi, ma una volta sentita la triste vicenda di Kid, parrebbe quasi che questa sia esistita davvero e il fatto che la verità non sia ancor uscita fuori, porta alla pazzia anche il lettore di gialli più incallito volente o nolente, soddisfatto o meno.
L’autore
Stephen King è nato a Portland il 21 settembre del 1947. Definito dalla critica “il re del brivido”, vive e lavora nel Maine con la moglie, a sua volta scrittrice, e i tre figli. Le sue storie da incubo sono bestseller clamorosi in tutto il mondo e hanno ispirato registi famosi come Stanley Kubrick, Brian De Palma e Rob Reiner. Di Stephen King Bompiani ha pubblicato: “Shining”, “Carrie”, “A volte ritornano”, “L’occhio del male”, “L’ombra dello scorpione”, “Ossessione”.
Claudio Fedele
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