Recensione di Calvary
“McDonagh fa camminare Gleeson nell’Irlanda del peccato, della cattiveria, della frustrazione, nella terra del verde, sempre incapace di superare il proprio passato”
Padre James Lavelle è un uomo buono, volonteroso, impegnato a rendere il mondo un posto migliore, ma continuamente scioccato e intristito dalla bassezza degli abitanti della cittadina di cui è vicario. Un giorno viene minacciato di morte durante una confessione e le forze del male cominciano a chiudersi intorno a lui.
Recensione
John Michael McDonagh ha esordito nel 2011 con il film The Guard, opera prima acclamata dalla critica internazionale e che è stata capace di riscuotere un notevole successo anche per quanto riguarda gli incassi se consideriamo, ad esempio, che è il film, a stampo indipendente, ad aver incassato di più nella storia del botteghino della verde Irlanda. In Italia questo esordio vanta uno dei peggiori titoli mai dati ad un lungometraggio, parliamo, di fatto, dell’ignobile, quanto completamente fuori luogo, traduzione che vede trasformare il nome originario del film in “Un Poliziotto da Harry Hour” quasi a voler dare a quest’ultimo una vena umoristica, comica, demenziale in stile Pallottola Spuntata o giù di lì. Peccato, per coloro che si sono occupati della distribuzione del prodotto e del doppiaggio, che The Guard è tutto tranne un poliziesco demenziale o di stampo parodistico ben costruito simile a Hot Fuzz di Wright.
McDonagh, già nel 2011, metteva astutamente e in modo sincero una realtà, quella irlandese, a confronto con quella di un altro paese, quello “perfetto” per eccellenza, l’America, adottando come cornice una semplice storia noir che facesse scorrere in modo fluido il corso degli eventi, conditi a loro volta, da un particolare black humour a volte capace di sconfinare nel grottesco. L’Irlanda, di fatto, veniva rappresentata in toto come una terra tanto rigogliosa quanto malata, un’isola che metteva in luce tutte quelle peculiarità e sfumature che i grandi scrittori del suo passato, Joyce docet, avevano inserito o accennato nei loro romanzi, nelle loro poesie o nelle loro storie. Dopo 3 anni da quell’interessante esordio torna la coppia Gleeson e John McDonagh, torna l’Irlanda e tornano le interessanti recensioni attorno al loro nuovo film: Calvary.
Il Calvario di Padre Lavelle appare fin da a subito come un cammino difficile e colmo di pietas, ove l’uomo religioso avanza in mezzo ad una valle, in questo caso sarebbe giusto dire “villaggio”, di peccatori che fanno dei propri vizi una virtù quasi un vanto e dai quali non vogliono redimersi per la ricerca di un perdono religioso. La scena iniziale di Calvary rappresenta il momento più importante dell’intera pellicola, non solo perché ci offre il giusto contesto e la giusta atmosfera nella quale sarà strutturata la storia, ma perché è proprio grazie alla sua potenza visiva e espressiva (un primo piano su Gleeson che nel confessionale della propria chiesa ascolta le parole del suo futuro assassino e sul perché abbia preso la decisione di ucciderlo a sette giorni da quel momento) che il regista ci incanala nel modo giusto in una storia che non parla di persone per bene né tanto meno di redenzione, ma che con il passare dei minuti, cerca di mettere in luce tutti i disagi e i mali che albergano nelle persone della piccola comunità irlandese. La missione di Lavelle è infatti quella di sistemare le cose prima della imminente dipartita, cercare di far espiare e perdonare le colpe degli abitanti del villaggio in cui vive, senza però rendersi conto, inizialmente, che saranno proprio gli abitanti della cittadina a prendere le distanze da lui e da Dio.
La pellicola si articola, dunque, come un giallo psicologico dove il richiamo ad Agatha Christie è palese, poiché McDonagh presenta fin da subito tutti i co-protagonisti che riempiranno l’universo di Calvary, tra i quali si cela il nome del vero assassino, ma facendoci capire immediatamente che il volto dell’omicida è l’ultima cosa a cui tiene davvero, poiché in fondo sarebbe assai banale concentrarsi sulla storia investigativa dato che il prodotto adotta questo stratagemma essenzialmente per parlare di una terra che ancor oggi trova difficile superare la propria storia e l’onta che l’ha perseguita e che il tutto ha proprio in questa particolare sfumatura ed in questo aspetto la sua vena pulsante.
Per quanto infatti la figura del prete o del sacerdote un tempo, per le masse, significasse protezione e autorità, in molte zone dell’Eire oggi è ancora e sopratutto un segno di abuso e disagio, un elemento scomodo e verso il quale le persone dimostrano la loro totale diffidenza, rabbia e frustrazione. Uno dei temi principali della pellicola è inoltre la pedofilia, vittima della quale è stato proprio colui che minaccia Gleeson, che è deciso a vendicarsi dell’orrore subito da piccolo da parte del prete del proprio villaggio e in generale della chiesa, la quale sapeva ciò che si consumava all’epoca rimanendo cieca (volutamente) e pronto a compiere un gesto estremo, stavolta verso una persona “buona”, determinato a uccidere un uomo di fede senza colpe proprio perché nessuno si aspetterebbe che a pagare siano i giusti e gli onesti. Questa è senza dubbio una svolta interessante un sottile dettaglio di gran lunga importante, ma è sopratutto una forte critica che il regista muove alla sua terra natale, a cui purtroppo sembra non dare un futuro roseo e sereno.
Si crea in questo modo una tragedia improntata sulla vendetta personale, quasi a voler sottolineare che per quanto il male possa venire estirpato fino alla radice, le tracce che questo lascia sono infinite e riaffiorano in ogni momento. Calvary è la dimostrazione che le nefaste azioni dell’uomo si ripercuoteranno sempre nelle generazioni future e le vittime o i sopravvissuti cercheranno sempre coloro che le hanno rese tali attraverso abusi e torture, la vendetta, in poche parole, avrà il dominio sulla giustizia. Una riflessione che può essere applicata in molte situazioni e che potrebbe portare i più ad analizzare vari scenari a cui ormai siamo abituati (guerre, massacri, genocidi etc…) con una prospettiva migliore e di gran lunga più logica.
Altra grande protagonista, infine, di tutto questo è l’Irlanda, qui messa in luce grazie alle sue tradizioni, attraverso i luoghi che l’hanno resa celebre come i pub, le vaste pianure o le articolare scogliere, ma anche attraverso gli usi ed i costumi e le leggende popolari, valorizzata poi in questo caso con inquadrature dal grande impatto visivo che si uniscono alla perfezione con una fotografia fredda e grigia.
Commento Finale
Calvary è un netto passo avanti rispetto a The Guard, che di per sé era un valido film, ma che rispetto al dramma che Donagh mette in scena stavolta mancava di una drammaticità che qui il regista sa dirigere e orchestrare in modo perfetto amalgamando al tutto uno humour irish che ben si sposa con la storia di padre Lavelle, il quale riesce, nella tradizione, a prendere molte distanze dallo stereotipo e dalla retorica occasionale, complice il fatto anche della presenza di Kelly Relly, figlia di quest’ultimo che torna in Irlanda per passare del tempo appositamente con questi, ma che sempre avrà dinanzi a se il grande dubbio se a rispondere ai suoi problemi sarà il padre, inteso come genitore, o l’uomo di chiesa. La grande ironia, unita ad un cinismo che non lascia posto ad un lieto fine o ad un sentimentalismo che sarebbe stato del tutto fuori luogo, chiude poi un cerchio fatto di dannati e peccatori (a cominciare dalla donna che compie costantemente adulterio, all’uomo d’affari ricco per il quale il denaro non vale nulla, fino a mettere in causa il medico ateo che parla dei propri pazienti come se fossero carne da macello e non esseri umani) i quali stanno fin troppo bene nella situazione mondana in cui vivono, dove a contrastare il tutto vi è la presenza di una giovane vedova, la quale alla morte del marito a causa di un incidente, non perde la Fede in Cristo, sebbene forse, questo sarebbe l’unico verso personaggio che potrebbe dubitare di essa.
Ancora una volta siamo messi di fronte all’Irlanda più dura, fatta di pregiudizi e incapace di superare uno dei suoi periodi più bui, quella più oscura e forse quella più verosimile, reale, e nel parlare di essa McDonagh e Gleeson riescono a raccogliere con il loro film tutta la sua essenza, tutto il suo dramma (presente e passato) e lo fanno nel modo giusto, anche, quando descrivono la storia dei giorni nostri. Un film veramente emozionante ed imperdibile, una lezione di cinema e di sentimento vero verso i propri natali, crudele e cinico, che merita di essere considerato come uno dei migliori esperimenti di questa annata cinematografica.
Claudio Fedele
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