Recensione di Across the Universe
“Un’opera ricca di omaggi e citazioni, costantemente e solo superficialmente legata ai Beatles che si scomoda a raccontare una love story banale e scontata”
Siamo negli anni ’60. Un giovane proletario inglese va in America alla ricerca di un padre che non vede da anni e anni, e si innamora di una teen-ager, Lucy. Quando il fratello di lei viene mandato in Vietnam, i due diventano attivi pacifisti… Un film che cerca di parlare degli anni caldi dell’America recente conditi con le canzoni dei Beatles.
Recensione
Across the Universe negli anni è diventato un vero e proprio cult tra le linee di gradimento di coloro che si dichiarano amanti dei Fab 4 e del musical in generale. Al Cinema, va detto, questo genere di rappresentazione non sempre riesce nel modo migliore e se diamo un’occhiata al passato ci accorgiamo fin da subito che, levate una o due produzioni davvero encomiabili, i lungometraggi sposati con le canzoni veramente ben riusciti sono davvero rari. In Italia poi, dal momento che nella nostra cultura questo passaggio è venuto (quasi) esclusivamente a mancare, sia nel teatro che nel cinema e solo negli ultimi anni i Musical hanno fatto parlare di sé (per esempio il Notre Dame de Paris made in Italy fatto da Cocciante), si guarda sempre con dubbi e occhiate oblique un qualunque lavoro che rientri sotto questa etichetta.
Al di là di quanto una persona, appartenente al pubblico medio, possa gradire o meno un film/opera del genere per svariati motivi, a cominciare dalle canzoni, dai temi scelti fino a chiamare in causa la storia narrata, Across the Universe è comunque un lavoro che ha saputo “dettar legge” e proporsi, secondo gran parte del pubblico, come una delle migliori produzioni musicali degli anni passati.
A onor del vero va detto, fin da subito, anche se converrete tutti che ormai “subito” non lo è più, che il film diretto da Julye Taymor è tutto tranne che eccezionale, sempre che non si tengano conto delle canzoni scomodate per essere inserite nella storia qui raccontata. Nel dire questo vorremo specificare che se dovessimo considerare questa pellicola per l’aspetto musicale questa avrebbe di certo tutta un’altra valutazione, di gran lunga positiva, poiché dato che la vicenda riprende, di tanto in tanto, la storia di alcuni dei componenti dei Beatles (attraverso citazioni, ambientazioni, nomi di personaggi o “momenti storici in generale”) modificandola e arrangiandola su quel che sarà poi un love story, quest’ultima prende in prestito anche le canzoni di Lennon & co. Dal momento in cui non si hanno né le capacità tecniche né l’arroganza di mettere in discussione perle della musica leggera recente, che hanno fatto la storia del rock, va da sé che una volta levata “la musica”, considerata in questo caso da un qualunque essere sano di mente eterna ed eccezionale, quel che ne rimane è una storia talmente banale e assaporata in così tante salse che dietro a quel velo psichedelico vintage si rivela essere un niente di concreto ed innovativo.
Da un lato, di fatto, abbiamo l’aspetto estetico, legato molto ai testi ed alle canzoni proposte, alla loro rappresentazione, qui viste talvolta in una prospettiva diversa rispetto all’originale perché cantate attraverso la voce dei protagonisti, alle quali fanno sfondo scene suggestive e interessanti; dall’altra parte, però, l’impegno della Taymor nel girare i tanti “video musicali” che compongono in modo massiccio l’intero lavoro, si rivela l’unico suo vero grande sforzo, quasi a voler dire che “non conta più raccontare un film provocatorio e profondo” perché le canzoni fanno il resto. Per certi versi questo può anche esser vero, ma lo è altrettanto pensare che i Beatles, impegnati molto nella politica e nel sociale ai tempi che furono, di certo avessero un pensiero molto più profondo e personale, che qui nemmeno lontanamente viene sfiorato, incapace di cadere nei più blandi cliché del genere bellico pre et post Vietnam o riguardo alle condizioni dei lavoratori e degli operai di Liverpool.
E’ un film, così, che si allinea alla perfezione con la “politica” di altre pellicole “ruffiane” quali Forrest Gump, che fa della godibilità e della (a)drammaticità un (debole) punto di forza, capace di trascinare perfettamente il pubblico attraverso un intrattenimento niente affatto complesso ma non per questo altrettanto profondo. Un peccato aver chiamato, dunque, in causa brani che attraverso la voce di McCartney, Lennon e Harrison hanno saputo regalare emozioni e pensieri capaci di rimanere impressi nelle persone. I tanti colori sgargianti, segnati da una fotografia sempre carica di immagini sature, non danno in nessun frangente il giusto pathos ed il finale, per quanto ben architettato, nonché condizionato dall’ennesimo omaggio ai quattro di Liverpool si dimostra essere davvero fin troppo scontato.
Commento Finale
Across the Universe si rivela essere una pellicola davvero troppo ambiziosa e pretenziosa, che con le tante canzoni messe in tavola alla fine sfocia persino in alcuni momenti banali e superficiali dove i testi dei Beatles riescono a risultare di gran lunga più interessanti della storia narrata e portano a domandarsi come mai siano stati scomodati per essere messi in un lungometraggio che fa dello scontato il suo punto di forza. Al pretenzioso, Across the Universe, aggiunge poi delle interpretazioni davvero discutibili riguardo alla messa in scena di alcuni pezzi del repertorio di Ringo, Lennon, Harrison e McCartney, a rimarcare ancor di più il fatto che per un film del genere forse sarebbe stato meglio provare a inserire brani pop di altri autori, magari meno profondi e più coerenti con la pellicola invece di “sciupare” vere e proprie poesie e testamenti. Il vero tallone d’Achille tuttavia è il protagonista, Jude, che per come la Taymor ce lo rappresenta per tutta la durata del film è davvero difficile credere ed in cuor nostro ammettere che un tale personaggio, il cui nome è ricavato dalla nota Hey Jude, possa avere il volto inespressivo e da “cane sempre bastonato” nonché “ragazzino perfettamente romantico ed un po’ sfigato” di Jim Sturgess.
Claudio Fedele
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