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Razzismo e pregiudizio

Sui fatti di Fermo e l’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi ancora non si è fatta chiarezza.

L’omicida Amedeo Mancini fonte:”ilpopulista.it”

Non è assodato chi abbia colpito per primo e se l’immigrato abbia staccato una cartello stradale per aggredire quell’ “allegrone” del Mancini, l’assassino, così definito dal fratello: un guascone talmente goliardico che “se vede un negro gli tira le noccioline, ma lo fa per scherzare”.

Ci sono ancora diversi elementi di carattere processuale da chiarire, tanto è vero che Amedeo Mancini, 39 anni, è stato accusato “soltanto” di omicidio preterintenzionale: voleva fargli male, ma non ucciderlo.

Insomma, non si capisce quanto il nero si sia ribellato agli insulti razzisti dell’ultrà fermano, titolare di una grossa azienda zootecnica, alto un metro e 90, “allegrone”.

Quello che è però assodato è il movente, il colore della pelle della moglie, la “scimmia” come epitetata dal Mancini, la stessa scimmia, Chinyery, scappata insieme al marito dalla Nigeria per sfuggire alla furia integralista di Boko Haram, dopo la morte

Uno dei tanti barconi della speranza fonte:”ilbuio.org”

della figlia di due anni, perseguitati perché cristiani, costretti a percorrere quel viaggio della speranza che finisce in un barcone diretto in Sicilia, emblema della sofferenza e della passione tanto care ai difensori della cristianità dell’Italia e dell’Europa.

Mancini adesso vuole giustificarsi aggrappandosi alla istintività del pregiudizio: “mi sembrava stessero rubando una macchina”.
E allora chiamiamo scimmia la moglie ed uccidiamo il marito.

Ma la realtà è un’altra, e quando si afferma che Mancini è solo un becero ultrà (come se gli ultrà fossero tutti razzisti, ma questa è un’altra storia…) si cerca solo di tapparsi gli occhi da una realtà sociale ormai evidente: gli italiani, popolo da sempre misericordioso e tollerante, stanno diventando razzisti, ovvero stanno dando una forma politica e programmatica agli inevitabili pregiudizi verso il diverso.

Perché diciamo la verità: il pregiudizio è normale, è istintivo, lo abbiamo tutti. Chi non ha timore quando attraversa di notte i quartieri malfamati (ed anche questo è un pregiudizio) della propria città e vede certi “brutti ceffi” che si avvicinano?

Il pregiudizio è naturale, ma dovrebbe anche esserlo il vergognarsi di averlo. Superato l’istinto, quella parte del cervello che si attiva nell’immediato, deve subentrare la ragione: il cervello, nel suo incessante tentativo di categorizzare ogni cosa, spesso sbaglia e ci suggerisce che se un africano stupra una ragazza italiana allora tutti gli africani possono arrivare a farlo, o comunque è più probabile che lo facciano rispetto ad un italiano.

Il pregiudizio diventa razzismo quando si accettano le generalizzazioni e ci scordiamo che le persone, oltre che per sesso, razza e colore della pelle possono essere divise anche per lavoro, passioni e attitudini, carattere, tutte categorie che però non vediamo, fino a quando non si approfondisce, non si conosce.

Tanti però preferiscono la comodità del pregiudizio e dell’ignoranza, la superficialità che fa dire qualche cosa quando non si sa cosa dire e che diventa fonte di aggregazione con altri razzisti.

La prima pagina del corriere della sera del 9 agosto 1956 sulla strage di Marcinelle

Ma i razzisti sbagliano, sono nel torto e i dati lo documentano: le violenze domestiche sono ancora di gran lunga le più frequenti, il welfare prodotto dagli immigrati supera quello destinato agli stessi. Tradotto: i neri ci pagano un po’ di pensioni, un po’ di disoccupazione , un po’ di sanità.

E’ vero, gli immigrati ci rubano il lavoro, come lo rubavamo noi italiani ai belgi nelle miniere di Marcinelle: questo succede in un mondo dominato dal liberismo, in cui le regole del lavoro sono state demolite pezzo dopo pezzo ed un immigrato è disposto a guadagnare molto meno rispetto ad un italiano per fare lo stesso lavoro, vivendo a decine in case di 50 mq.
E non ci scordiamo che tra le tante multinazionali che impoveriscono il continente africano ce ne sono pure di italiane.

Nel contesto europeo, tuttavia, bisogna sottolineare come il popolo italiano stia ancora reggendo alla ventata nazionalpopulista proveniente da nord e da est, non che non ci siano già milioni di razzisti in Italia, ma quantomeno non si dichiarano tali, fanno di tutto per non essere chiamati razzisti, per ora.
Il processo di “razzistizzazione” di un popolo è lento e subdolo, parte dal pregiudizio ed arriva ai forni crematori, passando per gli insulti sugli autobus, le discriminazioni razziali nelle discoteche, le botte date per nulla e gli omicidi preterintenzionali, le giustificazioni per gli assassini come il Mancini date da politici come Salvini :“È sempre più evidente che l’immigrazione clandestina fuori controllo, anzi l’invasione organizzata, non porterà nulla di buono”.
In altre occasioni ha detto di peggio, è vero, il suo braccio destro Calderoli, ad esempio, chiamava “scimmia” l’ex ministro Kyenge (e poi ci stupiamo se un qualsiasi piccolo-borghese di provincia lo dice per strada ad una 24enne nigeriana). Però il leader leghista non si smentisce mai quando c’è da strumentalizzare le morti ed è un campione di tempismo: non era di certo il momento di dire una frase del genere.

fonte: “ilfattoquotidiano.it”

Gli italiani stanno diventando, gradualmente, un popolo di razzisti, è un dato di fatto, illudersi che non sia così ci fa solo perdere tempo, un giorno ci ritroveremo nuovamente ad invocare leggi razziali, così, quasi per gioco, come per gioco il Mancini tira le noccioline ai neri, e i nostri nipoti si chiederanno: “come sono arrivati a tutto questo?”
Questo film lo abbiamo già visto.
E non vogliamo più vederlo.

 

 

Giovanni Sofia.

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