Nel precedente articolo della nostra rubrica abbiamo parlato delle alluvioni avvenute sul nostro territorio negli ultimi decenni e del loro rapporto con i cambiamenti climatici. Come abbiamo visto, la diminuzione delle precipitazioni e la loro concentrazione in pochi fenomeni molto violenti, hanno reso estremo anche il ciclo idrologico. Si passa sempre più frequentemente da periodi siccitosi, dove l’acqua scarseggia, a periodi dove si ha un eccesso d’acqua, durante piogge intense e alluvioni. Le acque superficiali (fiumi e corsi d’acqua minori) sono diventate difficili da sfruttare proprio perché non sempre si hanno quantità sufficienti e la poca risorsa idrica disponibile è spesso di bassa qualità. Per questo motivo stanno diventando fondamentali gli acquiferi e le acque sotterranee. Ma che cos’è un acquifero? Come vengono gestite le risorse idriche nel nostro territorio? Cos’è l’intrusione marina?
Le risorse idriche sotterranee
Durante una precipitazione l’acqua può sia defluire superficialmente, ma può anche infiltrarsi nel reticolo sotterraneo e si può muovere a seconda delle proprietà idrauliche delle rocce che attraversa. In particolare, si definisce roccia acquifero una roccia in grado di ospitare acqua e permetterne il movimento con velocità e quantità significative. L’acquifero in senso stretto è l’insieme di acqua e roccia acquifero. I principali acquiferi si trovano in rocce permeabili quali sabbie e ghiaie, ma si può avere una circolazione d’acqua anche negli ammassi rocciosi e nelle aree carsiche, come avviene per esempio sulle Apuane. Gli acquiferi risentono in modo minore dei cambiamenti climatici e delle variazioni del regime idrologico perché, per proprietà fisiche delle rocce, le acque si accumulano e risiedono all’interno di questi sistemi per molto tempo, da mesi a millenni. Oltre a queste importanti caratteristiche, bisogna anche considerare l’aspetto chimico di un acquifero. Le rocce acquifero infatti hanno una certa composizione mineralogica che influenza il chimismo delle acque sotterranee.
Al giorno d’oggi, per i motivi citati in precedenza, le risorse idriche sotterranee stanno assumendo un ruolo sempre maggiore. Basti pensare che, in media, le acque sotterranee soddisfano il fabbisogno idrico del 70% della popolazione dei vari paesi europei. In Italia, per scopi idropotabili, vengono usati i corpi idrici superficiali per il 20%, i pozzi per il 38% e le sorgenti per il 42%. Le acque estratte da pozzi e sorgenti fanno entrambe parte del sistema sotterraneo, per un totale dell’80% di utilizzo di questa tipologia di risorse. Per quanto riguarda la Toscana, per l’approvvigionamento idropotabile, sono state identificate 140 captazioni delle acque superficiali e 5000 captazioni delle acque sotterranee (sorgenti e pozzi). I principali corpi idrici sotterranei in Toscana sono 66 di cui 37 in mezzi porosi (in sabbie e ghiaie) e 29 in roccia (in sistemi fratturati o carsici). Per i motivi sopra elencati, è quindi necessaria una buona gestione delle risorse idriche sotterranee, cercando di evitare il sovrasfruttamento degli acquiferi e, soprattutto, l’inquinamento delle acque.
Le nostre coste e l’intrusione marina
Una caratteristica della regione Toscana è la presenza di acquiferi a ridosso delle aree costiere. Per la loro corretta gestione è necessario fare particolare attenzione al fenomeno dell’intrusione marina. Come è facilmente intuibile, l’acqua salata è più densa dell’acqua dolce. In prossimità delle coste, l’acqua dolce degli acquiferi galleggia sopra l’acqua salata, che si incunea al di sotto. Se si abbassa il livello della falda o se si alza il livello marino, l’acqua salata si muove verso l’entroterra. Dunque, il riscaldamento globale e l’aumento del livello del mare giocano un ruolo di primissimo piano in questo fenomeno. Tralasciando i cambiamenti climatici, che avvengono su scale temporali piuttosto lunghe, si possono avere problemi negli acquiferi anche a causa di eccessivi emungimenti da parte dei pozzi. Infatti, l’equilibrio tra acqua dolce e acqua salata dipende dalla pressione dell’acqua dolce, ovvero da ciò che succede all’interno delle falde. Se si pompa troppa acqua, l’acqua salata al di sotto dell’acquifero viene richiamata al suo interno. Una volta dentro l’acquifero, questo impiega centinaia o migliaia di anni a tornare alla normalità. Gran parte degli acquiferi costieri toscani sono soggetti a questo fenomeno. In particolare, sono vulnerabili gli acquiferi della Versilia, le zone attorno al lago di Massaciuccoli, e il grossetano.
L’isola di Pianosa
L’Isola di Pianosa, situata in provincia di Livorno, è un ottimo esempio per parlare della gestione delle risorse idriche poiché è interessata da molti problemi, di cui abbiamo già parlato, che sono stati ampiamente studiati nel corso di lavori di tesi e numerosi progetti, portati avanti dagli studenti e dai docenti del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. Sembrerà incredibile, ma l’Isola di Pianosa è autosufficiente dal punto di vista idrico. Difatti è l’unica delle sette isole dell’Arcipelago Toscano ad essere costituita esclusivamente da rocce sedimentarie, alcune delle quali in grado di ospitare degli acquiferi. In generale, a causa della sua particolare struttura geologica, sull’isola si trovano due acquiferi: uno superficiale e uno più profondo. Quest’ultimo è stato particolarmente studiato perché è quello che sta fornendo attualmente acqua a quel territorio ed è interessante anche dal punto di vista idrogeologico. Infatti, al suo interno, sono state individuate delle acque che non sono correlabili a quelle attuali. Alcuni studi ritengono che queste siano acque “fossili” e si trovino in questo acquifero da molto, molto tempo.
L’utilizzo della risorsa idrica sull’isola di Pianosa risale all’epoca romana, ma il periodo di maggiore sfruttamento iniziò nell’Ottocento. Nel 1858, infatti, Pianosa venne istituita colonia penale agricola e il numero dei suoi abitanti aumentò in breve tempo. Sono di quest’epoca gran parte dei pozzi “alla romana”, ovvero scavati a mano e profondi pochi metri, che prelevavano acqua dall’acquifero superficiale. All’epoca, la qualità delle acque era ancora discreta. Tra gli anni Venti del Novecento e gli anni Trenta il carcere contava ben 1500 detenuti e su Pianosa abitavano anche 60 famiglie. Siccome i pozzi superficiali non bastavano più all’approvvigionamento idrico, tra il 1951 e il 1978, vennero costruiti sei pozzi, profondi un centinaio di metri, che attingevano acqua dal secondo acquifero, fino a quel momento mai raggiunto. Nei primi anni ’80 venne istituito il “supercarcere” e gli abitanti sull’isola divennero più di 2000. L’ormai insostenibile numero di persone sull’isola e il sempre maggiore utilizzo del territorio da parte delle intense attività agricole, misero sempre più in crisi l’ acquifero superficiale. Questo venne sovrasfruttato e deteriorato sia dai fertilizzanti chimici, che penetrarono al suo interno, sia dal fenomeno dell’intrusione marina. Per questo motivo, negli anni Novanta, venne chiuso il penitenziario. Dopo un breve periodo in cui l’isola divenne un carcere di massima sicurezza per i mafiosi, nel 1996 Pianosa venne finalmente inserita nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.
Oggi sull’isola è ancora presente una diramazione del carcere di Porto Azzurro. Il maggior utilizzo della risorsa idrica deriva dalla gestione del ristorante da parte dei detenuti e della cooperativa San Giacomo, e dal piccolo albergo che si trova nel paese. In estate queste strutture vengono frequentemente visitate da numerosi turisti e c’è la necessità di ingenti quantità d’acqua. Come abbiamo detto, purtroppo, l’acquifero superficiale è ormai inutilizzabile. Le sue acque sono di pessima qualità e nella parte sud-ovest dell’isola molti pozzi sono diventati estremamente salati a causa dell’ ingressione dell’acqua di mare, provocata dall’eccessivo sovrasfruttamento e dalla conformazione geologica sfavorevole. Anche la sorgente nel Golfo della Botte è ormai ridotta a uno stillicidio. È attivo solamente un pozzo, nella parte centrale dell’isola, che preleva acqua dall’acquifero profondo e che contribuisce al fabbisogno idrico di Pianosa. Sono in corso degli studi, da parte del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, che stanno cercando di comprendere le caratteristiche di questo acquifero e se esistono buone possibilità di poter sfruttare un altro dei pozzi costruiti tra il 1972 è il 1978, in modo tale da aumentare l’approvvigionamento d’acqua.
La storia dell’isola di Pianosa ci insegna che una errata gestione della risorsa idrica può provocare enormi danni agli acquiferi, a tal punto da farli diventare pressoché inutilizzabili. Come abbiamo detto però abbiamo sempre più bisogno delle risorse idriche sotterranee e Pianosa, anche grazie alle sue peculiarità geologiche, è un’ottima palestra per studiare gli acquiferi e per capire come poterli gestire correttamente, evitando di comprometterli per sempre.
La sorgente Molini di Sant’Anna e il torrente Baccatoio
Nel caso di Pianosa, abbiamo parlato specialmente di pozzi, perforati per sfruttare un acquifero. In altri contesti geologici, però, l’acqua può venire a giorno grazie alle sorgenti. Anch’esse possono essere captate a scopo idropotabile e, di conseguenza, anche queste devono essere studiate accuratamente prima di essere utilizzate.
Nei pressi di Sant’Anna di Stazzema esiste la sorgente Molini di Sant’Anna, che è stata captata a partire dal 1951 per fornire acqua a Valdicastello e al comune di Pietrasanta. Fino al 2013 nessuno aveva idea della presenza, nelle acque della scaturigine, di un elemento chimico tossico. Difatti, per la sua rarità, il tallio non era mai stato preso in considerazione durante le analisi della qualità delle acque. Nel corso di uno studio, condotto dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, è stata individuata un’elevatissima concentrazione di tallio che oscilla tra i 20 e i 30 µg/l. Come detto, nella normativa italiana non erano presenti i limiti di concentrazione nelle acque per questo elemento. Si consideri però che, nella normativa statunitense, il limite consentito è di appena 2 µg/l. Fortunatamente, è vero che i comuni di Valdicastello e di Pietrasanta sono stati serviti da questa sorgente per oltre sessant’anni, ma negli acquedotti venivano mescolate le sue acque insieme a quelle provenienti da altre sorgenti apuane e dai pozzi in pianura. Per questo motivo, indagini effettuate sulla popolazione, hanno sì mostrato discrete quantità di tallio nelle urine dei volontari, ma le concentrazioni non erano così elevate da farlo risultare estremamente tossico.
A questo punto, una domanda sorge spontanea: come è potuto finire il tallio nella sorgente Molini di Sant’Anna? In realtà, esso è presente naturalmente in questa zona delle Apuane, poiché esistono importanti mineralizzazioni contenenti questo elemento chimico. Difatti queste zone sono state inserite tra i 10 siti al mondo con maggiori concentrazioni di tallio. Oltre a questo, sono presenti anche solfuri di ferro, come la pirite, e altri minerali contenenti metalli pesanti come il rame, il piombo, l’arsenico, il cromo e il nichel. Questi non sono stati rinvenuti nelle acque della sorgente Molini di Sant’Anna, perché probabilmente vengono trattenuti dalle rocce acquifero. Il problema dell’inquinamento delle risorse idriche ad opera di metalli pesanti è comunque presente nell’area. Infatti, in questa zona, sono presenti due importanti complessi minerari, oggi abbandonati: la ex miniera di Busto Arsiccio e la ex miniera del Pollone. Le acque meteoriche che si infiltrano nel sottosuolo, incontrano le gallerie minerarie, si arricchiscono in metalli pesanti e vengono a giorno all’imboccatura dei tunnel, originando il torrente Baccatoio. Oltretutto, da quando è stata esclusa dall’acquedotto, anche la sorgente Molini di Sant’Anna alimenta il Baccatoio. Si può facilmente intuire che questo torrente è estremamente inquinato, dato che nessuno ha mai provveduto alla corretta bonifica delle gallerie. Addirittura, le alte concentrazioni di ferro hanno conferito al fiume e al suo fondale un’inquietante colorazione arancione. Questo è un grosso problema per tutta l’area di Pietrasanta poiché il fiume scorre vicino a zone abitate ed è una potenziale fonte di inquinamento dei pozzi presenti nella pianura versiliese.
In conclusione, l’acqua sta diventando estremamente preziosa e sono sempre più importanti studi approfonditi per la sua gestione, in modo da proteggerla dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento. Una corretta caratterizzazione di un acquifero può evitare fenomeni di sovrasfruttamento, di diminuzione della qualità delle acque e di intrusione del cuneo salino nelle aree costiere. Inoltre, una maggiore conoscenza del nostro territorio da parte della popolazione e della politica, potrebbe permetterci di agire tempestivamente. Sarebbe più facile organizzare opere di bonifica, proteggendo gli abitanti dall’inquinamento delle acque. Questo tema non riguarda solo i corsi d’acqua e gli acquiferi sotterranei, ma è di fondamentale importanza anche per quanto riguarda la qualità delle acque che bagnano le nostre coste. Nel prossimo articolo metteremo dunque in evidenza alcune problematiche legate all’inquinamento delle aree marino-costiere. Stay tuned!
Fonti
Relazione del Dipartimento di Scienze della Terra di Pisa sulla sorgente Molini di Sant’Anna
Tesi di laurea sulla sorgente Molini di Sant’Anna e sul torrente Baccatoio
Riassunto dei risultati dello studio sulla popolazione interessata dal tallio
Lorenzo Mori