La storia del lago di Massaciuccoli è sempre stata contraddistinta dalla presenza dell’essere umano. Ci sono stati lunghi periodi in cui l’uomo ha vissuto cacciando e pescando, senza compromettere il suo equilibrio con l’ambiente. Negli ultimi secoli però, lo sfruttamento si è intensificato in modo incontrollato, diventando di tipo industriale e creando un’infinita serie di problematiche che hanno seriamente danneggiato questo meraviglioso angolo della Toscana.
Il lago di Massaciuccoli
Il lago di Massaciuccoli è un lago costiero, situato nella piana Versiliese, tra le Alpi Apuane e il mar Tirreno, a 4 km dalla linea di riva. È collegato al mare attraverso il canale artificiale Burlamacca, dotato alla foce di una chiusa per evitare l’ingresso di acqua di mare. Ha una superficie di 700 ettari e una profondità media di 2 metri. Le sue acque sono dolci, poiché viene alimentato dalla falda, dalle piogge e dai corsi d’acqua che provengono dalle colline retrostanti.
Intorno al lago, per lo più a nord, si trova invece una zona palustre, che si estende per circa 1700 ettari. È intersecata da tre canali navigabili (Burlamacca, Malfante e Quindici) e da una serie di piccoli canali minori, la cui profondità non supera i 2,5 m. Oggi tutta l’area è compresa nel Parco Regionale Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli e rappresenta una delle più importanti zone umide della Toscana e d’Italia. Addirittura nel 2013 quest’area è stata riconosciuta “zona umida di importanza internazionale” e di conseguenza la sua gestione è notevolmente migliorata.
Uno sguardo al passato
Le zone palustri attorno al lago di Massaciuccoli si sono formate a partire dall’ultima glaciazione. L’estensione massima dei ghiacciai venne raggiunta circa 20.000 anni fa, quando il mare raggiunse un livello di -120 metri rispetto a quello attuale. Dopodiché, tra i 18.000 e i 5.000 anni fa, il mare tornò a salire inondando tutta la piana versiliese. Infine, in epoca storica, i sedimenti provenienti dal Magra, dai corsi d’acqua che scendono dalle Alpi Apuane e quelli del sistema Serchio-Arno, andarono a formare una serie di cordoni litoranei che crearono dapprima ambienti lagunari e successivamente aree palustri. Questo importante apporto sedimentario e il conseguente sviluppo di sistemi di dune fece progredire vistosamente la linea di costa e separò il lago di Massaciuccoli e le aree umide limitrofe dal mare.
I più assidui lettori di questa rubrica saranno, in questo momento, piuttosto confusi. Nel primo articolo, infatti, avevamo parlato di erosione costiera, particolarmente intensa in queste zone della Toscana. In realtà, però, tale fenomeno è iniziato solo nell’ultimo secolo, alimentato dall’asporto di sedimenti dagli alvei fluviali ad opera dell’uomo. Se non ci fosse stato un feroce sfruttamento delle risorse naturali, la progressione sarebbe ancora in corso. Ciò è ben evidenziato dalla posizione di molti siti archeologici.
Circa 3000 anni fa, per esempio, la linea di costa si trovava 2,5 km più nell’entroterra rispetto alla posizione attuale, all’altezza della duna Migliarina. Dopodiché, durante il XII secolo d.C., la linea di riva si attestava all’altezza dell’antico Forte del Motrone e del Castello Vecchio di Viareggio, con un avanzamento di 1,3 km rispetto al VII secolo a.C.. Tra il XII e il XVI secolo, poi, si formarono ulteriori sistemi dunari e il litorale era situato all’altezza della Torre di Matilde (oggi nel centro di Viareggio), con un’ulteriore progressione di 500 metri. Siamo certi che gli edifici citati si trovavano sulla spiaggia poiché erano costruzioni adibite alla difesa delle coste dagli attacchi nemici. Infine, tra il XVI secolo e i giorni nostri, la costa è avanzata di altri 700 metri.
“Del suolo immobile non ti fidare…”
Come abbiamo appena visto, la continua progressione della linea di costa ha contribuito a isolare le zone palustri e il lago di Massaciuccoli dal mare. Questi ambienti sono molto particolari e ricchi di biodiversità, ma estremamente ostili all’uomo. Fino al XIX secolo, gli abitanti di questa zona erano condannati ad una vita difficile a causa delle frequenti epidemie di malaria.
I tentativi di migliorare la vita in queste zone con interventi di bonifica e di regimazione idraulica sono iniziati fin dall’epoca romana ma, da quando l’uomo ha cercato conquistare questi ambienti, sono iniziati i primi problemi. In particolare, la bonifica meccanica attuata negli anni trenta del secolo scorso, ha innescato un progressivo fenomeno di subsidenza, accentuato dalla natura torbosa dei terreni. Difatti, se si sottrae acqua da un terreno saturo, quale può essere un terreno paludoso, questo tende a compattarsi.
Nel 1935, nelle aree coltivate a sud del lago, era stata misurata una quota rispetto al livello del mare di -0.25 metri. Oggi le stesse zone si trovano addirittura 3 metri sotto il livello del mare. Il lago di Massaciuccoli, al contrario, è situato all’incirca sul livello del mare. Di conseguenza, devono essere continui gli interventi di manutenzione degli argini per evitare esondazioni e importanti battenti d’acqua nei campi vicini. Purtroppo i cambiamenti climatici stanno aumentando enormemente questo rischio, con le sempre più frequenti bombe d’acqua.
Nel dicembre 2020 il lago ha rischiato seriamente di esondare a seguito di un violento nubifragio ed è stato tenuto sotto controllo solo grazie all’azione dell’impianto idrovoro della Bufalina. Una situazione simile avvenne nel dicembre 2009, quando forti precipitazioni fecero esondare il Serchio vicino alla foce. Le acque lambirono anche il lago che, anche in questo caso, venne tenuto faticosamente sotto controllo dalle idrovore. Gli interventi del Consorzio di Bonifica Versilia-Massaciuccoli e della Protezione Civile evitarono l’esondazione e l’allargamento della zona industriale di Montramito e Massarosa. La subsidenza oggi ha raggiunto livelli tali da rendere del tutto inefficace l’opera stessa di bonifica, rendendo i terreni inutili anche per le coltivazioni agrarie. Questo sta accadendo a sud del lago, in aree la cui dimensione sta progressivamente aumentando.
Il regno del fitoplancton
Abbiamo già parlato, nel precedente articolo di questa rubrica, dell’eutrofizzazione della laguna di Orbetello. Questo fenomeno è avvenuto allo stesso modo nel lago di Massaciuccoli, accentuato dalla presenza di strati di torba al di sotto dei campi coltivati.
La torba è un materiale organico che si forma, appunto, nelle aree palustri, quali erano quelle attorno al lago prima degli interventi di bonifica. In questi luoghi la torba rimane in un ambiente riducente e i vari composti chimici vi restano immobilizzati. Le opere di bonifica hanno il pregio di togliere acqua, rendendo i terreni coltivabili. Di contro, i vuoti che si trovano tra i vari granuli di terreno, non sono più saturi ma entrano a contatto con l’atmosfera. Gli strati torbosi, dunque, passano da un ambiente riducente a uno ossidante. Per esempio, l’ossidazione della pirite (FeS2), che si trova spesso nelle torbe, produce acido solforico e vengono liberati nel terreno fosforo, azoto e metalli pesanti tipo l’arsenico. I terreni si acidificano, peggiorando la loro qualità e si arricchiscono di metalli pesanti.
Inoltre, il fosforo e l’azoto derivano anche dai fertilizzanti, utilizzati per la coltivazione di mais e ortaggi. Questi elementi chimici vengono presi in carico dal complesso sistema di canali per l’irrigazione dei campi e per la bonifica dell’area, vengono pompati dalle idrovore, convogliati nel canale della Barra (nella zona sud del lago) e scaricati direttamente nel Massaciuccoli.
Come abbiamo già visto nell’articolo sulla laguna di Orbetello, il fosforo e l’azoto sono ottimi nutrienti per il fitoplancton. Una grandissima disponibilità di questi elementi ha causato una proliferazione incontrollata di alghe, alcune tossiche anche per l’uomo, che hanno invaso completamente la superficie del lago. Una volta morto, il fitoplancton si decompone sul fondo consumando ossigeno e facendo morire soffocate alghe, pesci e altre specie.
Si racconta che, nel suo periodo di permanenza a Torre del Lago, dal 1891 al 1921, il grande maestro Giacomo Puccini amasse andare a caccia di beccaccini in barca. A quel tempo, infatti, il lago brulicava di vita e erano presenti numerose specie animali e vegetali. Oggi, a causa del l’intenso sfruttamento e del fenomeno dell’eutrofizzazione non rimane praticamente più niente.
Per dare un’idea della portata del fenomeno, in una delle ultime indagini dell’Arpat (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana) è stata misurata la torbidità delle acque con il disco di Secchi. Questo strumento consiste in un piatto bianco legato ad una corda metrata. Quando il disco non è più visibile si acquisisce misura. Ebbene, a giugno di quest’anno, è stata misurata una distanza di soli 40 centimetri tra il disco e la superficie. Oltre questa lo strumento non era più osservabile a causa della torbidità dovuta al fitoplancton. Davvero impressionante!
Fame di torba
Un ulteriore squilibrio del rapporto tra l’uomo e il lago si è creato per l’estrazione e lo sfruttamento della torba come combustibile. Quest’ultima è il primo stadio di formazione del carbon fossile e si trova in uno strato compreso tra i 2 e i 6 metri sotto il piano campagna. Per inciso, il carbone si forma mediante un lungo processo geologico di fossilizzazione e carbonizzazione dei resti vegetali di foreste e paludi. Col tempo, il carbonio contenuto nelle sostanze organiche vegetali, trasforma progressivamente la torba in lignite, litantrace e antracite. La torba, dunque, è un carbone di età recente, originato da piante erbacee. È un materiale leggero e spugnoso, di colore marrone, contenente fino al 90% d’acqua. Questa percentuale può ridursi intorno al 30% dopo un processo di lavorazione e di essiccazione.
Lo sfruttamento della torba iniziò intorno al 1894, per conto della famiglia nobiliare Ginori-Lisci. Alcuni documenti dell’epoca ci hanno tramandato la tecnica di estrazione: “l’escavazione avveniva mediante una draga mossa da un locomobile e la campagna di estorbazione durava ogni anno circa 120 giorni“. Inizialmente la produzione annua risultava molto modesta (circa 550 tonnellate) e veniva impiegato un numero variabile di operai, tra le 5 e le 30 unità.
Nel 1918, per far fronte alle grandi richieste di energia elettrica in tempo di guerra, la produzione annua di torba superò le 22.000 tonnellate, raggiungendo il 8% del quantitativo nazionale. Finito il primo conflitto mondiale, la richiesta di prodotto sul mercato scese bruscamente, fino a tornare, nel 1921, alle quantità del periodo precedente. Anche il numero degli operai impiegati cambiò molto: si passò dalle 1000 unità del 1918 alle 34 nel 1921.
Tra il 1922 e il 1927 la produzione crebbe nuovamente a dismisura. Basti pensare che nel 1925 fu raggiunto il picco di oltre 68.000 tonnellate, pari a più del 75% del quantitativo totale estratto in Italia. La torba veniva scavata per mezzo di benne mordenti montate su galleggianti. Quindici chiatte di 80 tonnellate ciascuna, trainate da tre rimorchiatori, eseguivano il trasporto della torba essiccata verso un piazzale nei pressi di Torre del Lago. Da qui veniva prelevata di volta in volta per il rifornimento dei vicini impianti industriali. Da sottolineare il fatto che la combustione della torba nelle fornaci liberò in atmosfera grandi quantità di CO2, provocando nelle aree limitrofe piogge acide e danneggiando, di conseguenza, la vegetazione.
Dopo il 1925, comunque, la produzione iniziò a calare vistosamente fino alla totale dismissione degli impianti, che avvenne verso la metà del 1927. I trent’anni di attività estrattiva hanno comunque causato gravi conseguenze alla flora e alla fauna del lago, nonché alla vivibilità stessa dell’ambiente. Nel 1921, Giacomo Puccini decise di abbandonare la sua amata Torre del Lago a causa delle “rumorose e maleodoranti lavorazioni di estrazione della torba” per trasferirsi a Viareggio, in una villa a due passi dal mare. L’attività estrattiva ha anche lasciato indelebili cicatrici nella morfologia della palude. Gli attuali canali Burlamacca, Centralino, Punta Grande e Fosso Morto sono il risultato dell’estrazione della torba.
Un gustoso indigesto groviera
L’uomo non si è accontentato di estrarre la torba, ma ha sfruttato anche gli spessi banchi di sabbia silicea, che si trovano sotto di essa. La loro coltivazione è iniziata intorno al XVII secolo, ma il maggiore sfruttamento è avvenuto nel secondo dopoguerra. L’attività, terminata negli anni ’90, ha lasciato dietro di sé evidenti cicatrici sul territorio.
Abbiamo detto che il lago ha una profondità media di 2 metri, ma nella parte più a nord si raggiungono addirittura profondità comprese tra i -18 e i -24 metri s.l.m. Anche nell’ area paludosa, tra i vari canali, si trovano pozze d’acqua che toccano le profondità sopra citate. Queste sono nientemeno che le vecchie cave di sabbia. Lo sfruttamento è stato talmente intenso che, se si osserva l’area dall’alto, ci sembrerà un’enorme groviera.
Ovviamente, questa attività ha avuto gravi ricadute a livello ambientale. Il problema principale di queste pozze è che sono un’ottima trappola per l’acqua salata. Come abbiamo spiegato nell’articolo sull’intrusione marina, nelle zone costiere l’acqua di mare tende ad incunearsi al di sotto della falda per molti chilometri. Il lago ha acqua relativamente dolce con una conducibilità elettrica di circa 2300 µS/cm. Nelle cave, invece vengono raggiunti valori superiori ai 3700 µS/cm (ricordiamo che l’acqua di mare ha una conducibilità elettrica di circa 50.000 µS/cm.
L’acqua salata più densa tende dunque ad accumularsi negli invasi e a rimanere isolata rispetto agli strati d’acqua dolce sovrastanti. Inoltre, questo fenomeno influenza negativamente la concentrazione di ossigeno disciolto. La mancanza di ossigeno innesca inoltre processi di decomposizione anaerobica che generano sostanze riducenti (H2S, NH4+, Fe2+, ecc.), ostili alla vita acquatica. L’ambiente delle cave condiziona quindi lo sviluppo di flora e fauna acquatica, confinando le specie in superficie e impedendo il loro insediamento negli strati più profondi, che ospitano solo comunità batteriche anaerobiche.
Sfrutta, sfrutta… il lago scompare
Oltre a quelle di cui abbiamo parlato sopra, la zona del lago è soggetta ad altre problematiche. La principale è legata al sovrasfruttamento della falda. Difatti sono presenti, specialmente nelle aree bonificate, una grande quantità di pozzi a scopo prevalentemente irriguo e potabile, che favoriscono il richiamo del cuneo salino. Specialmente in estate le acque del lago si abbassano e dai canali arriva un grosso apporto di nutrienti per il fitoplancton e altri elementi chimici nocivi. È stato calcolato che, se le acque del lago continueranno ad essere sfruttate con questi ritmi, il Massaciuccoli potrebbe scomparire nel giro di circa 100 anni.
Guida… al gambero rosso
Infine, una gestione disattenta da parte dell’uomo, ha contribuito alla proliferazione di specie alloctone nelle acque lacustri. La specie più “pericolosa” presente nel lago è sicuramente il gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii), che si è moltiplicato in modo esplosivo, determinando la forte sofferenza, e talvolta l’estinzione, della fauna ittica autoctona.
Tutto cominciò tra il 1991 e il 1992. Una piccola società di Massarosa (situata sulla sponda lucchese del Massaciuccoli) importò gamberi rossi d’acqua dolce americani per allevarli. Bastarono solo tre anni agli esemplari fuggiti dall’allevamento per proliferare e invadere tutto il lago, creando enormi problemi all’ecosistema locale. Inoltre, data l’abitudine di questi crostacei a scavare lunghe tane, profonde fino a 1,5 m, si sono verificati anche numerosi problemi strutturali alle sponde, sia del lago che dei canali circostanti. Questo potrebbe risultare un grosso problema durante le piene del lago, che rischiano di rompere gli argini e di allagare più facilmente i campi circostanti.
Dal degrado al recupero ecologico
Come abbiamo potuto constatare in questo articolo, il lago di Massaciuccoli è stato ingiustamente sovrasfruttato negli ultimi secoli. L’uomo ha lasciato dietro di sé una scia di danni incalcolabili all’ambiente e alle specie animali e vegetali. Da quando la zona è stata inserita nel parco Regionale di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, sono stati effettuati numerosi studi, volti al ripristino dell’ecosistema. Sono previsti interventi per mitigare più o meno tutte le criticità che abbiamo citato. Per esempio sono in programma interventi di fitodepurazione delle acque provenienti dalle aree coltivate, in modo da ridurre l’apporto di nutrienti. Si è cercato, inoltre, di favorire la proliferazione di pesci che si nutrono di fitoplancton, in modo da diminuire l’eutrofizzazione. Sono in cantiere poi, interventi di svuotamento delle masse d’acqua salata, poste sul fondo delle cave, sfruttando le correnti emissarie e infine la lotta al gambero rosso.
Purtroppo, le problematiche elencate, hanno ancora una volta evidenziato il peso degli aspetti socio-economici rispetto alla primaria esigenza di ripristinare le condizioni di stato ecologico di un determinato ambiente, come il lago di Massaciuccoli. Oggi più che mai è necessario un serio impegno educativo che contrasti il notevole grado di arretratezza culturale sui temi ambientali. Questa rubrica cerca di contribuire, nel suo piccolo, al raggiungimento di questo difficile, ma non impossibile obiettivo.
Fonti
- Dichiarazione di importanza internazionale della zona umida denominata “Lago e Padule di Massaciuccoli”
- Storia geologica del territorio
- Geoarcheological evidences of changes in the coastline progradation rate of the Versilia coastal plain between Camaiore and Viareggio (Tuscany, Italy): possible relationships with Late Holocene high-frequency transgressive regressive cycles.
- Zone umide: dal degrado al recupero ecologico. Il caso del lago di Massaciuccoli (Toscana nord-occidentale)
- L’estrazione della torba
- La questione del lago di Massaciuccoli
- Studio preliminare ambientale – Relazione geologica-idrogeologica
Lorenzo Mori