21 Novembre 2024

Prova a leggermi  è la giusta occasione per poter consigliare un libro che mi ha colpito in modo particolare, cercherò di spiegarvi il perché.

 

Scrivere il secondo roL'analfabeta che sapeva contaremanzo della propria carriera non è mai affare semplice. Le aspettative sono molto alte, si rischia di ripetersi inutilmente nella trama, nei personaggi, nella struttura e il paragone è immancabile. E se oltretutto la prima opera ha venduto 6 milioni di copie in tutto il mondo, le cose si fanno più complicate. Jonas Jonasson si è fatto notare nel 2009 pubblicando Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, un romanzo incredibilmente divertente, ironico e paradossale. Nel 2013 è la volta di L’analfabeta che sapeva contare, che, a mio parere, non ha minimamente deluso le aspettative.


Gli ingredienti per dar vita ad un altro bel romanzo c’erano anche stavolta: una protagonista fenomenale, personaggi secondari ben tratteggiati, comici e improbabili, un contesto storico intelligentemente curato e uno stile leggero e disteso. Conosco bene i pregiudizi di chi si tiene alla dovuta distanza da uno scrittore che è entrato nel mondo delle letture popolari all’improvviso, col botto, e so che molti lettori di nicchia potranno arricciare il naso, tuttavia, L’analfabeta che sapeva contare, è ben lontano dall’essere un semplice piano editoriale, stilato per far salire le vendite e accalappiare i lettori occasionali e meno pretenziosi.

La storia copre un arco di tempo piuttosto lungo, ovvero dall’infanzia della protagonista fino alla sua maturità. La persona in questione si chiama Nombeko, quattordicenne che vive nei sobborghi della Johannesburg degli anni ’70, la quale, nonostante la giovane età, è già la responsabile della gestione dello svuotamento latrine di un settore di Soweto. Riesce a farsi strada grazie alla sua incredibile predisposizione per la matematica e alla sua naturale dimestichezza con i calcoli, ma è analfabeta. Però imparerà a leggere, ed anche molto in fretta. Per una serie di circostanze sfavorevoli e alquanto bizzarre, si trova costretta a prestare servizio come inserviente presso l’ingegner van der Westhuizen, un completo incapace sempre troppo alticcio per elaborare pensieri complicati, ma inspiegabilmente a capo degli armamenti nucleari sudafricani. Da qui cominciano le peripezie perché, per una “svista” viene costruita un’arma nucleare di troppo di cui soltanto in pochi sono a conoscenza. Negli stessi anni in una cittadina svedese vivono l’esaltato filo-repubblicano Ingmar con la moglie e i due figli gemelli che, però, anagraficamente vengono registrati come se fossero una persona sola, e perciò per distinguerli sono chiamati Holger 1 e Holger 2. Sono però l’opposto l’uno dell’altro: il primo ha seguito le orme del padre ed è un esaltato antimonarchico un po’ lento di comprendonio, il secondo invece è meno rivoluzionario, più riflessivo ed intelligente. Nombeko si troverà invischiata, assieme ai due gemelli in un una delicatissima questione mondiale, incontrando e trattando con personalità di tutto rispetto.

Verso ciascun personaggio che fa capolino nella storia si prova immancabilmente simpatia, anche se si tratta di un personaggio secondario o che compare per pochissime righe, perché ciascuno è, a mio parere, essenziale per ottenere quell’aspetto surreale e stravagante. Entrano in scena, equivoco dopo equivoco, figure sempre diverse che si alternano fra battute e dialoghi assurdi, ma tutte ben precise e delle quali da subito si intuiscono la personalità ed il carattere. Queste figure si presentano da sé, non c’è bisogno che lo faccia nessun altro: già dalla loro prima battuta capiamo con chi si ha a che fare. Perciò avremo tre ragazze cinesi un po’ distratte, due agenti del Mossad israeliano, una ragazza perennemente arrabbiata, un paranoico ceramista americano, una contessa coltivatrice di patate, il primo ministro svedese ed il re di Svezia. E infine protagonista assoluta è la bomba che da un momento all’altro potrebbe finire nelle mani sbagliate.

La trama è ricca di particolari, non rende affatto giustizia riassumerla in poche righe, in questo modo si perdono dettagli spassosi e importantissimi per la vicenda; questo aspetto è un grande pregio di Jonasson: ogni piccolezza ha un senso all’interno di tutto il sistema e tali dettagli e colpi di scena non fanno che mantenere vivo l’interesse man mano che le pagine scorrono fra le dita una dopo l’altra. Rendono tutto più interessante. La storia è un completo paradosso, non si smette mai di ridere grazie sia ai personaggi, colti nel loro aspetto più ridicolo e insolito, che agli eventi, i quali sembrano non risolversi mai.

Inoltre, il fatto di trattare fatti realmente accaduti, sullo sfondo della storia mondiale più recente, senza tuttavia pesantezza narrativa, è la dimostrazione di quanto L’analfabeta sia un romanzo davvero ben fatto e piacevole. Nonostante la ricchezza di particolari non la ritengo un’opera complicata, anzi, è quel tipo di lettura che si ha voglia di intraprendere quando siamo un po’ stressati e sentiamo il bisogno di leggere storie divertenti ma non per questo di poco spessore.

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Eleonora Simeone

Passo il mio tempo libero tra pagine di carta. Chissà, magari un giorno lo farò anche di mestiere. Preferisco lasciar parlare i libri al posto mio, almeno vi evito un mare di insensatezze.

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