«Questo libro è il racconto di quella che io trovo la più grande meraviglia: il linguaggio umano». Così Andrea Marcolongo presenta il suo nuovo libro “Alla fonte delle parole – 99 etimologie che parlano di noi”, pubblicato da Mondadori e che sarà presentato a Livorno il 12 febbraio alle 17,30 nel salone del Tirreno con la partecipazione del direttore Fabrizio Brancoli .
La scrittrice, dopo i successi di “ ‘La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco” (Laterza) e “La misura eroica” (Mondadori), ci offre un’opera per molti aspetti anomala e affascinante, un racconto di parole sulle parole che usiamo per descrivere la realtà. Le parole sono fondamentali, l’elemento con cui si attua la nostra comunicazione tra persone, nelle relazioni sociali, culturali, politiche e simboliche.
Senza il linguaggio non faremmo che perderci nella confusione che oggi sembra molto estesa: non a caso confusione è la prima parola che incontriamo in questo viaggio, linguaggio è l’ultima delle 99 parole. Delle parole dobbiamo avere cura. «Sono un giardino da coltivare con pazienza ogni giorno, da mantenere fertile e vivo, fino alle sue radici».
Ma come ci si prende cura delle parole? Innanzitutto riappropriandoci della storia, appunto, delle loro radici. «Quanto ha viaggiato una parola prima di arrivare fino a noi? Da dove è partita? Quanti luoghi ha toccato influenzando altre lingue e quanto è stata a sua volta modificata? – scrive Marcolongo – Forse non c’è lezione migliore di quella che ci offrono le parole, per loro natura viaggianti, che di movimento e di mescolanza da sempre fanno una ragione di sopravvivenza». Di parole Marcolongo ne ha scelte 99, selezionando, come sottolinea, quelle che le davano piacere nel farlo. Nel libro non si trova un ordine alfabetico, ciascun lettore potrà iniziare dalla parola che vorrà. Personalmente ho iniziato dal verbo leggere che deriva da lego, che vuol dire “raccogliere”, “dire”, o “scegliere”. Leggere significa scegliere, dunque senza parola non può esistere decisione alcuna. «Grazie ai libri – e alle parole – possiamo viaggiare per conoscere gli altri, ma soprattutto noi stessi e la nostra storia». È fondamentale allora riappropriarsi delle parole, perché «le cose non sono come le vedi, sono come le chiami» e per dirla con Albert Camus citato da Marcolongo, «nominare in maniera corretta le cose è un modo per tentare di diminuire la sofferenza e il disordine che ci sono nel mondo».
E gli etimi costituiscono la cassaforte del nostro sguardo sulla contemporaneità. Un libro la cui lettura mi ha fatto riflettere anche su diversi aspetti che riguardano la nostra pigrizia verbale che poi è anche intellettuale; una lettura che ritengo tanto più significativa in un contesto generale dove è molto forte il processo di banalizzazione e di continuo impoverimento, direi anche di corruzione a cui oggi è sottoposto il linguaggio. E come annotava Antonio Gramsci nel linguaggio è contenuta un’intera concezione del mondo. —
Enrico Mannari