Il Natale del 2016 potrebbe essere ricordato, nei prossimi decenni, come un momento di svolta per il caos mediorientale.
Nelle ultime ore, infatti, con soltanto poche migliaia di civili e di miliziani ancora in attesa di evacuazione, si è conclusa, dopo quasi quattro anni e mezzo di ostilità ininterrotte, la battaglia di Aleppo. L’ultima, devastante offensiva delle forze governative, sostenute da una costellazione di milizie sciite filo-iraniane e dai massicci bombardamenti dell’aeronautica militare russa, è riuscita a riconquistare quella che, all’inizio della guerra, era la seconda città siriana, il simbolo della multiculturalità e della vivacità economica del Paese. Gli ultimi ribelli arroccati nei quartieri orientali, appartenenti a formazioni jihadiste quali Ahrar ash-Sham ed il qaedista Fronte Al-Nusra, hanno accettato la proposta del regime, sponsorizzata dalla mediazione bilaterale russo-turca, di abbandonare l’abitato con le rispettive famiglie e di essere accompagnati nel Governatorato di Idlib, regione pressoché interamente controllata dall’Esercito della Conquista, un cartello di milizie salafite finanziato da Riyad ed armato da Ankara.
Parimenti, i ribelli si sono impegnati a garantire la fuoriuscita della popolazione sciita dalle cittadine di Fua e di Kefraya, anch’esse assediate da due anni. Adesso, i quasi trentamila combattenti lealisti impegnati fino ad ora in quest’area potranno essere dislocati altrove, su altri fronti. L’impressione è che, nei primi mesi del 2017, il governo ed i suoi alleati si adopereranno per compattare ulteriormente le zone sotto il loro controllo, adottando lo stesso metodo di Aleppo nei confronti delle sacche insurrezionali situate a nord di Hama e nelle campagne ad est della capitale. Dopodiché, l’attenzione sarà rivolta su Idlib, anche se, a parere di chi scrive, l’escalation sarà scongiurata da un accordo politico.
In seguito alla decisiva vittoria di Aleppo, Bashar Al-Assad è tornato in pieno possesso di tutta la cosiddetta “Siria utile”, ossia delle regioni del Paese maggiormente popolate e ricche di risorse. Ad eccezione di Idlib, quartier generale de facto di ciò che resta della ribellione, e di Raqqa, capitale dello Stato Islamico, su tutte le principali città (Damasco, Homs, Hama, la stessa Aleppo, Latakia, l’assediata Deir Ez-Zor) sventola la bandiera del raìs. Un discorso a parte merita la parte settentrionale dell’ex provincia romana, dove il ricongiungimento territoriale dei tre cantoni del Rojava curdo è stato, almeno momentaneamente, impedito dall’incursione terrestre turca che, sotto il nome di “Operazione Scudo dell’Eufrate” e con la scusa di voler combattere il Daesh, ha determinato l’occupazione territoriale di oltre milleseicento chilometri quadrati, compresi tra Azaz e Jarabulus. Attualmente, le forze ribelli, che si fregiano del vessillo di quello che, una volta, prima di cessare di esistere come forza militare organizzata, era l’Esercito Siriano Libero, spalleggiate da unità speciali e da mezzi corazzati di Ankara, hanno raggiunto la periferia di Al-Bab, ultima roccaforte dello Stato Islamico nel nord della Siria, sulla quale stanno convergendo, tanto da ovest quanto da est, anche le Forze Democratiche Siriane (al cui interno sono confluite anche le ultime compagini “moderate” della ribellione, ormai totalmente egemonizzata da forze salafite jihadiste) a guida curda, supportate, sul fronte occidentale, anche dalle truppe di Assad.
Una vittoria dell’asse curdo-siriano determinerebbe una decisiva battuta d’arresto per il presidente turco Erdogan, che teme la nascita di una regione autonoma curda più di ogni altra cosa, mentre, d’altro canto, qualora i ribelli islamisti dovessero prevalere, la riunificazione del Rojava potrebbe essere vanificata per sempre.
Nel frattempo, approfittando del trasferimento nel settore di Aleppo di tutte le unità migliori a disposizione del regime di Damasco, il Daesh ha sferrato un nuovo attacco nel settore di Palmira, riuscendo ad impadronirsi nuovamente dell’antica cittadina, persa nove mesi fa, con una rapidità degna della Wehrmacht tedesca. Il migliaio scarso di combattenti della Forza di Difesa Nazionale, schierato a sua difesa, è stato costretto a ripiegare ad ovest dell’abitato, presso la base aerea di Tiyas. Soltanto il miglioramento delle condizioni meteorologiche, il quale ha permesso ai cacciabombardieri russi di entrare nuovamente in azione, insieme al tempestivo afflusso di rinforzi appartenenti ad Hezbollah ed alla milizia afghana Liwa Fatemiyoun, hanno permesso allo schieramento governativo di stabilizzare il fronte e di riconquistare alcuni villaggi. Nell’area, poi, stando a quanto si vocifera, sono attesi anche due battaglioni di fanteria cecena, gentile omaggio del vassallo di Mosca a Grozny, Kadyrov.
Ad ogni modo, si è trattato di un duro colpo per la propaganda del presidente russo Putin, che aveva giustificato il proprio intervento militare in Siria proprio grazie alla riconquista di Palmira. Ciò non toglie che difficilmente i combattenti dello Stato Islamico potranno mantenere le loro posizioni a lungo, esposti come sono agli attacchi aerei, non solo russi, ma anche della coalizione internazionale a guida americana. Inoltre, da nord, i curdi stanno premendo sempre di più e, dopo aver riconquistato circa cinquecento chilometri quadrati di territorio a sud del villaggio di Ayn Issa, hanno iniziato ad avanzare su Raqqa anche da ovest, straripando oltre la diga di Tishrin e raggiungendo le rive del Lago Assad.
A dispetto dell’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara ad opera di un giovane poliziotto islamista, a Mosca si è tenuto ugualmente, nelle scorse ore, un incontro trilaterale tra i ministri degli esteri di Federazione Russa, Iran e Turchia, il cui scopo dichiarato era quello di lavorare ad una soluzione politica della Guerra Civile Siriana. Come era prevedibile, i colloqui non hanno portato ad una soluzione pratica ed immediata, ma le parti si sono impegnate a garantire un cessate il fuoco permanente in futuro e, soprattutto, ad aggiornarsi in nuovi meeting ai quali, salvo sorprese, non dovrebbero nuovamente essere invitati rappresentanti americani o europei. Elemento fondamentale, quest’ultimo, poiché rende ancora più evidente la marginalizzazione della presenza occidentale, soprattutto statunitense, nella regione.
L’incontro di Mosca ha, poi, messo di nuovo in luce una delle verità più assodate e, al tempo stesso, più nascoste mediaticamente del conflitto, cioè la clamorosa sconfitta politico-militare dell’Arabia Saudita, la cui casa regnante ha investito miliardi di dollari per rovesciare Assad e che, a differenza della Turchia e salvo colpi di scena hitchcockiani, si ritroverà, al termine delle ostilità, con un cerino in mano.
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