Pirati dei Caraibi – La Maledizione del Forziere Fantasma
Jack Sparrow è alla ricerca del forziere di Davy Jones, prezioso scrigno dove all’interno è conservato il suo cuore. Il recupero è necessario a Jack per poter porre fine al patto stretto con il capitano dell’Olandese Volante tre anni or sono: la sua anima in cambio della Perla Nera. Nel frattempo Will ed Elizabeth devono pagare lo scotto per aver aiutato il famigerato pirata, con la sua ciurma, ad evadere dalla prigionia e conseguente pena di morte, gesto che li ha portati ad avere a che fare con Lord Cutler Beckett, neo rappresentante della forza della marina britannica e della colonia delle Indie Orientali con base a Port Royal, anch’egli interessato alla ricerca del forziere per fini tutt’altro che nobili. Si assiste ad un lento, ma incontrollabile cambio di valori nel mondo della pirateria, un passaggio cruciale che vede schierate le forze del bene e del male sulla scacchiera dei mar dei Caraibi.
E’ un tour de force dove su più piani si lavora per giustificare gli intrecci che sono inseriti ad incastro in un meccanismo capace di complicarsi sempre di più, riprendendosi a buon diritto set e scenografie viste ne La Maledizione della Prima Luna per poi prendere il largo per approdare su lidi sconosciuti e inenarrabili. Dead Man’s Chest ha tutto quello di cui non ha potuto godere il predecessore: una trama più matura, effetti speciali più curati, una colonna sonora barocca e rumorosa i cui temi hanno fatto breccia nell’immaginario, ed una risoluzione narrativa drammatica al limite dell’eccesso.
Il capitolo di mezzo respira con i propri polmoni ed attinge ad un compendio leggendario senza sovraccaricare i propri contenuti, inserendo una nemesi differente dall’Hector Barbossa di Geoffrey Rush: mentre l’ex primo ufficiale della Perla Nera arraffava bottino per porre fine alla temibile maledizione del tesoro Atzeco, il Davy Jones di Bill Nighy muove i suoi tentacoli tra onde più insidiose, virando la sua vita all’eterna ricerca delle anime dei morti in mare per dare a questi un’ultima possibilità di sopravvivenza da pagare con un prezzo elevato: cento anni sotto il suo comando sull’Olandese per posporre il giudizio finale. Jones è un traghettatore corrotto, deviato e punito dall’amore verso una donna (la cui identità si scoprirà essere la dea Calypso), sofferente anima dannata relegato a ruolo di Caronte, il rovescio della stessa medaglia dove recto e verso hanno le fattezze di quest’ultimo e del famigerato Jack.
I Pirati dei Caraibi trovano una formula efficace, film per ragazzi che si traveste da pellicola per adulti, scherzo fatto sotto coperta da un regista appassionato di cinema di genere che sembra voler affondare la propria visione del mondo della settima arte nel fianco di una delle major più famose dell’industria cinematografica: la Disney. Questo secondo atto, la cui chiusa dimostra un coraggio non da poco avviando la conclusione dell’epopea ad un terzo capitolo necessario, è cosparso di omaggi e richiami evidenti che non hanno, ma nemmeno chiedono, alcuna ogni logica visiva, ma sfruttano appieno ogni risorsa e circostanza, al cui interno ci sono uomini e donne cacciatori di tesori e reliquie maledette contraddistinti da una passione ardente, la stessa bramosia che abbiamo già visto al cinema negli occhi di icone intramontabili. Sparrow è un Indiana Jones alla ricerca del Graal, un Tuco analfabeta di fronte alla tomba senza nome nel cimitero de Il Buono, Il Brutto e il Cattivo, un Lawrence d’Arabia senza patria che agogna di arrivare a toccare un sogno irrealizzabile, disilluso demiurgo che struttura la materia del reale in un arcipelago immateriale di situazione incontrollabili ed impossibili da gestire a sua insaputa.
Gli eroi e l’eroine dei Caraibi si lanciano contro le difficoltà insormontabili dell’oceano con la stessa dose di follia con cui Ahab si scaglia contro la balena bianca, sono nature irrequiete non ancorate ai dettami della modernità, figli e figlie di un Dedalo degli abissi dove al sole si preferisce di gran lunga fare un volo pindarico verso le profondità del mare, nel silenzio e nell’oscurità del blu in cui ogni uomo fa i conti con se stesso e con la giustizia divina che ha il volto di Davy Jones. Il tono epico della grande letteratura americana segue la rotta dei kolossal del passato, gli elementi per fare di questo intrattenimento mainstream un prodotto trovano forza l’uno dall’altro e vengono alla luce, accompagnati da un allestimento scenografico e visivo maestoso e imponente. Chiamatelo pure capitano perché, per chi crede a queste storie, Jack Sparrow è al timone di una nave delle meraviglie dalla cui coffa lo sguardo si può perdere in un oceano dove naufragare significa sognare ad occhi aperti.