Chiamatemi fascista.
Borghese. Reazionario. Servo del sistema.
Ma in Piazza Alimonda non c’erano eroi.
Non venitemi a parlare di ideali e del fervore dei vent’anni.
Di fiori nei fucili e “slancio civile”, del dolore di genitori orgogliosi.
Non venitemi a parlare della Diaz. Di Cucchi. Di Sandri, o di chi vi pare. Perché quello che riesce meglio a chi vuole sentirsi impegnato senza spostare la coscienza su ON è confondere i fatti. Giustificare una violenza con contingenze del tutto estranee, che nulla c’entrano con quello di cui si sta parlando.
Avanti, allora. Scrivete tutti come pecore della condanna per stupro di Placanica dieci anni dopo.
Continuate con le vostre filippiche sugli “uomini freddi che dagli uffici discutono la strategia” (Guccini dixit) e sugli uomini in uniforme formati per provare odio (Giuliani senior, stavolta) e scattare come cani rabbiosi contro chi si oppone – inerme, mischino– ad un sistema corrotto, da rivoluzionare, ad una sporca “verità di regime”, che deve essere scoperchiata.
All’Università (fucina di grandi menti, pare) ad un corso che poi abbandonai, un Professore parlò dell’opposizione tra forze dell’ordine e manifestanti.
Di come “il carabiniere sia forte della sua arma”, forte, contro il manifestante indifeso.
Di come lo sputo di un No-TAV sul viso di un servo dello Stato (Stato di cui fa parte anche lui, e fai parte anche tu) fosse un atto di protesta non violenta.
Di come l’ordine pubblico sia organizzato con meticolosa lucidità, con freddo sadismo, “come i militari kazaki nella Piazza Rossa, insensibili alle preghiere delle madri russe”, schierando contro la folla uomini nati fuori dal contesto geografico, per far sì che colpiscano più forte. E senza remore.
Questo odio contro le istituzioni è figlio di un malcontento che troppe volte ha visto giustificato il suo modus operandi più dell’accettabile, che anche negli anni in cui la lotta al potere poteva aver riconosciuta assoluta dignità ontologica ha sbagliato a riconoscere il nemico, portando avanti la sua lotta contro i celerini figli del popolo e non contro i signori, che hanno usato il popolo come braccio armato per combattere se stesso.
Riuscendo benissimo nella pièce.
Ma adesso non venite a parlarmi di ideologia. Di difesa dei valori. Di difesa dello stato sociale e dei sottoprotetti (non più delle fabbriche ma) del mondo intero.
Non venite a parlarmi della malvagità della globalizzazione, della sovrastruttura mondiale da combattere, della brutalità del liberismo. Di resistenza armata all’imperialismo e alle scelte politiche del Primo Mondo.
Non venitemi a dire di aver un obbligo verso la vostra coscienza, che vi impone di reagire. Perché una coscienza che giustifica un omicidio (pur tentato) è una coscienza malata, non una coscienza di classe da discolpare per aver difeso l’interesse comune.
Non venite a dirmi che i supermercati a Genova sono stati assaltati come protesta al capitalismo, e le Banche come protesta al sistema bancario. Per favore, non offendete la mia intelligenza.
La confusione dello studente che si sente operaio, in fondo, c’è sempre stata.
La confusione di chi vuole imporre le proprie idee a coloro che accusano di imporre le proprie.
La confusione nella mente di giovani che pensano di avere la ragione in pugno (alzato) e che ogni mezzo gli sia lecito per ottenerla.
Voglio solo ricordare ai difensori sine condiciones che chi era a capo quel giorno del corteo delle “tute bianche” cui partecipò Giuliani con l’intento di violare la “zona rossa” era il caro Luca Casarini, che si è opposto a Genova e in tutta Italia, e Sud America pure (pensa!) alle brutture del nuovo mondo capitalista, e che adesso è un imprenditore, che ha pubblicato anche un libro con la casa editrice del buon Silvio.
“Un generatore di vecchi luogocomunismi” – per dirla con le parole di Aldo Grasso – che a Genova tentava di sfondare le barriere disarmato di caschi, protezioni in gommapiuma e scudi di plexiglas, più di tutta la pavimentazione stradale, armi improprie, cartelli e cassonetti che era riuscito a trovare.
Seguito da un Giuliani “che raccoglie pietre, rompendo il selciato” (atti del processo), con in viso un passamontagna ed in tasca un taglierino, pronto ad esporre con civiltà, cortesia e buona educazione le proprie idee sulla povertà (tema del G8) ai perfidi squadristi che impediscono ai poveri di sfamarsi, causa di ogni male del mondo. Impiegati da 1400 euro al mese.
Non dirò mai che Giuliani se la sia cercata per aver manifestato.
Io ho manifestato, ho preso parte a cortei. Ho trattato con l’ordine pubblico nelle piazze, e fuori dagli stadi. Ho scavalcato un cordone, una volta, disobbedito a un consiglio.
Ma mai sognerei, mai, di assalire fisicamente anima viva. Fosse anche qualcuno che ha idee antitetiche alle mie. Soprattutto qualcuno che non è altro che un servitore (e non servo!) di quello che chiamate sistema, che permette ogni giorno che quel sistema nel quale chi vuol tirarsene fuori tuttavia vive, e al quale si appoggia, possa esistere.
La violenza di attacco non può mai essere giustificata, e a Piazza Alimonda, tra tutti i misteri che non potranno mai essere risolti, c’è solo una certezza: quel Defender con a bordo Cavataio, Placanica e Raffone, tre ragazzi di vent’anni alle prime armi (Placanica, che ha sparato, era ausiliario da soli sei mesi), stava tentando di ritirarsi. Bloccato senza possibilità di fuggire, attanagliato da una folla di “manifestanti non violenti”, armati fino ai denti di pietre, bastoni, travi, la palanchina d’acciaio e di un estintore.
Trave che ha colpito un carabiniere, dopo aver sfondato il vetro.
Estintore che prima di essere stato alzato una seconda volta da Giuliani, era già stato lanciato contro la camionetta, mentre gli inermi protestanti tentavano di tirar fuori dai piedi con la forza le camicie nere in uniforme al grido di “Vi ammazziamo, bastardi!”.
Se al posto di tre carabinieri, nell’auto ci fossero stati tre civili così brutalmente assaltati, nessuno avrebbe gridato allo scandalo. All’omicidio politico.
Liberiamo l’analisi dal sentimento personale e dalla connotazione ideologica. Qualunque potere tu sostenga l’inquadratura si stringe su due ragazzi di vent’anni (Giuliani era tre anni più grande) l’uno di fronte all’altro. Divisa o meno. Obbligo di lavoro o difesa delle proprie idee che sia.
Io vedo solo un giovane mandato al macello che si è salvato la vita portandone via un’altra (e non lo dico io, lo ha detto il Tribunale, ma dimenticavo, anche i giudici sono servi del sistema, CEDU compresa).
Che era accucciato con tre colleghi nella camionetta, in stato di shock e già feriti, dal lancio di pietre e dalla trave.
Impaurito, che ha cercato dapprima di disperdere la folla, e poi si è difeso come ha potuto.
Il PM Silvio Franz parla del
Placanica con in mano la pistola e la testa sanguinante che ripete la frase “mi volevano ammazzare, io non voglio morire”.
Ditemi in che modo tentare di ammazzare qualcuno possa essere ricondotto allo “slancio sociale” così strenuamente difeso dal sig. Giuliani padre sull’Unità.
Anche io ho manifestato. Ma di Uffici di Presidenza di partiti al Senato non ne ho avuto neanche uno. E neanche di canzoni dedicate.
Nessuno mi ha definito un eroe.
E non parliamo del popolino che si scalda per ogni cosa, parliamo di politica e intellighenzia del Paese.
Di chi considera tautologico parlare di “sbirri assassini”, di Onlus (“Comitato Piazza Carlo Giuliani”) che hanno diffuso un “documentario” (la dignità di documentario se la sono evidentemente autoconferita) che indottrina i “disobbedienti” d’Italia contro il nemico Stato Padrone (“La trappola“, dalle parole dello stesso Giuliano Giuliani), che parla di apparato repressivo di 16’000 uomini contro appena 1’500 manifestanti, che nel più becero complottismo ed anti-istituzionalismo accusa “gli uomini freddi” degli uffici, e “gli uomini caldi” per le strade, di aver ordito un piano perfettamente congegnato per poter sfogare il loro bisogno di violenza rimanendo impuniti.
Che arriva a dire che i cassonetti, ma soprattutto gli estintori! siano stati lasciati deliberatamente in giro dalle FF.OO. per creare disordini. Che spaccia per controverità rispetto a quella di regime il tentativo di Giuliani di disarmare il carabiniere con l’estintore.
Parliamo di gente che vuole giocare agli anni di piombo, ma è cresciuta a pane e televisione, che è stata presa e sbattuta contro una realtà che non era quella che dalla televisione sognava.
Molta gente ha idee politiche, desiderio di rivalsa sociale, per sé e per gli altri, gente che lotta ogni giorno civilmente per sostenerle. Invece qui si esalta come paladino della democrazia un giovane violento, delinquente, che aveva contatto con il tanto odiato sistema di polizia da anni, condannato più volte non per aver difeso le proprie idee, ma per i più disparati motivi.
“Un ragazzo” e basta, “non aggressivo, tranquillo”, “caduto lottando per la giustizia e la libertà“, che annoverava nella sua limpida fedina penale simpatici, tranquilli, non aggressivi precedenti: oltraggio, violenza, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale; detenzione di stupefacenti; porto di arma da taglio; possesso di materiali atti a offendere; guida sotto l’influsso di stupefacenti.
Un ragazzo rinnegato in vita dagli stessi genitori, che nelle intercettazioni private rese pubbliche da il Giornale, parlano del figlio come un ragazzo perduto, al quale il padre augura presto “un bel funerale”.
Ma che sono corsi a piangere il povero morto, “eroe popolare”, appena odorata la scia degli avvenimenti, con tanto di show alla commemorazione, alla quale il padre si presentò indossando la maglietta: «Beato chi crede nella giustizia perché sarà giustiziato». Sono corsi allora sui media, in politica, raccattando anche un posto da senatrice per Rifondazione!
A dimostrazione che il rispetto per lo Stato non è più un valore da preservare, ma una commedia. Una malattia da combattere, con ogni mezzo necessario.
Io non ci sto.
Chiamatemi fascista. Indegna. Folle.
Ma non c’erano eroi quel giorno.
Sulla lapide, nella salvia rossa a Piazza Alimonda, nessuno per cui valga la pena sprecare una lacrima.
“Massimiliano Monai, a torso nudo e con una maschera protettiva da pugilato, partecipa all’aggressione: “il rumore era assordante ed io trovata a terra una trave, cominciai a colpire il tetto del mezzo; l’ultimo colpo lo diressi all’interno del mezzo il cui finestrino posteriore destro era già frantumato. Vidi per un attimo il volto del carabiniere che era posizionato nella mia direzione ne colpii la sagoma, poi lo vidi accucciarsi. Mentre avveniva tutto ciò la gente intorno urlava frasi di disprezzo e minaccia nei confronti dei CC quali “bastardi, vi ammazziamo”. Non ho udito frasi provenienti dall’interno della camionetta ma in quel trambusto non posso escludere che siano state proferite”. I manifestanti colpiscono gli occupanti del mezzo con pietre ed altro; probabilmente si cerca anche di trascinare fuori dal mezzo i Carabinieri trascinandoli per le gambe. Nella parte posteriore del mezzo Raffone, colpito al volto e al costato, si accuccia mentre Placanica cerca di proteggerlo e urla “finitela, andatevene!”. Mentre Cavataio fa retromarcia e forse gli si spegne il motore. Dopo essere stato colpito al capo Placanica estrae la pistola e urla “andatevene o vi ammazzo”.”
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