21 Novembre 2024

Istintivamente, verrebbe da rispondere “sei stato su Marte negli ultimi 6 mesi?”

Eppure, a pensarci bene, non è ancora molto chiaro, anzi, per nulla.


Innanzitutto, una precisazione: non siamo (ancora) in guerra frontale e dichiarata con la Russia, e menomale. Stiamo applicando sanzioni durissime (ai russi e a noi stessi di conseguenza) e stiamo inviando armi all’Ucraina, portando avanti quella che viene chiamata una “guerra per procura”

Spoletta italiana Ucraina

Un esempio di armamento donato agli ucraini dall’Italia

La spiegazione ufficiale e ripetuta continuamente da mesi è che, dal momento che l’Ucraina è uno stato sovrano, Putin non doveva permettersi di invaderla, le sue motivazioni sono propaganda e disinformazione e se non lo fermiamo arriva fino a Berlino, se non a Lisbona. Fortunatamente, la seconda parte del discorso non viene più ripetuta, anche perché cozza leggermente con la narrazione di una Russia in difficoltà sul piano militare: come fa a conquistare tutta Europa se non riesce manco a prendersi il Donbass?

Questa parte è stata sostituita con un’altra, più emotiva, un imperativo categorico morale: dobbiamo salvare il popolo ucraino che è nostro fratello, che vuole affrancarsi dall’impero russo del male, abbracciando i valori colorati, progressisti, giusti, dell’occidente. E poi abbiamo un sacco di badanti ucraine qui da noi, quindi sì, sono diversi dai palestinesi, dai siriani, dagli iracheni, dagli afghani, dai libici, dai malesi e dagli africani in generale. E dai curdi, perseguitati dalla Turchia pilastro fondamentale della NATO.

Per questo, per portare avanti il valore della giustizia, dobbiamo combattere affinché la Russia non vinca.

Questo è ciò che viene detto e ripetuto, dai capi di Stato, istituzioni comunitarie, NATO, media in generale.


Ma questa non è la verità. Questa è semplicemente la verità più semplice da far accettare ai cittadini, costretti così a sacrifici sempre più grandi, ancora non usciti dal dramma sociale e sanitario della pandemia. E’ la verità più semplice, anche perché le categorie di bene e male e di universalismo dei valori sono quelle che siamo più abituati ad usare. In realtà, sono le uniche che ci siamo potuti permettere negli ultimi 80 anni, ragionando in termini di politica internazionale.

La verità però è che Putin ha deciso di far saltare il banco, l’ordine economico mondiale garantito dall’assetto geopolitico, militare. Lo ha detto esplicitamente.

Questo ordine è frutto della storia, in particolare di due momenti precisi: il primo fu la conferenza di Yalta del 1945, mentre la seconda guerra mondiale si avviava a conclusione, quando USA, URSS e UK si spartirono, righello alla mano, l’intero globo. Il secondo momento coincise invece con il suicidio dell’URSS, per mano di quel Gorbaciov che è tanto incensato in occidente quanto disprezzato e sbeffeggiato in Russia. Sotto la spinta delle repubbliche separatiste (ricorda nulla di attuale?), l’Unione Sovietica si dissolse, tornò la Russia, ridimensionata nello spirito e nell’economia, bastonata duramente, potenza sconfitta nella contesa della guerra fredda.

A distanza di 30 anni, dopo una fase si assoluto predominio americano sull’assetto mondiale, i russi hanno deciso di far ripartire le lancette della Storia. Ma il punto non è cosa vogliano fare i russi e tantomeno Putin. Quello che conta sono i BRICS.

BRICS
I capi di Stato durante una riunione dei BRICS

Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica. Il consesso dei BRICS si forma come risposta al G8 (adesso G7, la Russia è stata fatta fuori dopo aver annesso la Crimea) da parte di paesi accomunati da due fattori decisivi: economie non di primo livello, ma in sviluppo e grandi potenzialità in termini di popolazione e territorio. La Russia ha lanciato il guanto di sfida agli USA. I BRICS sfideranno il G7?

In sostanza, i BRICS si stanno iniziando a proporre come nuova alleanza che può sfidare il dominio geopolitico degli americani e dei suoi stati vassalli. Sfidando la centralità del dollaro. Forti dello sviluppo demografico, dell’odio che serpeggia in larghe fette del pianeta nei confronti del centenario imperialismo occidentale, forti delle materie prime e persino, soprattutto nel caso della Russia, delle opportunità che può aprire il cambiamento climatico.

Al momento però, il 60% circa dell’economia mondiale risiede ancora in occidente. Il predominio militare di USA e NATO è ancora intatto. Lo sviluppo tecnologico continua a propagarsi dagli USA, anche se, in questo campo, la Cina inizia a dare del filo da torcere, oltre ad essere ormai la seconda economia del mondo, subito dopo gli USA. Inoltre, tutta la filiera green riguardante la transizione ecologica necessita al momento di materiali su cui la Cina detiene il monopolio. In particolare per quanto riguarda le batterie elettriche.

L’inerzia demografica ed economica sembra arridere ai BRICS, anche se, ancora, il mondo è intimamente interconnesso ed una guerra fredda totale porterebbe danni sia al blocco occidentale che a quello dei paesi emergenti.

Non è facile quantificare, capire chi la spunterebbe. Sicuramente noi cittadini non siamo considerati sufficientemente intelligenti, preparati e soprattutto affidabili per poter accettare e comprendere tutto ciò, la verità. Non siamo considerati pronti per discutere di come stia cambiando il mondo. Il rischio infatti risiede in quello scomodo meccanismo che è la democrazia. Tanto bella ed efficiente in tempo di pace quanto deleteria e rischiosa in tempo di guerra, quando bisogna essere tutti uniti verso l’obiettivo e contro il nemico.

“Sì ok ma il titolo parlava d’altro, sennò così ci freghi: perché l’Italia è in guerra contro la Russia?”

Perché l’Italia ha un’autonomia strategica e militare limitatissima. Non può decidere da sola di muovere guerra contro un altro paese, ma non può neanche decidere di non farla se gli è esplicitamente richiesto. Questo perché abbiamo perso la seconda guerra mondiale, e quindi siamo stati, volenti o nolenti, costretti a sottostare militarmente (e di conseguenza economicamente) agli alleati. La cosa ci ha portato anche dei vantaggi, in certi momenti storici: gli imperi, e quello americano non fa eccezione, hanno bisogno di elargire benessere nelle proprie province, per evitare che sgomitino, che possano essere preda del nemico.

Quando si dice “la Russia sta provando ad infiltrarsi in Italia perché è il ventre molle dell’alleanza” si dice la verità, ma non si analizzano a fondo le cause: l’Italia sta ai margini dell’impero americano dal crollo del muro di Berlino, ovvero da quando, geopoliticamente, è divenuta molto meno importante per la tenuta dell’impero stesso.

L’UE, in realtà, altro non è che una succursale dell’impero, un’istituzione il cui unico scopo è quello di mantenere e promuovere i dogmi del capitalismo liberista e di allineare le categorie europee a quelle americane. Oltre, soprattutto, ad evitare l’insorgere di un paese egemone nel contesto europeo (la prima conseguenza della guerra è stata il blocco del gasdotto nord-stream 2, con buona pace dell’interesse nazionale tedesco). L’Italia è ai margini pure dell’UE, purtroppo, e la politica economica comunitaria, la gestione monetaristica dell’Euro, l’applicazione del trattato di Maastricht, hanno determinato un continuo impoverimento del nostro paese rispetto ai vicini. Questo è evidente guardando l’andamento del PIL negli ultimi 30 anni, ma ancora più se si osserva la variazione del reddito medio, paragonata al resto d’Europa.

variazione stipendio medio
Un grafico impietoso: l’Italia è l’unico paese in cui gli stipendi sono diminuiti negli ultimi 30 anni

E gli italiani lo sanno, se ne accorgono anche se non conoscono la politica internazionale o le regole dell’economia su macro-scala. Basta vedere un grafico dell’andamento degli stipendi per capire la situazione. Come si fa a stupirsi che l’Italia sia “il ventre molle dell’occidente”?

La Germania ha fatto lo storico passo di procedere verso il riarmo. La Francia prova, come sempre, a costruirsi uno spazio di autonomia nei confronti degli USA, provando a rilanciare un europeismo a trazione 4X4 (QUAD: Francia, Germania, Italia e Spagna).

E noi? Quali sono le nostre prospettive, le ipotesi possibili?

A noi cosa cambia se la Russia si prende il Donbass? Le sanzioni hanno un senso pratico? In cosa e verso quali paesi la nostra economia è dipendente? Quale architettura securitaria sarebbe per noi più vantaggiosa? NATO? NATO allargata? Difesa comune europea? Per noi sarebbe vantaggioso se l’Ucraina entrasse nell’UE? Perché invece altri paesi in Europa sono contrari? Come cambieremmo i trattati comunitari se ci fosse data carta bianca? E soprattutto, alla luce degli enormi stravolgimenti in atto, qual è e quale sarà, il nostro posto nel mondo?

Nessuna di queste domande è retorica. Al momento si danno però solo risposte basate su criteri morali, anche piuttosto infantili: “è stato prima lui ad attaccare! Sì però l’altro l’ha provocato” oppure il sempreverde e tombale “noi stiamo dalla parte delle democrazie liberali punto e basta”. Come se democrazia non significasse autogoverno di un popolo informato che ha il potere di decidere.

La politica è l’arte della mediazione, del compromesso. E la politica internazionale, coi suoi rapporti di forza, non fa eccezione. Come si fa a mediare col resto del mondo se non sappiamo neanche di cosa avremmo bisogno?

L’Italia è chiamata ad un cambio di passo, la politica internazionale non può più essere analizzata con distacco pratico ed emotività ideale. Ne va della nostra sopravvivenza come Stato e come individui. Ne va del nostro futuro. Ne va della nostra sovranità popolare e quindi della nostra democrazia. Anche e soprattutto la sinistra deve ricominciare a parlare di interesse nazionale: questo non vuol dire che esista solo ed esclusivamente quello, e neanche che l’interesse nazionale sia univoco, però dobbiamo avere chiaro in mente che questo esiste. Che gli Stati esistono sempre. Che il nostro spazio decisionale democratico è quello statale, fin quando almeno non esisteranno gli Stati Uniti d’Europa.

Riconoscere l’interesse nazionale e l’esistenza dello Stato non significa necessariamente dover attuare politiche nazionaliste, anzi: l’ideologia europeista non ha solo basi valoriali (puntualmente messe in discussione dai paesi dell’est, tra l’altro) ma si fonda invece sulla constatazione che i singoli Stati, da soli, non possono competere col resto del mondo, con paesi che hanno 10 volte la popolazione dello Stato più grande dell’Unione. Oltre ad essere destinati alla guerra, se non uniti centralmente da politiche che perseguano l’interesse comune a tutti i popoli.

Bisogna essere realisti, certo, tutto ciò che è reale è razionale, ha delle basi razionali, delle ragioni che portano alla sussistenza di un ordine. Però anche tutto ciò che è razionale è reale. Tutto ciò che può essere pensato riguardo al futuro, può essere realtà di domani. Ovviamente, bisogna partire dalle condizioni iniziali, dalla realtà di oggi.

Dobbiamo recuperare un’accezione (pro)positiva del termine “realismo”, uscendo dal circolo vizioso autolimitante del “non si può cambiare nulla”.

Questo, almeno, se vogliamo provare ad essere un minimo padroni del nostro destino. O quantomeno avere ben chiaro quali siano i motivi per cui, forse, al momento non possiamo fare altro che accodarci alle decisioni prese da altri. E gettare le basi per far sì che un domani sia nuovamente possibile essere padroni del proprio destino.

Tra meno di un anno ci sono le elezioni politiche, probabilmente le più importanti della storia repubblicana: se vogliamo votare sui temi che contano, che cambieranno le nostre vite, sta a noi tutti pretendere che il dibattito pubblico e l’informazione mainstream si occupino della sostanza, lasciando perdere inutili moralismi e infantili quanto rassicuranti manicheismi.

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Giovanni Sofia

Livornese, presidente di Uninfonews dal 2021, classe '92, progettista meccanico, laureato in ingegneria aerospaziale all'università di Pisa, pallanuotista. Interessato alla politica, l'attualità e la meteorologia. Ma anche a cose più normali.

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