In questi mesi l’intento della rubrica “Guerre Dimenticate” è stato quello di mettere in luce alcuni conflitti della storia recente, legati da un’unica e paradossale caratteristica: sono o sono stati volutamente ignorati dai principali mass media occidentali.
Questa riflessione conclusiva, contrariamente agli articoli precedenti dove sono state messe in luce le ragioni contingenti dietro a questi silenzi, ha come scopo quello di dare un ordine e un senso a tutte le nozioni via via introdotte, razionalizzando i concetti trovati lungo questa impervia via.
Le principali ragioni che hanno prima prodotto e poi consolidato quest’assordante silenzio informativo sono legate al:
- Fallimento dell’ideologia, prima ancora che strategia, di “Esportazione della Democrazia” in Somalia, Iraq e Afghanistan attraverso forze di occupazione terrestri
- Incapacità da parte di Stati Uniti e Unione Europea di far fronte ai compiti di politica estera derivanti dalla posizione di “Leaader Mondiali” e il Caso Siriano è emblematico.
- Una repulsione oramai stratificata in tutta la società Occidentale, Stati Uniti compresi, nei confronti dei conflitti, spogliati di quell’ aurea eroica tipica del XX Secolo e inquadrati in un’epoca storica definita da Edward Luttwak come “Post-Eroica”.
Concetto cardine dei conflitti “Dimenticati “ è l’ “Esportazione della Democrazia”, ossia il tentativo di instaurare regimi democratici in luogo di precedenti governi ostili all’Occidente.
Dal crollo dei regimi a socialismo reale gli Stati Europei, forse più per debolezza interna che per scelta strategica, non hanno mai promosso autonomamente operazioni militari dirette a “Esportare la Democrazia”, contrariamente agli Stati Uniti da sempre più propensi ad appoggiare iniziative di questo genere; solo con Bill Clinton e il fallimento della missione di pace in Somalia anche gli americani si sono convinti delle difficoltà intrinseche legate a questa ideologia, destinata all’insuccesso se non supportata da un “humus” socio-culturale adeguato.
L’attacco alle Torri Gemelle avvenuto l’11 settembre del 2001 sotto la Presidenza Repubblicana di Bush Junior ha tuttavia riportato in auge posizioni favorevoli a promuovere la democrazia negli stati ostili all’ Occidente.
L’ ”Esportazione della Democrazia”, al contrario dei luoghi comuni Europei che la bollano come messa in atto da persone prive di cultura e militariste, ha ritrovato proprio in quegli anni un forte e rinnovato appoggio tra intellettuali e analisti americani. L’Establishment repubblicano s’illuse dell’efficacia di questa vera e propria ideologia tanto da vederla non più come un’opzione geo-politica quanto un vero e proprio dovere, discendente dalla posizione di supremazia degli Stati Uniti sul mondo.
Washington era tenuta a intervenire ove regnasse caos e anarchia per portare ordine e pace, questo con o senza l’aiuto degli Stati Europei, relegati al ruolo di semplici subalterni, e il fallimento della missione in Somalia era stato solo un evento episodico.
In questo modo nacquero le guerre in Medio Oriente e per questa ragione negli anni zero del Duemila l’Occidente ha inseguito uno spettro dal volto mutevole chiamato terrorismo.
Nel 2004 Francis Fukuyama, uno dei più celebri politologi statunitensi nonché docente universitario a Stanford, nel tentativo di descrivere l’esperimento americano in Afghanistan e in Iraq scrisse il saggio Esportare la democrazia. State-building e ordine mondiale nel XXI secolo in cui introduceva per la prima volta questo impianto ideologico mettendone in luce i processi e le debolezze.
Secondo Fukuyama, l’esportazione della Democrazia può giungere a successo se sono rispettati due stadi:
- State Building: L’istituzione di strutture di governo centrali quali, ad esempio, un Parlamento, una Corte Costituzionale e via dicendo
- Nation Building: La possibilità che queste strutture di governo esercitino un potere effettivo sulla popolazione e godano di una legittimazione popolare.
L’ “Esportazione della Democrazia” ha funzionato solo in contesti affini a quello anglo-americano, in cui la costruzione di una “Nazione” poteva godere dell’appoggio popolare di tutti i ceti sociali; al contrario, in Medio Oriente questo processo si è scontrato con un “Humus” socio-culturale del tutto antitetico, fondato su lotte tribali, assenza di potere centrale e di tradizioni comuni.
L’incapacità crescente da parte dell’Occidente di curare gli affari esteri e il diffondersi di un sentimento “Post-Eroico” ostile a nuovi conflitti hanno poi aggravato la situazione, al punto da costringere dalla fine degli anni Zero prima gli Stati Europei e poi gli Stati Uniti a ritirare gradualmente le truppe presenti in Medio Oriente.
Come questi fatti dimostrano, l’attuale periodo storico è sotto tutti i punti di vista un’epoca di transizione economica, sociale e geo-politica, nuovi paradigmi stanno sorgendo e, nel giro di qualche anno, il mondo ci sembrerà radicalmente diverso rispetto a quello di poco tempo fa.
L’Occidente può solo prenderne atto, imparare finalmente dai suoi errori e iniziare a guardare il globo con occhi diversi, non più improntati a una logica in cui l’Europa e il Nord-America sono il globo civilizzato e il resto è inciviltà, situazione di fatto oramai svanita. Questo non significa scadere nell’eccesso opposto, dimenticare i meriti di una cultura in grado di elaborare il concetto di democrazia e di diritti individuali ma, proprio per conservare le passate grandezze, un cambio di passo è necessario.
Gli Stati Uniti e l’Europa, necessariamente unita, devono incamminarsi lungo nuove vie e nuovi sentieri, solo in questo modo il futuro potrà essere ancora radioso.
Giulio Profeta giulio.profeta@uninfonews.it