Penny Dreadful : Grand Guignol
Vanessa, dopo notti insonni e giorni passati nella più cruciale sofferenza, pare momentaneamente aver debellato il male al proprio interno e, dopo una visione onirica, sembra aver scoperto il luogo in cui Mina Murray, la figlia di Sir Malcom, si nasconda, prigioniera di nefaste entità. Quest’ultimo, rivelate le sue vere intenzioni alla pupilla nonché amica (devota) della propria secondogenita, è intenzionato a riunire l’intera squadra per sconfiggere la legione di vampiri che si sta, lentamente, insinuando tra le strade di Londra, senza, tuttavia, contare i rischi e le conseguenze delle proprie azioni, un assalto all’arma bianca a base di piombo in piena regola. Nel frattempo Ethan Chandler non solo deve fare i conti con Bruna, la fidanzata morente di turbecolosi, che arrivato il momento in cui esalerà l’ultimo respiro verrà assistita dall’amico di questi, Victor Frankenstein, ma rimane osservato e braccato da dei suoi compatrioti intenzionati a riportarlo in America per ragioni poco chiare e tutt’altro che amichevoli. A
Che questo episodio godesse di un’alone malinconico ed a tratti nostalgico poteva essere concepito fin da subito, in fondo tutta la serie abbraccia in modo romantico e decadente la figura della morte e lo stato d’animo dell’uomo in una società letteralmente divisa tra passato e modernità, tuttavia, Grand Guignol si rivela, ancora una volta, un qualcosa capace di andare oltre le proprie aspettative e non si vergogna nel mettere in tavola tematiche o aspetti interessanti, momenti importanti non tanto ai fini dell’episodio stesso, ma creati piuttosto per uno svolgersi degli avvenimenti nel futuro, ancora a noi ignoto, che riguarderà lo show.
Logan distribuisce ai suoi personaggi un ritaglio di tempo eguale, all’interno del quale ognuno di essi combatte con i propri incubi e paure, questa volta non astratte o psicologiche, lontane dai nefasti turbamenti dello spirito, ma demoni riflessi in una modernità che li trascinerà affondo nell’abisso dell’oblio e della paura, che li schiaccerà in quanto esseri straordinariamente, ma diversi (e per questo unici) di un mondo tanto crudele e cinico, capace di mascherare la propria natura dietro la maschera del progresso.
La Creatura, o per meglio dire Calibano, rimane tutt’ora il personaggio migliore dell’intera rosa proposta, non tanto esteticamente, per la sua presenza sulla scena, perché di mostri e atrocità i nostri occhi sono allenate a vederle di continuo, ma per il suo background narrativo e per le riflessioni che fuori escono dalla condizione in cui, il primogenito di Frankenstein, è costretto a vivere. Egli, nel suo essere diverso, ha sempre mostrato umanità e compassione, contrapposta a frustrazione e crudeltà in determinati frangenti, venendo alla luce del sole come un uomo irrequieto incapace di comprendere la propria natura, di capire se di far parte della luce o delle tenebre; un dipinto, questo, che si distacca dalla figura omonima creata dalla scrittrice Shelley, ma che al contempo resta incastonato perfettamente in una cornice come quella vittoriana, condensata con un insieme di elementi
Con questa presa di coscienza, la Creatura si immola quale protagonista di livello nettamente superiore agli altri, richiamando a se quel verso lirico che ben si sposa quando si attinge alla letteratura del tempo, ad opere quali Il Paradiso Perduto o a Keats, arricchendo il tutto di sfumature realistiche che portano a credere fin da subito a quel che siamo messi davanti, mostro o uomo. E’, come è già stato detto nelle settimane precedenti, l’elemento più Burtoniano dello show, e persino quel che interagisce con esso richiama gli echi della poetica di Burton, senza però, è bene chiarire, mettere mai in ombra la vera struttura fisica e descrittiva del mostro di Frankenstein, oggi ancora affascinante, orribile, sofferente e terribilmente attuale.
Nel dare un giudizio complessivo all’intera opera e non solo all’episodio finale, bisogna fare i conti anche con i comprimari che hanno preso parte alla prima stagione di Penny Dreadful, laddove Bruna resta purtroppo tutt’ora un personaggio poco interessante, che forse proprio con Grand Guignol acquisterà, più in là, spessore, la stessa cosa non si può certo dire per Dorian Gray. Il gentiluomo creato dalla mente di Oscar Wilde fin da subito non ha convinto appieno, non tanto per la sua impostazione, piuttosto per il modo in cui questo è stato rappresentato, leggermente stereotipato e di difficile lettura, sebbene indubbiamente la controparte di carta offra ben poche nuove ed originali interpretazioni ed il dandy ai giorni nostri rimane un qualcosa che potremmo affiancare all’essere snob. Fortunatamente Reeve Carney ha cercato di mostrare, con i suoi sforzi, non tanto il lato oscuro di Dorian, quanto la sua natura uaman, nel modo più oggettivo possibile, portando sulla scena un uomo misterioso, capace di trasudare modernità e al contempo risultare palesemente figlio del proprio secolo. In definitiva Dorian Gray rimane, anche con gli eventi di questa momentanea conclusione, il protagonista meno interessante ed approfondito, su cui aleggia il dubbio, data le poche sfumature o dettagli meno accattivanti rispetto ai “colleghi”, sebbene resti il più attraente solo dal punto di vista estetico e siano state affidate a lui una manciata delle sequenze più coinvolgenti dello show.
Quel che in Grand Guignol funziona è ovviamente la climax finale, certo, ma se osservata con attenzione ci si renderà presto conto che questo è anche un elemento che mostra una duplice utilità, risultando essere un arma a doppio taglio. Non siamo messi di fronte ad uno scontro tra le forze del bene e del male in maniera definitiva, così, il risultato definitivo appare, sì entusiasmante e pieno di pathos, ma indubbiamente misurato, senza esagerazioni o prolissità. Il punto “critico” è proprio nella rivelazione conclusiva, troppo tirata via e di certo meno interessante di quanto Logan era riuscito a farci credere. Mina finalmente si mostra agli occhi di suo padre Malcom come una figlia dell’Oscurità, ma il dialogo tra lei e quest’ultimo è assai risicato, scontato e di certo poco memorabile. Un peccato, dato che attorno alla figura di lei si era venuto a creare uno degli obbiettivi e fili conduttori narrativi principali della stagione.
Grand Guignol si rivela, in definitiva, essere un episodio finale di ottima qualità, ma nettamente inferiore alle aspettative che la serie era riuscita creare nello spettatore, questo perché, pur aumentando la posta in gioco, e creando interessanti collegamenti ad una seconda stagione imminente, a venir meno è il focus nel quale si sarebbe dovuta concentrare questo final season, a cui era dato il compito di rispondere a domande portate avanti ormai da settimane e che necessitavano di risposte un po’ più corpose e precise. Sebbene John Logan non abbia curato al meglio lo scontro conclusivo, procrastinando, si spera, il momento fatidico, e preannunciando elementi futuri che si evolveranno in seguito, l’ultima puntata di Penny Dreadful viene a mancare solo in questo frangente, continuando, per tutti gli altri aspetti, a stupire e interessare, dando prova di saper dove andare a parare e quale via intraprendere; era logico, forse, aspettarsi un po’ più di dramma e azione nelle sequenze importanti qui proposte, e la delusione,
In tutto questo, la domanda posta da un ministro della chiesa a Vanessa, nell’ultima scena, ormai decisa a farsi esorcizzare, aleggia nell’aria e nelle nostre orecchie anche dopo aver visto i titoli di coda come una condanna ed un monito: E’ una scelta saggia perdere il privilegio di essere stati toccati dal Bene o dal Male ed essere diversi?
Voto: 7.5 (su 10)
*Tutte le altre recensioni incentrate su gli episodi precedenti di Penny Dreadful potrete trovarle sulla pagina Facebook “Il Gufo Pigro” ed il blog Tumblr “La Wunderkammer del Gufo Pigro”.