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Noi (Us)

Noi (Us)

1986, Santa Cruz. La piccola Adelaide Thomas sta passando una tranquilla serata estiva al luna park sulla spiaggia con i propri genitori, quando i due decidono di lasciarla svagare tra le tante attrazioni in solitaria la curiosità la spinge ad entrare in un baraccone dei divertimenti. Ignara di cosa andrà trovando s’imbatte in una bambina dalle fattezze somatiche pressoché identiche alle sue.

Anni dopo, ormai adulta, torna con la propria famiglia nel medesimo luogo. Per quanto tutto sembri andare per il meglio, al calar del sole quattro strane figure si presentano nel viale della sua proprietà, quattro sinistre presenze tutt’altro che amichevoli venute a dare la caccia ad Adelaide, suo marito ed i suoi figli.

Jordan Peele aveva svolto un lavoro soddisfacente nell’acclamato Scappa – Get Out, dove si era preso a cuore il desiderio di raccontare la perversione dell’America bianca contrapposta al continuo terrore della popolazione di colore vittima di abusi e soprusi, preda perenne ormai costretta a convivere con uno status quo di essere inferiore, serva dei vizi e dei desideri di quel mondo white apparentemente avvolto da una patina di perbenismo borghese.

Con Noi Peele lascia da parte gli elementi thriller e alza ancora di più l’asse delle proprie ambizioni costruendo una storia che si pone allo spettatore su più livelli di fruizione ed interpretazione e nel farlo riesce con efficacia ad appagare in toto a seconda di quello che questi riesca a cogliervi all’interno della pellicola.

Us stratifica la sua natura e offre registri cinematografici multipli, non si affossa né affonda in un paradigma di genere preciso, ma contamina, sia nella messa in scena che nei contenuti, numerosi particolari e sfumature che lo portano a dar luce ad una armonia tra materia narrata, immagine, interpretazioni e suono, di notevole impatto.

Si può percepire una denuncia all’America moderna dal punto di vista razziale, elemento talmente radicato nella cultura americana da non poter essere assente, ma il cuore del progetto resta la critica sociale al cui centro vi è l’uomo e la donna odierni.

Noi gioca sulla simbologia del doppio e del contrasto tra entità, applicando una scissione precisa tra classi a cui segue un’altra scissione interna tra coloro che fanno parte dello stesso ceto.

Perché il terrore che alberga in ognuno di noi è messo in contrapposizione alla presenza degli altri. Ad un “noi”, al cui interno si cela uno spirito di conservazione ontologico, segue di pari passo il manifestarsi di un “loro”, i quali incarnano la vera minaccia verso ciò che siamo.

Al di là di una dicotomia manichea che vede contrapposti bene e male, Us scava nel marcio che si annida nell’animo umano attraverso soluzioni narrative interessanti: per Peele la paura non ha bisogno di arrivare all’improvviso, non può essere fine a se stessa. Essa è sinonimo di inquietudine e disagio, deve trovare il proprio tempo e godere di un processo di maturità tale da rendere partecipe e cosciente lo spettatore di ciò che sta per accadere.

Ciò che infatti i protagonisti temono maggiormente sono i loro stessi alter ego, la metafora che questi rappresentano: entità sconosciute che vogliono prendere il loro posto nel mondo, a cui segue il terrore di perdere ogni bene materiale, quei beni di necessità tanto scontanti ma essenziali per essere parte di una categoria precisa: perché borghesi non lo si è davvero se non attraverso una politica materialista laddove il guadagno è la vera moneta di scambio attraverso cui si può assurgere ad un rango più alto.

Si può inoltre notare un’ironia pungente nel constatare che una famiglia nera non possa, per quanto ricca, mai eguagliare i lussi e le comodità di una bianca. I neri sono destinati a vivere in un’eterna illusione di successo, anch’essi “altri”, nonché doppi in brutta copia dell’ideale incarnato dall’uomo bianco.

La figura del doppelanger, in letteratura così come nell’arte pittorica, al cinema ed in tv, resta un topos ormai abusato (basti pensare a quanto David Lynch abbia fatto con Twin Peaks)  sebbene goda di un dinamismo metaforico che alimenta un senso di disagio sopito in ognuno di noi.

L’istinto di sopravvivenza sembra e vuole sempre condannare un nostro sosia, la paura che un clone sostituisca chi siamo logora molto più di quando veniamo sostituiti da chi è diverso esteriormente ed esteticamente da noi: migliore o peggiore che sia.

E’ una forma di egoismo annidato nell’animo umano, qui costretto a far emergere una natura animalesca la quale non sembra appartenere ad Adelaide e la sua famiglia, inizialmente opposta all’atteggiamento selvaggio dei loro doppi, ma che poi, con il passare del tempo, fuoriuscirà e sarà sempre più evidente.

Per questo motivo Peele non condanna appieno la follia di chi è (apparentemente) come noi, perché in fondo altro non è se non il risultato di un’educazione diversa, estranea alle regole a cui la società ci ha abituati, alieni ma, ciò nondimeno, allo stesso tempo in linea con la natura dell’uomo, anzi manifestazione esplicita di umori in noi repressi.

Non bastasse questa cinica osservazione su ciò che ci ha portati ad essere ciò che siamo, Noi regala un ultima scena rivelatrice di grande impatto.

Coerente con se stesso fino all’ultimo fotogramma, Us sottolinea quella disparità sociale e rafforza la denuncia di cui si fa portavoce con un ultimo colpo di scena d’effetto trovando una chiusura prevedibile ma non meno efficace, enfatizzando il concetto di intercambiabilità e diversità. E’ una conclusione poco originale per coloro i quali hanno un minimo di dimestichezza con l’oggetto della materia narrata, i doppi, ma non per questo penalizzante.

Noi è un prodotto che sa rimanere al passo con i tempi anche nella gestazione dei personaggi, trovando il coraggio necessario nell’affidare le redini dell’intero intreccio narrativo ad una figura femminile, Adelaine, e che gode di una regia di grande impatto, maestra nel saper emulare i grandi autori del genere del passato. Un lavoro raffinato che si percepisce anche nella fotografia: l’uso delle luci è essenziale per delineare i contorni deformi degli “altri”; così come nella scelta dei brani della colonna sonora, specie nella seconda parte dove musica e immagini si uniscono in modo armonico facendo scivolare l’elemento di disturbo dall’organo degli occhi a quello dell’udito.

Grazie a questa disamina crudele, ma niente affatto didascalica, che Peele fa della società americana, Us è uno degli horror migliori degli ultimi anni, grazie anche a tutti quegli “altri” elementi che convivono con la sua natura madre senza indebolirla, contribuendo a dargli un respiro più ampio sotto il profilo dei contenuti.   

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