Che si tratti di Buona Scuola, di Italicum, di Job Act o di riforme costituzionali, la minoranza del Partito Democratico ha sempre manifestato la sua contrarietà per poi votarle in un secondo tempo per “ disciplina di partito“. I nuovi malumori derivano proprio dalle riforme costituzionali, o meglio dal referendum confermativo che si svolgerà il 4 dicembre. Se la linea del partito è di votare e sostenere il Sì, negli ultimi mesi i rappresentanti della minoranza tendono al No. Però non tutti, poiché in questa divisione non c’è unità: per esempio Pier Luigi Bersani si è espresso nettamente per il No solo nelle ultime settimane, invece Massimo D’Alema è da subito per un secco No. Non più incerta è la volontà di Gianni Cuperlo, spedito come pontiere dopo l’ultima direzione del PD per cercare una mediazione tra la minoranza e il resto del partito, il 29 ottobre è sceso in piazza del Popolo assieme a Renzi e tanti altri esponenti per il Sì.
Difatti, in seguito al documento siglato tra il Premier e la minoranza, Renzi si impegnerebbe a stralciare il doppio turno dalla legge elettorale, fare dei collegi uninominali, designare il premio di maggioranza alle coalizioni e non più ad unica lista. In questo accordo scritto, che nessuno ha ancora potuto visionare, il segretario PD avrebbe aperto pure all’elezione diretta dei senatori, cedendo praticamente a tutte le richieste di modifica della minoranza. Il problema è che non essendo stato nemmeno presentato un disegno di legge, queste promesse sono al quanto velleitarie poiché non vincolanti. Chi chiedeva una modifica dell’Italicum prima del voto, per l’effetto del combinato disposto con le riforme costituzionali, ovviamente non si è trovato soddisfatto da questo compromesso. Il combinato disposto sarebbe l’azione congiunta della legge elettorale e della nuova Costituzione, attraverso cui una minoranza, nel caso vincesse al doppio turno, potrebbe formare un governo monocolore non avendo più una serie di contrappesi. Malgrado ciò lo spazio di manovra non avrebbe permesso maggiori garanzie, sia per il poco tempo a disposizione che per i numeri fondamentali in Parlamento, i quali oggigiorno non ci sono. Perciò viene spontaneo chiedersi come mai lo strappo sia avvenuto in prossimità del referendum e non prima, ovvero durante le 6 votazioni in Parlamento. Al di là del merito sulle riforme, anche chi le ha sostenute con scetticismo, con quale coerenza può osteggiarle adesso, usando pure argomentazioni condivisibili? Che rispecchi la realtà o meno, l’idea che si è fatta buona parte dell’elettorato di centrosinistra è quella di una ex-dirigenza rancorosa, disposta a fare di tutto per tornare alla leadership del partito. Perciò la spinta effettiva che Bersani, D’Alema & Co darebbero alla causa del No al referendum è al quanto discutibile. Viene da chiedersi dunque se dietro a tale scelta, sia velata l’intenzione di aiutare indirettamente il fronte del Sì, oppure il proposito di preparare il partito ad una eventuale vittoria del NO. In questo possibile scenario la minoranza sfrutterebbe l’onda del momento per chiedere il congresso anticipato del PD, in modo da tornare al potere approfittando di un momento di debolezza del Premier. Dunque, più che una posizione dettata da un’analisi sui temi e sui contenuti di questa revisione costituzionale, la minoranza sembra essere guidata da un cieco tatticismo politico.
Tuttavia nell’adozione di tale decisione è in buona compagnia: come non ricordare personaggi quali Quagliariello, ex membro della maggioranza, oppure l’intera Forza Italia, che all’inizio hanno scritto, condiviso e votato l’intera riforma costituzionale, ricredendosi nelle ultime votazioni? Questa riforma costituzionale, così come l’Italicum, è figlia del patto del Nazareno stipulato tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi e tale esigenza è nata durante il (secondo) discorso d’insediamento del Presidente Napolitano.
Con l’istituzione dei saggi in un primo momento e poi attraverso quel duro intervento scagliato contro l’immobilismo dei parlamentari, la riforma costituzionale è diventata una materia prioritaria sia per il centrosinistra che per il centrodestra. Così come Napolitano aveva unito, Mattarella ha segnato una frattura insanabile. Infatti in seguito della sua elezione Berlusconi si è tirato indietro e quindi ha abbandonato l’ultima fase del percorso di modifica costituzionale. Questa motivazione sarà sufficiente al suo elettorato per scegliere il No al referendum? Matteo Renzi ne dubita e per recuperare consensi strizza l’occhio al mondo della destra, il quale a causa della sua pronunciata frammentazione è orfano di un capo che la possa guidare e riunificare. Dunque per scoprire cosa accadrà al Partito Democratico, al governo e all’opposizione occorre attendere gli esiti della consultazione popolare del 4 dicembre!
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