1) Budget
Prima di entrare nel dettaglio della messa in scena, voglio richiamare alla vostra mente il c.d. teorema di Verdi: «se non hai i soldi per mettere in scena un’opera come si deve, non farlo!». Spesso registi & compagnie pretendono di allestire lavori che, nella loro natura, richiedono un budget più che sostanzioso. Onde per cui, se da spendere avete giusto due spicci lasciate perdere l’Aida! Scegliete altre cose, che non richiedano allestimenti milionari, come… che ne so… Così fan tutte. Il pubblico viene lo stesso e soprattutto non fate una figura da patacca se invece di una Marcia Trionfale come Dio comanda mettete quattro idioti con le palmette in mano;
2) Costumi & scenografia
Nelle opere è sempre importante che gli abiti di scena e la scenografia siano adeguati alla situazione. Cosa vuol dire questo? Che se non sono esattamente come li voleva il compositore, devono almeno sottolineare e chiarire quello che sta avvenendo in scena. Io, ve lo dico subito, appartengo al filone dei “tradizionalisti”: se un’opera è ambientata nel Settecento, per esempio, i cantanti devono essere vestiti in modo adeguato al periodo storico, così come la scenografia deve avvicinarsi il più possibile a quel periodo. Prendiamo di nuovo Così fan tutte: recentemente ho visto un allestimento a Lione, dove disgraziatamente era rappresentata ai giorni nostri e… in spiaggia. Ditemi voi che senso ha. Per carità, mi sono fatto delle grasse risate guardandolo, ma se avessi pagato il prezzo del biglietto avrei picchiato il regista con una cassetta della Traviata di Zeffirelli. Invece, nel 2008, ho assistito ad un Macbeth al Metropolitan Opera di New York che si presentava molto diverso da come l’avrebbe immaginato Verdi: armi automatiche e baionette, smoking e papillon, però devo dire che il tutto funzionava molto, molto bene. Non avevo difficoltà ad immedesimarmi nella scena, perché è stato rispettato lo spirito che Verdi aveva immaginato per l’opera;
3) Adattamento
Signori registi, non voglio sminuire le vostre facoltà intellettuali, ma vi suggerisco di tener presente che è assai probabile che compositore e librettista ne sapessero più di voi di quello che l’opera deve fare e deve comunicare. Per cui non dovete ficcare dei significati che non hanno nulla da spartire con l’opera, come in una Carmen vista pochi mesi fa in cui è stato pigiato a forza il “femminicidio” come significato di fondo. L’opera racconta già tutto ciò che deve raccontare. Non è necessario aggiungere altro. Inoltre degli adattamenti troppo forzati possono portare a degli errori macroscopici: ad esempio, il voler troppo attualizzare un’opera può far sì che degli individui vestiti secondo la moda del 2014 parlino, pensino e cantino come si faceva duecentocinquanta anni prima (di nuovo il Così fan tutte a Lione). Per concludere questo punto, voglio dare un innovativo suggerimento a registi & compagnia: la musica rispecchia il carattere dei personaggi; quindi, se nel secondo atto della Traviata si sente una musica truce e pomposa che segnala l’arrivo di papà Germont, è stupido che il suddetto papà entri in scena correndo come un demente. Capisco che il regista abbia una propria visione, ma la deve adattare a ciò che sta scritto nel testo, così come devono fare cantanti e direttori: un cantante non può arbitrariamente decidere di mettere un acuto dove gli pare, così come un direttore non può decidere di tagliare delle parti. Magari molti di voi diranno che queste cose le fanno solo gli scalzacani che fanno musica nel tempo libero, ma se andate ad ascoltare la registrazione del Rigoletto diretto da Tullio Serafin con Maria Callas e Tito Gobbi (che non sono esattamente schiccia del ponte), troverete tutte queste cose. Purtroppo è una assai becera consuetudine;
4) Canto & recitazione
Questo è un compito che spetta più che altro al direttore (d’orchestra), ma spesso e volentieri ci mettono bocca pure i registi, quindi è bene mettervi a parte di qualche segreto: non tutti i cantanti sono adatti a tutti i ruoli. Esistono dei cantanti che possono ricoprire ruoli mozartiani o rossiniani, ma che devono scappare da Verdi e Wagner come dalla peste (e viceversa), perché il tipo di timbro vocale non è adatto. Quindi è perfettamente inutile che pestiate i piedi per avere quel determinato cantante per quel determinato ruolo: se può farlo, ok, sennò lasciate stare perché, ve lo garantisco, verrà un pattume. Così come è inutile che vogliate avere quel certo cantante come protagonista se la tessitura vocale non è quella giusta. Per il bicentenario della nascita di Verdi è stato girato un film dal nome Rigoletto a Mantova, perché altro non è che un allestimento del Rigoletto in quel di Mantova, dove purtroppo la parte di Rigoletto (baritono) la faceva Placido Domingo (tenore). Quel che è venuto fuori da quel film non si può descrivere se non come una cappa di sterco fumante. Altro «piccino piccino sebbene cruciale dettaglino» è la recitazione. Un cantante può avere la voce più bella di questo mondo, può essere il più virtuoso dei virtuosi, ma se ha l’espressività di Kristen Steward non vale una cicca. Spesso si tende a dimenticarlo, ma l’opera È teatro a tutti gli effetti, quindi la recitazione non dev’essere subordinata al canto, anzi deve essere efficace e curata tanto quanto il canto. Altrimenti la riforma wagneriana del teatro va beatamente a farsi friggere e gli spettatori possono tornare a staccare il cervello e battere le mani quando sentono due strilli.
5) Il direttore
Quando si allestisce un’opera ci sono due personaggi fondamentali. Uno è il regista, l’altro è il direttore d’orchestra. Ma queste due figure non devono lavorare separatamente o, peggio ancora, farsi la guerra: è necessario che collaborino, altrimenti la musica andrà in un verso e la regia in un altro e in questo modo verranno fuori tutte le magagne di cui sopra: entrate fatte a caso, cantanti scelti lanciando i dadi e gente che si crea le parti come se fosse ordinaria amministrazione. Naturalmente ci sono direttori che hanno nelle loro corde più un compositore che un altro, ma il suo apporto può essere determinante per il lavoro del regista, così come quello di entrambi è sicuramente determinante per la buona riuscita dell’allestimento. Non serve a niente fare i caproni e prendersi a reciproche capocciate. Se la musica ci ha insegnato qualcosa è il valore dell’armonia e che ognuno faccia la propria parte (anche in senso letterale), senza cambiare nulla. Questa non è una delle tante vie per creare un allestimento degno di questo nome. È l’unica.
Luca Fialdini
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