I colori e l’allegria della belle époque parigina incantano il Teatro Goldoni di Livorno nel Sì del regista irlandese Vivien Hewitt. L’operetta, figlia del genio creativo di Pietro Mascagni, ma (inspiegabilmente) a lungo trascurata, fu messa in scena per la prima volta nel dicembre 1919. Oggi torna nella Livorno del suo creatore per divertire ed incantare, almeno tanto quanto deve aver fatto quasi un secolo fa.
La trama, come abbiamo scritto nella nostra presentazione, è apparentemente futile e zuccherosa, come evidenziato dal direttore artistico del Goldoni Alberto Paloscia stesso: la protagonista è una diva delle Folies Bergère parigine, così nota per le sue facili avventure da essere chiamata dal demi-monde della capitale francese con il nome “Sì”. La giovane si innamora di un cinico viveur, Luciano di Chablis, che la sposa per superare un vincolo che gli impedisce di entrare in possesso di una cospicua eredità, sicuro di essere tradito e certo di potersene liberare al più presto per poter tornare alla propria vita di sfrenato libertino. Ma la vicenda ha uno sviluppo inatteso e intricato: mentre il dissoluto Luciano si innamora di una giovane ed avvenente telegrafista, Sì a sua volta, dopo il grottesco matrimonio, si accorge di avere scoperto il vero amore, non le resterà che tornare tristemente alla vita di sempre.
Nel primo atto, raffinato e leggero, vengono tratteggiati i personaggi principali, con le loro aspirazioni ed intenzioni, volte ad intrecciarsi in esiti imprevedibili. A fare da sfondo le scrivanie delle Poste di primo novecento, tra cui si nasconde la vera principessa de Chablis, nelle vesti di telegrafista. Le voci di Blerta Zhegu, Stefano Tanzillo e Dioklea Hoxha vibrano già forti ed incantevoli nella grande del teatro gremito.
Nel secondo atto, più intenso e spettacolare, anche grazie ad un allestimento scenico mozzafiato, si consacra il matrimonio tra lo spregiudicato duca e Sì nella cornice delle Folies Bergère. Ma anche l’amore che sboccia tra lo sposo e sua cugina della quale viene svelata l’identità.
Nel terzo ed ultimo atto, ambientato nella casa del bramato protagonista, si sciolgono i nodi delle relazioni in corso, con esiti dolorosi per l’ingenua Sì. Vittima di un gioco meschino perpetrato ai danni dei sentimenti puri d’amore che, per la prima volta, divampano in lei.
Potrebbe essere il soggetto tipico di un’operetta francese che punti sul più epidermico facile ricatto sentimentale. Ma Mascagni riesce ad evitare qualsiasi stucchevole o prevedibile banalità, tanto da innalzare la musica della Sì ed i suoi personaggi al rango di un’opera lirica vera e propria.
L’adattamento, figlio del magico allestimento del direttore Valerio Galli è una vera gioia per i sensi chiamati all’attenzione. Le straordinarie esecuzioni dei maggiori interpreti – il soprano Blerta Zhegu, Stefano Tanzillo (Luciano di Chablis), Dioklea Hoxha (Vera Principessa di Chablis), Matteo Loi (Cleo de Merode) e Veio Torcigliani (Romal) – incantano una sala colma di spettatori per il secondo spettacolo messo in scena al Teatro Goldoni. Ma l’intero cast tradisce una qualità fuori dal comune, consacrando l’esibizione ad essere ricordata a lungo. Merito di questo va anche alla masterclass condotta dal tenore Fabio Armiliato nell’ambito del Mascagni Opera Studio, il laboratorio di alta formazione vocale e interpretativa del Teatro Goldoni, mirato alla ricerca di interpreti vocali per il repertorio mascagnano e verista.
E’, infine, il talento di Sì, Blerta Zhegu, a riscuotere gli applausi più lunghi ed roboanti: l’intensità con cui impersona la ballerina delle Folies Bergère è ipnotizzante.
Le coreografie (Eva Kosa), che richiamano il musical americano, ed i costumi, meravigliosi, completano il quadro di una rappresentazione impeccabile, leggera e sorprendente. Una di quelle in grado di far innamorare della lirica il neofita, per la prima volta in teatro e capace, al tempo stesso, di continuare a stupire il più incallito ed esperto appassionato.
Lamberto Frontera
Comments