“Who do I call if I want to call Europe?” Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa? Questa frase attribuita a Henry Kissinger, il noto diplomatico americano, esprime alla perfezione la considerazione che questo paese ha di noi europei.
Se la frase un tempo poteva avere la sua valenza demistificante nei confronti della tanto annunciata unità federale europea, i passi compiuti oggi sono molti. E mentre almeno i più diligenti, tenendo conto della forma istituzionale, potrebbero rispondere a Kissinger componendo il numero di Jean-Claude Juncker, o di Federica Mogherini, io risponderei optando per un altro nome. Mario Draghi.
Rimasto orfano a soli 15 anni, una formazione accademica italiana, tedesca e americana, ex governatore della Banca d’Italia, con ruoli di primaria importanza nell’emanazione del TUF e di altre leggi in materia di aggiornamento del mercato mobiliare italiano, oggi Mario Draghi ricopre il fondamentale ruolo di governatore della Banca Centrale Europea.
Che Mario Draghi è il vero Mister Europa, lo si vede già, dall’accanimento con cui i giornalisti di tutti i paesi del mondo cercano di accaparrarsi le sue interviste e dalla foga con cui assistono alla conferenza stampa mensile della BCE, degna solo delle dichiarazioni rilasciate da Papa Francesco. Ovviamente questo è già stato recepito dagli interlocutori americani prima che potessi pensarci io o chiunque altro. Nei suoi passaggi americani, ora al Peterson Institute for International Economics, ora alla Brookings Institution gli interlocutori americani vedevano in Draghi l’unico leader europeo che lavorava solo per l’Europa e per l’euro piuttosto che per questo o quel paese.
Agli Stati Uniti d’America, com’è certo, si possono obiettare molte cose, ma in quanto a federalismo e unità nazionale noi europei dovremmo andare a lezione da loro almeno tre volte a settimana, tutti noi tranne Mario Draghi, che c’è già stato.
Nel lungo percorso verso l’unificazione europea, l’azione di Draghi rappresenta una svolta equiparabile a quella di Alexander Hamilton, primo segretario al Tesoro degli Stati Uniti che elaborò le fondamenta economiche del paese con la sua “triologia” scritta fra il 1790 a il 1793:
- a) sulla necessità di creare una Banca Centrale (che venne però oltre un secolo dopo);
- b) sul consolidamento del debito pubblico (dopo i forti indebitamenti per la guerra di Indipendenza dagli inglesi);
- c) sulle manifatture, sull’importanza di “proteggerle per rafforzarle”.
- C’era anche un quarto rapporto, minore, una zecca autonoma.
Per rafforzare gli “Stati Uniti”, Hamilton voleva centralizzare una serie di interessi economici sparsi nei vari stati all’interno del governo federale nascente. Come ricordano scienziati politici Hamilton divenne il “profeta” della rivoluzione industriale americana, furono le sue idee e il suo slancio a mettere l’America, di nuovo molti decenni dopo, nella condizione di esplodere dal punto di vista economico.
Proprio nella grande “centralizzazione” degli interessi, anzi degli strumenti di politica economica, possiamo riconoscere a Draghi i meriti più grandi per il suo impegno verso la costruzione di una vera Europa Unita e non soltanto ad imporre il primato dell’Eurozona (i paesi aderenti all’euro), come dicono i malpensanti.
Oggi in Europa manca ancora l’unione fiscale. Ma con la sua azione sul Quantitative Easing, con la sua dimostrazione di voler prevalere sugli interessi dei singoli stati per centralizzare Draghi ha mosso nuovi passi per rafforzare l’Unione e ha consacrato dei principi su cui c’erano molte resistenze. Afferma l’autonomia della BCE, cosa da cui non si dovrebbe mai tornare indietro, dopo i numerosi bracci di ferro degli ultimi mesi e anni.
Conferma che la Banca Centrale è davvero strumento per l’unificazione politica come immaginavano i padri fondatori. Diventa l’interlocutore più credibile in Europa, non solo per aver navigato con grande perizia le difficili acque della crisi e del conflitto politico, ma perché sul piano istituzionale europeo è l’unico in grado di poter esercitare una leva economica vera, in questo caso monetaria su cui può agire come abbiamo visto pochi giorni fa in modo quasi illimitato.
Da governatore della BCE, in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore il 28 novembre 2014, spiega che l’unico modo di superare la crisi economica è l’ulteriore accentramento degli strumenti di politica economica. Attualmente l’UE può decidere e operare in autonomia soltanto in campo di politica monetaria, secondo Draghi invece dovrebbero essere decisi a livello europeo anche le politiche fiscali, le politiche di bilancio e quelle dei redditi.
L’unico obiettivo dell’UE (in questo caso della BCE) non può essere quello della stabilità dei prezzi, l’unica via per creare un’equità sociale, una crescita del capitale reale e per favorire la cooperazione degli stati all’insegna di uno sviluppo sano dell’economia è la gestione di tutte le politiche economiche a livello sovranazionale.
È ovvio che quest’obiettivo non si può raggiungere se non lo si affianca a riforme costituzionali ed istituzionali dell’UE ma soprattutto non lo si può raggiungere senza creare la fiducia dei popoli dell’UE nelle sue istituzioni. Fiducia che è messa continuamente in crisi dal corso degli eventi. E infatti in un’Europa dove la cancelliera Merkel va a parlare con Putin in rappresentanza dell’Europa, al posto dell’alto rappresentante della politica estera Federica Mogherini, avere un Signore come Mario Draghi a decidere le politiche monetarie per tutta la zona euro, e non solo per il suo o un altro paese, è senz’altro una fortuna non da poco.
Simone Bacci
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