Finalmente una rappresentazione degna di aprire la stagione scaligera: dopo le orrende regie (e le dubbie scelte musicali) portate da Daniel Barenboim, dopo il Don Giovanni del 2011, la Traviata del 2013 e l’improponibile Fidelio del 2014, per non parlare della Giovanna d’Arco dello scorso anno – musicalmente valida ma impresentabile nell’allestimento – questa Madama Butterfly giunge come un sollievo prima ancora che come un trionfo. La regia intensa ma affatto invadente di Alvis Hermanis è assolutamente perfetta nel creare l’illusione dell’ambientazione nipponica, tra costumi curatissimi fin nei particolari i suggestivi scorci floreali; molto interessante la struttura su tre livelli rivestita da pannelli che richiamano sia i pannelli mobili giapponesi sia i dipinti di Piet Mondrian, da cui apparentemente la scena trae il suo ottimo equilibrio estetico.
Come l’apparato scenografico è stato curato in modo quasi maniacale, così la ricostruzione della partitura originale (oltre mille battute) è avvenuta con scrupolo filologico e coscienza artistica: non si tratta semplicemente di incollare i pezzi ma soprattutto di ricostruire una struttura coerente, tenendo conto del pathos che deve crearsi in scena; un’operazione mirabile, sublimata dal movimento della bacchetta del M° Riccardo Chailly, che ha diretto la meravigliosa pagina pucciniana con grande trasporto ed emozione. In questo è stato supportato in modo eccellente dalla Filarmonica del Teatro alla Scala che non ha mai battuto ciglio né avuto la minima esitazione nell’eseguire un’opera dalle molte insidie ma anzi è riuscita a creare sonorità di impareggiabile purezza, l’idea di esecuzione pucciniana insomma.
A completare la rappresentazione non poteva che esserci un cast artistico di prim’ordine. I cantanti meriterebbero di essere ringraziati uno per uno per l’altissimo grado di perfezione artistica raggiunto nella rappresentazione odierna, da Abramo Rosalen – lo Zio Bonzo, la cui voce da basso scura e penetrante lo rende assolutamente fantastico nel momento in cui scaglia l’anatema sulla povera Madama Butterfly – alla bellissima Nicole Brandolino (Kate Pinkerton) che, pur interpretando un personaggio con una parte molto breve, ha saputo catalizzare completamente l’attenzione del pubblico fin dal suo ingresso sulle tavole del Piermarini.
Il tenore Bryan Hymel non ha particolarmente brillato nel ruolo di F. B. Pinkerton, principalmente per il suo timbro vocale forse non particolarmente adatto al ruolo. Formidabile, invece, Carlos Álvarez: non solo il baritono spagnolo ha interpretato il ruolo del Console Sharpless da vero gentiluomo del belcanto quale egli è, ma la sua voce piena, corposa, che quasi si può toccare, ha innescato vibrazioni in corde davvero profonde dell’animo umano. Affascinante anche il personaggio di Suzuki che nelle sapienti mani di Annalisa Stroppa acquista rinnovato spessore e stupefacente comunicatività.
Tuttavia, l’incontrastata regina di questa prima scaligera del giorno di Sant’Ambrogio non può che essere la stessa Madama Butterfly, interpretata dal soprano uruguayano Maria José Siri. Al di là di quanto si possa parlare di interpretazione, di scuole di pensiero in materia di esecuzione o lettura filologica del testo, non si può che rimanere profondamente toccati dalla sua superba interpretazione di Cho-Cho-San ricca di sfumature dell’intonazione; tuttavia il suo timbro diviene assolutamente straordinario nel registro acuto dove si colora di armonici e assume una consistenza eterea e impalpabile.
Dato il risultato oltremodo eccellente di questa sera, non resta che augurarsi che le passate rappresentazioni del 7 dicembre non divengano altro che ricordi e che questa Madama Butterfly segni il ritorno del Teatro alla Scala ai suoi gloriosi fasti dei tempi di Muti e Abbado.
Photocredit: Teatro alla Scala, Milano
Luca Fialdini
luca.fialdini@uninfonews.it
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