Da almeno 150 anni, l’uomo vive un rapporto altamente contradditorio in relazione alle macchine: fondamentali ed ormai indispensabili per la vita quotidiana occidentale, odiate a perfino distrutte quando simboli dell’oppressione o quando usate per rimpiazzare l’uomo stesso.
Il tragico evento di Barcellonette, sulle alpi francesi, dove un aereo da trasporto della Germanwings si è schiantato contro una montagna a 700km/h, riporterà alla ribalta un tema ormai dirimente nel campo dell’aeronautica civile: i piloti servono sempre? Oppure è più sicuro volare senza?
L’ipotesi più accreditata al momento è che il copilota, psichicamente instabile, abbia deliberatamente condotto il velivolo contro la montagna, decidendo di uccidere se stesso ed altre 149 persone, effettuando una discesa controllata e relativamente lenta di modo da evitare che i computer di bordo correggessero l’assetto dell’aereo.
I principali mass-media e gli inquirenti stanno passando al vaglio, in questi giorni, la responsabilità della compagnia aerea, branca “low-cost” della Lufthansa, disquisendo su quanto il presunto suicida fosse malato e quanto Germanwings abbia soprasseduto: sembra infatti che Lufthansa abbia degradato ed infine spostato il copilota sulla compagnia satellite, se così fosse diventerebbe esplicito che volare low-cost non solo è più scomodo, ma anche meno sicuro.
Ma nonostante l’importanza dell’ultimo punto sia enorme, il punto focale, la vera questione è un’altra: nel mondo occidentale, ed in Europa in particolare, le normative ed i controlli che devono essere necessariamente rispettati per far volare un aereo, sono talmente stringenti da escludere quasi totalmente(il quasi è d’obbligo, ma la probabilità è infinitesima) i cosiddetti “guasti catastrofici” (avarie che possono portare alla perdita del velivolo), durante la vita operativa dell’aereo (circa 25anni); risultano altresì percentuali bassissime di “guasti pericolosi”(danneggiamenti che portano il pilota o i sistemi di sicurezza ad entrare in funzione) percentuali neanche lontanamente comparabili con l’imponderabilità del “fattore umano”.
In campo militare esistono già i cosiddetti “Droni”, o “APR”, aerei che volano senza il pilota, ma solo sfruttando un controllo remoto a terra: esportare questo modello in campo civile(idea già vagliata dall’ICAO, l’organizzazione che regola l’aviazione civile mondiale) sarebbe sicuramente una rivoluzione per il settore, costringendo i costruttori a nuove architetture, i controllori a nuove normative, e soprattutto i piloti a perdere il lavoro.
Inoltre, quanti di voi, potendo scegliere fra volare con un aereo con pilota ed uno senza, sceglierebbero il secondo?
La figura del pilota, fiero e rassicurante conduttore di un mezzo molto poco familiare, che può cascare da un momento all’altro, sembra indispensabile nell’immaginario collettivo, è come un filtro fra la dimensione umana e quella ultratecnologica dell’aeroplano.
Sicuramente un bravo pilota può fare scelte più appropriate della macchina, contando sulla propria esperienza, magari facendo imbarcare un po’ più carburante del necessario, in caso di nebbia, ed evitando uno scomodo atterraggio a 100km di distanza, il che si tratta di un confort, più che di sicurezza. Un bravo pilota può sopperire ad eventuali negligenze di manutenzione(avvenute spesso in paesi dove volano gli scarti vecchi dei velivoli occidentali), con la propria audacia.
Molto spesso, però, ciò che ci dà sicurezza non è ciò che è più sicuro.
La fredda statistica dà ragione alla macchina.
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